Tersicore

50 sonnets for beautiful women.

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            <title>Alessandro Adimari's Tersicore (1637): A Basic TEI Edition</title>
            <author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
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                <orgName>the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)</orgName>
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              <addrLine>360 Huntington Avenue</addrLine>
              <addrLine>Northeastern University</addrLine>
              <addrLine>Boston, MA 02115</addrLine>
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                <licence>Creative Commons BY-NC-SA</licence>
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            <note>Based on the copy held by the Biblioteca Nazionale Centrale di Roma in partnership with Google Books.</note>
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               <title>LA TERSICORE o vero SCHERZI, E PARADOSSI POETICI sopra la Beltà delle Donne Fra difetti ancora ammirabili, e vaghe OPERA DEL. SIG. ALESSANDRO ADIMARI Ridotta in 50. Sonetti Fondati principalmente sopra l'autorità d'A. Seneca il morale, &amp; concatenati in un Capitolo. I Terzetti del quale seruon per Argumenti. In Fiorenza nella nuova Stamperia d’Amadore Massi e Lorenzo Landi 1637. Con Licenza de’ Superiori</title>
               <author>Adimari, Alessandro</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Massi, Amador; Landi, Lorenzo</publisher>
               <date>1637</date>. 
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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            <correction>
               <p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
            </correction>
            <normalization>
               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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               <p></p>
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               <p>Hyphenation has been maintained unless it pertains to a line break (see "segmentation").</p>
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            <segmentation>
               <p>Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.</p>
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        <lb/>INOFFENSVS
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<lb/>pb n= "5"/>
<lb/>Al Serenissimo Principe 
<lb/>D. Lorenzo di Toscana
<lb/>I PARTI degl’Ingegni sublimi 
<lb/>non sono per dir’ vero Serenissimo 
<lb/>Principe bisognosi d’alcuna 
<lb/>protezione. In vano
<lb/>i censori, o troppo diligenti, o
<lb/>troppo ambiziosi s’affaticano
<lb/>in trouar’ neo d’imperfezione, doue l’arte con mano 
<lb/>esquisita non lasciò luogo ad emenda. Il perchè 
<lb/>l’Inuidia allora s’ammutolisce, &amp; à suo malgrado 
<lb/>costretta, non dirò à dar lode à chi la merita, 
<lb/>ciò troppo repugnando alla natura di lei, ma 
<lb/>se non altro cedendo la vittoria, à confessor si perdente
<pb n= "6"/>
<lb/>con un violento tacere. Nulladimeno parendo 
<lb/>che la modestia accresca all’altre virtù vn
<lb/>non sò che di splendore, vsano i gran Letterati
<lb/>raccomandar la difesa de’ loro componimenti, ben
<lb/>che perfetti, e perciò esenti dall’offesa, à Personaggi, 
<lb/>che mercè dell’autorità, che tengono possino
<lb/>insin le cose oscure, e vili rendere stimabili, e riguardeuoli. 
<lb/>Da così lodeuol costume allontanato
<lb/>non si sarebbe il Sig. Alessandro Adimari, Autore
<lb/>de’ presenti Sonetti (tanta è la modestia di lui) se
<lb/>di sua volontà si fussero dati alle Stampe, ma
<lb/>hauendone à questi giorni donata vna copia all’Illustriss. 
<lb/>Sig. Iacopo Gaddi, forse perchè la nuoua
<lb/>Accademia eretta nella sua Casa, antico Liceo 
<lb/>de Letterati, passassi talora con essi l’ore del caldo; 
<lb/>quel Signore, per mia ventura, s’è contentato
<lb/>di lasciarmeli stampare: ond’io nell’istesso tempo
<lb/>mi son risoluto à dedicarli al Glorioso Nome di
<lb/>V.A.S. non tanto per secondare l’uso comune,
<lb/>quanto per dare vn segno dell’infinita mia osseruanza, 
<lb/>e diuozione verso di lei, che essendo vn
<lb/>verdeggiante LAVRO, ben può sotto l’ombra 
<lb/>sua Sereniss. far crescer gli Allori del Parnaso 
<lb/>più gloriosi: Sì degni ella intanto gradire il
<lb/>mio buon animo, e riceuendo questo, non men
<pb n= "7"/>
<lb/>diletteuole, che fruttuoso componimento, riconosca 
<lb/>in esso l’istessa viuacità d’ingegno, l’istessa
<lb/>erudizione, &amp; arte ben fondata di poetare, che
<lb/>sempre in tutte l’ altre cose del Sig. Adimari 
<lb/>sono state celebrate, e ammirate dagl’Intelletti
<lb/>più chiari, che il nostro Secolo onorino, mentre 
<lb/>inchinandomi con la reuerenza che debbo a V.
<lb/>A. S. le prego  dal Cielo quanto ella merita, cioè 
<lb/>quanto desidera l’ottima sua volontà. 
<lb/>Di Firenze li 5. Luglio 1637. 
<lb/>Di V. A.  Sereniss. 
<lb/>Vmiliss. e diuotiss. Ser. 
<lb/> Lorenzo Landi.
<pb n= "8"/>
<lb/>Lo Stampatore a’ Lettori.
<lb/>L’AVTTORE di quest’Opera, 
<lb/>come quegli, che fù sempre prudentemente 
<lb/>ingegnoso, e leggiadro, 
<lb/>si dispose negli anni suoi giouenili 
<lb/>dedicare à ciascheduna delle 
<lb/>noue Muse vn raccolto di cinquanta 
<lb/>sonetti, non come fece
<lb/>Herodoto, che senza allusione, &amp; à caso honorò i libri 
<lb/>dell’Istoria sua col titolo delle Muse, mà togliendo
<lb/>occasione della materia, dall’offizio, o dal nome di
<lb/>esse.
<lb/>E’ già qualche anno, che diede alle stampe la Polinnia, 
<lb/>compositione politica, la quale fù riceuuta à ragione 
<lb/>con lode, &amp; applauso non ordinario: haurebbe
<lb/>proseguito in far’ imprimere il rimanente dell’ Opere,
<lb/>se non fusse stato occupato nella mirabil Parafrasi di
<lb/>Pindaro, &amp; allora, come di presente, impiegato dal
<lb/>Sereniss. Padrone in cariche principali. Io spero nondimeno 
<lb/>cortesi Lettori, che si come è stata da me ottenuta 
<lb/>la Tersicore quasi furtiuamente, benchè stata
<lb/>per le mani di Principi, e Personaggi grandi in Firenze, 
<lb/>&amp; in Roma, così habbia il Sig. Adimari à fauorir le
<lb/>mie stampe di suo proprio volere, e consentire che i litterati 
<lb/>godano finalmente le sue nobili, e virtuose fatiche. 
<lb/>Dal far questo non può distorlo ne la sua età, ne
<lb/>le dignità che tiene, le quali due cose hanno saputo
<lb/>sconsigliarlo dal conceder la pubblicazione di questo
<lb/>componimento; imperciocchè gli altri sette, che restano
<pb n= "9"/>
<lb/>non son punto disdiceuoli alla grauità di qualsiuoglia 
<lb/>più costumata persona.
<lb/>Con tale speranza leggete dunque le perfettioni
<lb/>imperfette delle Donne, opera fatta à quel fine, che
<lb/>egli stesso’ discorre nella seguente lettera, in quei tempi 
<lb/>scritta scherzeuolmente al Sig. Bronzini, auuertendo 
<lb/>però, che per dar forza è questi capricciosi concetti, 
<lb/>fingendosi che sopra ciascheduna materia parli vn’amante, 
<lb/>non si deuono considerare come affetti dell’Autore, 
<lb/>ma come passioni di chi secondo il suo gusto
<lb/>innamorato ragioni.
<lb/>Onde riceuete per vostra benignità qualunque cosa
<lb/>in buon senso, e come detta da chi poeticamente scriue, 
<lb/>e Christianamente e viue, e crede. Il frutto, che
<lb/>trar se ne deue oltre al diletto, sia, che ogni Marito ami
<lb/>la Moglie, ancorchè non perfettamente bella: perchè
<lb/>la Donna Onorata non hà difetto, che lodare, e sopportar 
<lb/>non si possa: e l’Huomo prudente armato di pazienza 
<lb/>in simili casi non hà miglior soccorso, se non che.
<lb/>Quicquid inuitus faceret, volens faciat. 
<pb n= "10"/> 
<lb/>Al molto Illustre Sig. mio Osseruandiss.
<lb/>Il Signor
<lb/>CRISTOFANO
<lb/>BRONZINI
<lb/>d’Ancona.
<lb/>LA Musa TERSICORE, considerata in questo luogo per vna di quelle forze, o cognizioni,
<lb/>mediante le quali l’animo nostro intende, &amp; con
<lb/>metrica legge esplica il già formato concetto,
<lb/>come vuol Zetze nelle Chiliadi, può, s’io non
<lb/>m’inganno, molto ben patrocinare i presenti Scherzi,  o Paradossi
<lb/>Poetici; per che il suo proprio è di cantare cose soaui, &amp; piaceuoli.
<lb/>at suauis tibi tradita Tibia fertur 
<lb/>Terpsichore, &amp; c. 
<lb/>Scrisse Callimaco nell’Epigramma, oue à ciascuna delle Pieridi il proprio offizio disegna.
<lb/>Et Virgilio, dandole il muouere, il comandare, &amp; il crescer
<lb/>gli affetti. 
<lb/>,, Terpsichore affectis Cytharis mouet, imperat, auget.
<lb/>ancor egli m’assicura (parlando io fuori della comune oppinione
<lb/>della Beltà delle Donne) che questa Musa, e non altra habbia
<lb/>mosso, comandato, &amp; accresciuto in me nuoui, e festosi concetti:
<lb/>aiuta il pensiero, anzi interamente lo sigilla, e conferma, l’esser
<lb/>Tersicore madre delle Sirene, le quali non solamente furono insieme 
<lb/>difettose, e belle, ma furon prese dagl’ingegnosi ritrouatori 
<lb/>delle fauole per quel suon di voce, che lusingando &amp; adulando
<lb/>adolcisce la mente humana: Partorisca adunque la nostra Tersicore, 
<lb/>non quella viziosa adulazione, che tentaua d’addormentar 
<pb n= "11"/>
<lb/>Vlisse, e’ compagni per divorarli, ma quell’eccesso di lode, che si
<lb/>deue à chi molto merita, quali son le Donne, per maggiormente 
<lb/>gradirle: Et se volessimo scherzar sopra l’Etimologia del nome,
<lb/>forse non senza qualche fondamento, potremmo dire, che la voce
<lb/>Tersicore ci significa l’obbligo, ch’ella hà di far belle, e terse le 
<lb/>Donne, dal Verbo Τερσώνω, quod est abstergerese, &amp; χόρη,
<lb/>quod est puella, come nota Eustatio. Et belle, e terse non deue
<lb/>far quelle, che per se stesse interamente son vaghe, ma quelle che
<lb/>per accidente, o per natura hanno sopra di loro qualche imperfezione, 
<lb/>o difetto; Ond’io forse, con queste chiacchiere seruirò al
<lb/>concetto, ch’ebbe A. Seneca il Morale, quando disse. 
<lb/>In Matrimonio præcipias, quomodo viuat cum Vxore
<lb/>aliquis quam virginem duxit, quomodo cum ea, quæ alicuius
<lb/>Matrimonium experta est, quemadmodum cum locuplete, quemadmodum 
<lb/>cum indotata, &amp; c. 
<lb/>Acciòche ciascuno si contenti della sua sorte, &amp; se di tutti i difetti 
<lb/>non parlò, il medesimo Autore, ch’in tutti questi Sonetti mi
<lb/>è scorta, poco prima hauea detto, che
<lb/>Præcepta singulis dare incompræhensibile opus est.
<lb/>Per queste ragioni io non hò dubitato di porre in fronte è questa 
<lb/>Operetta il nome dell’istessa Tersicore; ma con più sicuro consiglio 
<lb/>mi son risoluto à mandarne anticipatamente questa prima
<lb/>Copia à V.S. poiche trattandosi del pregio delle Donne, ella, che
<lb/>n’è, per dir così, Tesorier generale, mediante i dotti ragionamenti 
<lb/>de’ suoi graziosi Dialogi, deue raccogliere ogni altra moneta, o
<lb/>censo à loro spettante: E questo mio non sarà forse d’altra valuta, 
<lb/>che d’autenticare in qualche parte i suoi detti; poiche s’il merito 
<lb/>delle Donne è tale, che fin trà l’ombre de’ naturali, &amp; accidentali 
<lb/>difetti risplende, di qual fede sarà degno, chi della
<lb/>DIGNITÀ, e NOBILTÀ delle Donne senza Paradossi 
<lb/>ragiona ?
<lb/>Mando à V.S. adunque per ora il sudetto Censo in Cinquanta
<lb/>Sonetti raccolto, così rozzo, e semplice, come dalla mia sterile, &amp;
<lb/>incolta vena è cauato: Resta, che V.S. per farmi vna delle solite 
<lb/>grazie sue su la pietra paragone del suo giudizio ne riconosca
<lb/>la Lega, &amp; assaggiatola, auuertiscas’è Moneta da lasciar correre
<pb n= "12"/> 
<lb/>nell’Erario delle ricchezze, e pregi femminili, senza biasimo
<lb/>dell’Età e della professione di me, che l’ho battuta per dare vna pagamorta 
<lb/>à quel’ poco d’ozio che mercè d’vn SEREN. Sole nel
<lb/>Gouerno della quietissima, e nobil Città di SAN’ MINIATO
<lb/>oggi virtuosamente ritrouo. 
<lb/>Però come cordialissimo &amp; sincero amico dicami il vero, porgendomi 
<lb/>il piu sicuro parere che la rara sua intelligenza le somministri: 
<lb/>altrimenti, io mi protesto, se io ne sarò condennato, d’accusarla 
<lb/>colpeuole del danno, che mene potesse resultare, e di pretenderne 
<lb/>la conueniente refazione, se però i Legisti che frà gli
<lb/>strepiti di questo Tribunale continuamente ho d’attorno nel §.
<lb/>omnes ff. de Action. non m’ingannano. Intanto comandi anco
<lb/>à me conseruandomi per suo, e Dio N. Sig. la Feliciti.
<lb/>Di V.S.M. Illustre.
<lb/>Ser. Aff.
<lb/>Alessandro Adimari.
<pb n= "13"/>
<lb/>TAVOLA
<lb/>delle Materìe.
<lb/>A Dirata o Sdegnosa Sonetto. 13 a
<lb/>cart. 43.
<lb/>Antica. 			45 	107.
<lb/>Astuta. 			32 	81.
<lb/>Brutta in generale. 	47 	109.
<lb/>Bugiarda. 		18 	53.
<lb/>Butterata. 		37 	91.
<lb/>Calua. 			15 	47.
<lb/>Canuta. 			43	103.
<lb/>Cieca. 			17 	51.
<lb/>Dispettosa. 		29 	75.
<lb/>Febbricitante. 		48	 113
<lb/>Ferita. 			30	77.
<lb/>Con Gauine. 		34 	85.
<lb/>Gobba. 			4 	25.
<lb/>Grauida. 		39 	95.
<lb/>Grassa. 			41	99.
<lb/>Guercia. 		8. 	33.
<lb/>Gozzuta 			25 	67.
<lb/>Incostante. 		28 	73.
<lb/>Insensata. 		26 	69.
<lb/>Lentigginosa. 		42	101.
<lb/>Lunga. 			16 	49.
<lb/>Macchiata. 		33 	83.
<lb/>Magra.			40 	97.
<pb n= "14"/>
<lb/>Monca. 			35 	87.
<lb/>Morta. 			49. 	115.
<lb/>Muta. 			10 	37.
<lb/>Negra. 			24 	65.
<lb/>Nasuta.  			36 	89. 
<lb/>Con vn Occhio, o Monocula. 22  	61.
<lb/>Oppillata. 		7 	31.
<lb/>Pargoletta.  		1 	19.
<lb/>Pazza. 			27  	71.
<lb/>Piccola.  			2. 	21.
<lb/>Piangente. 		21 	59.
<lb/>Rognosa.  		11. 	39.
<lb/>Ridente. 		20 	57. 
<lb/>Sfregiata. 		12 	41.
<lb/>Sdentata. 		23 	63. 
<lb/>Sciatta. 			6 	29.
<lb/>Scilinguata. 		19 	55.
<lb/>Scura. 			44 	105.
<lb/>Semplice. 		31 	79.
<lb/>Sorda. 			9 	35.
<lb/>Sterile. 			38 	93.
<lb/>Stracciata. 		14 	45.
<lb/>con Vaiolo. 		3 	23.
<lb/>Vecchia. 		47 	111.
<lb/>Zoppa. 			5 	27.
<pb n= "15"/>
<lb/>In Laudem Operis.
<lb/>FRANCISCI MARIÆ
<lb/>MARCHINII
<lb/>EPIGRAMMA.
<lb/>Si qua Puellarum nitido spectabilis ore
<lb/>Prodit, Fortunæ est, non Genitricis opus:
<lb/>At tibi quam Natura negat malè Fæda Puella
<lb/>Reddere quis formam Carmina, posse putet? 
<lb/>TERPSICHORE tu sola potes, cui carmina dictat,
<lb/>Et melior doctam tangit APOLLO chelim.
<lb/>Iam Fædis cedent Nymphæ, Charitesque Puellis,
<lb/>Ipsa etiam cupiet Turpior esse Venus.
<lb/>       Errori 						Correzione
<lb/>à carte 17 	frà le fiamme 					frà le Nubi 
<lb/>       19 	sotto il focile 					sotto’l focile
<lb/>       48 	picciol faggio 					piccol pruno 
<lb/>       87 	qualte 						qual tù
<lb/>       come te 						come tù
<lb/>       95  	Tessèo 						tesseo 
<lb/>       97 	qual te 						qual tu 
<lb/>       ratto ingrato					ratto armato
<lb/>       103  	e che neue di giel 				e che la neue e’l giel
<lb/>       111 	&amp; è si bella 					e se’ si bella
<lb/>       124	 come Alpe 					come Ape
<lb/>       126 	vettorio 						Vettori.
<pb n= "16"/>
<lb/>ARGOM. DEL PROEMIO.
<lb/>E Principio del Capitolo.
<lb/>DONNE, e voi che le Donne hauete in pregio,
<lb/>Date oggi orecchie a questi miei furori,
<lb/>Ond’io vi tesso vn disufato fregio.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>Contra totius generis humami opiniones nunc vox
<lb/>mittenda est - nam
<lb/>Quæ ego scio non probat populus, quæ probat populus ego
<lb/>nescio.
<lb/>Omnia ex opinione suspensa sunt.
<lb/>Scias tamen quod occupandi temporis causa, non im præconium
<lb/>aliquod, hæc simplici stylo scripsi.
<lb/>Tu sic audias quomodo si tibi præciperem qua ratione bonam
<lb/>valetudinem tuearis.
<pb n= "17"/>
<lb/>PROEMIO 
<lb/>DONNE io prendo à cantar la
<lb/>forza ardente
<lb/>Di quel, ch’il Ciel vi diede, vnico
<lb/>dono,
<lb/>E s’incredibil cose io vi ragiono,
<lb/>Quando parla di voi, Musa non mente.
<lb/>Come offesa nell’alto il Sol non sente,
<lb/>Varchi tra’l fango, o trà le fiamme, e’l tuono,
<lb/>Così vostre bellezze inuitte sono,
<lb/>Benche sembrin talor men vaghe, e spente. 
<lb/>Risplende in voi della Beltà superna
<lb/>Vn certo ascoso ardor con tanti rai,
<lb/>Ch’ offuscar non lo può mancanza esterna.
<lb/>TERSICORE gentil, tu che lo sai,
<lb/>Mostrale à chi nel ver l’anima interna,
<lb/>Che son Belle ad ognor, Brutte non mai.
<pb n= "18"/>
<lb/>ARGOMENTO I. 
<lb/>Eccoui vn bell’April carco di fiori,
<lb/>Che ben che pargoletto all’Alba giunto,
<lb/>Desta souente inopinati ardori. 
<lb/>SENTENZE.
<lb/>TEnera ætas tua refugit omne non tantum quod sordidum,
<lb/>sed &amp; quod sordido simile est.
<lb/>Et quicquid ætati meæ vigoris abscessit, id ad me ex tua.
<lb/>Ignis verò valentem materiam citò occupat.
<lb/>Sol modico die calidissimas nubes euincit, at matutino tempore
<lb/>-facilius sustineri potest. 
<lb/>Lux quæ solem antecedit percutit aërem, &amp; statim calefacit,
<lb/>quia lux ipsa sine calore esse non potest, cum ex calore fiat.
<lb/>Ignis qui nascitur, et ex saxo prodit simul &amp; fit, &amp; cadit.
<lb/>Ignis omnes ætates, omnium vrbium ciues, tàm viros,
<lb/>quàm fæminas vrit. 
<lb/>Pueritiæ maximus in exitu decor est.
<pb n= "19"/>
<lb/>SONETTO I.
<lb/>Bella Pargoletta .
<lb/>ACERBETTA beltà, Bimba ,
<lb/>amorosa,
<lb/>Non anco auuezza à balbettar
<lb/>d’Amore, 
<lb/>Ch’io sospiri per tè par sì gran cosa,
<lb/>Ch’io non hò chi mi creda il mio dolore;
<lb/>Ma, se nel verde suo punge la rosa, 
<lb/>Se nella boccia ancor s’ammira il fiore,
<lb/>Chi non conoscerà, beltà vezzosa,
<lb/>Ch’il foco al nascer suo porta calore?
<lb/>Hò visto (Infante mia) sotto il focile
<lb/>Sì tosto sfauillar pietra nouella,
<lb/>Che di subito accende escagentile:
<lb/>Più luce in sul mattin Venere stella,
<lb/>Più dell’estiuo Agosto è vago Aprile,
<lb/>E più del mezzo dì l’Aurora è bella.
<pb n= "20"/>
<lb/>ARGOMENTO II.
<lb/>La Bellezza raccolta in picciol punto,
<lb/>Non per questo è minor, ma luce, e splende
<lb/>Come perla incastrata in bel trapunto,
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NVnquam in honorem huius corpusculi mentiar.
<lb/>Corpusculum si nihil fieri sine illo potest, necessariam
<lb/>rem crede. 
<lb/>Corpus ingens, animi pondus.
<lb/>Et quis vnquam de exigua conquestus est sarcina?
<lb/>Exiguum natura desiderat. 
<lb/>Et habiliora sunt corpora pusilla.
<lb/>Nunquam enim contexti , nisi per vnitatem corporis nisus
<lb/>est, cum partes consentire ad intensionem debeant, &amp;
<lb/>conferre vires. Aër autem si in Atomos diuiditur, sparsus
<lb/>est.
<lb/>Vitiosum est vbique quod nimium est. 
<pb n= "21"/>
<lb/>SONETTO II.
<lb/>Bella Piccola .
<lb/>GENTRO dell’Alma mia,
<lb/>picciolo in vero,
<lb/>Ma del Ciel di beltà punto fatale,
<lb/>Oue per ogni parte il mio pensiero
<lb/>Sempre concorre à terminare eguale:
<lb/>Piccolo è il Polo : e se ne và l’Arciero
<lb/>In picciol segno à saettar lo strale;
<lb/>Picciola è l’Ape, e fà con l’ago altiero
<lb/>Sì dolce il mele, e sì noioso il male.
<lb/>O raccolto mio ben, poco esser dei,
<lb/>Per che ne’Monti, e nell’Egeo profondo
<lb/>Son le Perle, e i Diamanti anco Pigmei.
<lb/>Quindi il tuo picciol sen m’è sì giocondo,
<lb/>Che quand’Atomo ei fosse, io crederei
<lb/>Con quell’Atomo sol far bello il mondo 
<pb n= "22"/>
<lb/>ARGOMENTO III. 
<lb/>Nè Bolla di maligno vmore offende
<lb/>Volto gentil d’vna cortese amante,
<lb/>Che nuoua à’ rai del Sole Aquila ascende.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>Amor tegit pulchritudines scena sua dignas. 
<lb/>Aquila Pennis grauata fontem petit cuius aspergine
<lb/>pennas egerit, mox in iuuentam redit.
<lb/>Aquæ tempestiuè data remedij locum obtinet.
<lb/>Non sentit animus ætatis, ac valetudinis iniurias, viget,
<lb/>&amp; magnam partem oneris in infirmitate deponit.
<pb n= "23"/>
<lb/>SONETTO III.
<lb/>Bella con Vaìuolo.
<lb/>O DI Perle viuaci, egre, ma belle
<lb/>Gemme al calor d’accesa febbre
<lb/>alzate,
<lb/>Che per sentier di latte, vmide
<lb/> stelle
<lb/>Forse vn più vago Olimpo oggi indorate,
<lb/>Voi di Scena d’Amor tele nouelle, 
<lb/>Per diletto maggior gli ostri celate,
<lb/>Come le nubi in queste parti, e in quelle
<lb/>Cuoprono il Sol, per mitigar l’estate:
<lb/>Non si dolghin per voi gli offesi amanti, 
<lb/>Per chi’ Gigli del volto, e le viole
<lb/>Sotto maligno vmor cangin sembianti;
<lb/>Così di stille aspersa Aquila suole
<lb/>Gettar l’antiche sue piume volanti,
<lb/>Per meglio alzarsi à gareggiar col Sole.
<pb n= "24"/>
<lb/>ARGOMENTO IV.
<lb/>Questo leggiadro, e misero sembiante,
<lb/>Che sopra le sue spalle il Mondo porta
<lb/>Ditelo pure vn fauorito Atlante.
<lb/>SENTENZE
<lb/>QVis enim dixerit Naturam malignè cum hac muliere
<lb/>egisse, &amp; virtutes illius in arctum retraxisse?
<lb/>-num Rempub. læsit?-
<lb/>Morbi ad sanitatem inclinant, cum ex abdito erumpunt.
<lb/>Diminutas scapulas in deforme tuber extudit, vt fortunæ
<lb/>iniquitas in eius beneficia sæuientis magis hominum animos
<lb/>percelleret.
<lb/>Non est illa magnitudo: tumor est: nec corporibus copia vitiosi
<lb/>humoris intensis, morbus incrementum est, sed abundantia. 
<lb/>Cæterum par illi, mihi crede, vigor, par ad honesta libera
<lb/>facultas, laborem doloremque ex æquo si consueuit patitur. 
<pb n= "25"/>
<lb/>SONETTO IV. 
<lb/>Bella Gobba.
<lb/>COME fè ? come errò ? cieca è
<lb/>Natura
<lb/>Forse, o sdegnata alla vendetta 
<lb/>intese? 
<lb/>Ma l’innocenza tua quando l’offese
<lb/>Suenturata beltà, deforme, e pura?
<lb/>Ti fè d’Angelo il volto, indi empia, e dura
<lb/>Vn globo indegno al tuo bel collo appese:
<lb/>Formò ne’ raggi tuoi due stelle accese,
<lb/>Poi confuse col Ciel la Terra oscura:
<lb/>Ahi ch’ella errò, ma fù destin fatale:
<lb/>Pensò fingere Amor nudo, e volante,
<lb/>E materia abbondò nel fargli l’Ale:
<lb/>E se fallo non fù, ritrasse Atlante,
<lb/>Per dimostrar, ch’à sostenere eguale
<lb/>Sarebbe il Mondo ancor Donna bastante.
<pb n= "26"/>
<lb/>ARGOMENTO V.
<lb/>E questa, che vi sembra e zoppa, e torta
<lb/>Pur si deue lodar, ch’il piede infetto
<lb/>Il bel corpo da noi lungi non porta.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NVllum habile membrum est, si corpori par est.
<lb/>Certissimum argumentum firmitatis suæ capit si ad
<lb/>blanda nec it, nec abducitur.
<lb/>Quia vitium non est in rebus. 
<lb/>Nec tribuendum est insonti Naturæ.
<lb/>Ignis enim hac illac palpitando discurrit.
<lb/>Quemadmodum flamma surgit in rectum, iacère, ac deprimi
<lb/>non potest, non magis quam quiescere.
<lb/>Noctem dies sequitur: Pars Cæli consurgit, pars mergitur.
<pb n= "27"/>
<lb/>SONETTO V
<lb/>Bella Zoppa.
<lb/>SV DVE basi ineguali, Idol del
<lb/>core,
<lb/>Questa vaga bellezza oggi si vede,
<lb/>Nè però ci si mira, o ci si crede
<lb/>Fallo dell’Arte, o di Natura errore:
<lb/>Quasi Dea della Fiamma, e dell’Ardore,
<lb/>Alternandosi anch’ella, or s’alza, or cede;
<lb/>E dritt’ è, se Vulcano hà zoppo il piede,
<lb/>Ch’abbia la sua Vulcana anch’oggi Amore.
<lb/>Così forse men fero, e meno audace
<lb/>Si mira, Amanti, il suo corporeo velo
<lb/>Chino ad ogni suo passo, e men fugace.
<lb/>E così forse, a portar caldo, e gelo,
<lb/>Zoppo (per dir così) con l’aurea face,
<lb/>S’inchina, e sorge in sù due Poli il Cielo.
<pb n= "28"/>
<lb/>ARGOMENTO VI. 
<lb/>Non reputate mai colpa, o difetto
<lb/>Le bellezze di certe straccurate,
<lb/>Ma di Natura vn artifizio schietto.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>HVic mulieri minimè conuenit occupatio exercendi lacertos, 
<lb/>&amp; dilatandi ceruicem, &amp; vestes firmandi.
<lb/>Faciem lenocinijs, ac coloribus nunquam polluit. 
<lb/>Nunquam ei placuit vestis, quæ nihil amplius quam vt nudam
<lb/>componeret. – Sed vtcumque res tulit, ita vixit.
<lb/>Vnicum sibi ornamentum pulcherrima, &amp; nulli obnoxia
<lb/>ætati forma.
<lb/>Nec faciunt meliorem Equum aurei fræni. 
<lb/>Placet non in ambitionem prolata vestis, non ponderibus,
<lb/>aut tormentis splendère cogentibus pressa, sed domestica,
<lb/>&amp; vilis, nec seruata, nec sumenda sollicitè.
<lb/>Contemptus corporis sui, certa libertas est.
<pb n= "29"/>
<lb/>SONETTO VI.
<lb/>Bella Sciatta.
<lb/>NE QVANTI furon mai chiodi,
<lb/>o martelli,
<lb/>Non che spilli d’argento , o lacci
<lb/>aurati,
<lb/>I tuoi panni adattar ponno, o i capelli,
<lb/>Nell’incomposto lor sempre ostinati :
<lb/>Ma tiengli pur disciolti, e scapigliati: 
<lb/>Vagano i rai del Sol, però son belli:
<lb/>Mira vn’ augello in gabbia, &amp; un ne’ prati,
<lb/>Più dolce canter à questo, che quelli. 
<lb/>Generoso destrier non ama il freno,
<lb/>Le sciolte chiome tue son Berenici,
<lb/>Degne da collocarsi in Ciel sereno.
<lb/>Donna, c’hai da per tutto i Cieli amici,
<lb/>Sia rabbuffato il crin, sia sciatto il seno,
<lb/>Le negligenze tue sono artifici.
<pb n= "30"/>
<lb/>ARGOMENTO VII.
<lb/>Le guance di costei di giallo ornate
<lb/>Emule son del Sol, ch’il dì comparte,
<lb/>Et hanno Fonti ancor l’acque oppilate.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>SOlis vis, &amp; lux integra est, etiam inter opposita, 
<lb/>Et quamuis aliquid interiace at in opera est.
<lb/>Aduersus Solem non potest nebula. 
<lb/>Quoties enim inter nubila luxit non est serano minor,
<lb/>Virtuti opposita nihil durabunt. 
<pb n= "31"/>
<lb/>SONETTO VII. 
<lb/>Bella Oppilata. 
<lb/>SE quel color di cui s’ammanta il
<lb/>Sole, 
<lb/>Et si fregia il più ricco alto metallo
<lb/>Non si deue apprezzar, perch’egli
<lb/>è giallo, 
<lb/>Donna in difesa tua non hò parole.
<lb/>Se, perch’è chiuso il varco, ond’uscir suole
<lb/>L’onda in alto à spicciar liquido ballo, 
<lb/>E’ della Fonte inremissibil fallo,
<lb/>A Dio bella Oppilata, ami chi vuole:
<lb/>Ma s’il Fonte è l’istesso anco oppilato,
<lb/>Se quanto d’oro è più Febo, è più caro,
<lb/>Di te mio Fonte, e Sol, nulla è più grato.
<lb/>Anzi da questo il tuo gran pregio imparo,
<lb/>Ch’il ferro à gli altri è morte, à te, passato
<lb/>Nelle viscere tue, vita è l’acciaro.
<pb n= "32"/>
<lb/>ARGOMENTO VIII.
<lb/>Occhio, che guarda in ciascheduna parte
<lb/>Per non vibrare in vn quel che c’offende
<lb/>Vsa maggior pietà con più bell’arte.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>INuidia nos inquietat dum comparat. Hoc mihi præstitit,
<lb/>sed illi plus. Sed illi maturius.
<lb/>Sed marcet sine aduersario virtus.
<lb/>Ista puella redemit vitia virtutibus, &amp; plus habet quod 
<lb/>laudes, quam quod ignoscas. 
<lb/>Luna dissimillimum Soli lumen accipit. 
<lb/>Et Luna, &amp; Sol alio atque alio occurrentes loco, curiosos nos
<lb/>esse cogunt, quando in rectum feruntur, quarè agantur retro.
<lb/>Est ne dedecus vt omnes stellæ inter se dissimilem habeant
<lb/>aliquatenus faciem, diuersissimam Soli?
<lb/>Non erit digna suspectu Luna, etiam si otiosum sydus transcurrat ? 
<lb/>Et quis in Orientem Occidentemque diffusos amnes vituperabit?
<pb n= "33"/>
<lb/>SONETTO VIII. 
<lb/>Bella Guercia.
<lb/>INVIDA di quel ben, ch’in tè
<lb/>non miri
<lb/>Perche biasmi costei lingua mordace, 
<lb/>Perche de gli occhi suoi la doppia face
<lb/>Si volga obliqua in due diuersi giri ?
<lb/>Oue lasci il bel sen, nido a’ sospiri?
<lb/>L’aurata guancia sua perche si tace?
<lb/>Dunque per vn sol neo, che ti dispiace
<lb/>Conuien, ch’ogn’ altro onor più non s’ammiri?
<lb/>Miseri noi, se quel bel ciglio ardente
<lb/>Dritto scoccasse ognor saette, e dardi
<lb/>Non resteria nel Mondo alma viuente:
<lb/>Dunque perch’ all’Occaso il Sol riguardi,
<lb/>E Cintia volga i rai verso Oriente
<lb/>Difettosi del Ciel credi gli sguardi?
<pb n= "34"/>
<lb/>ARGOMENTO IX. 
<lb/>Vna sorda Beltà, che non c’intende
<lb/>Puo domandarsi imperial virtute,
<lb/>Che sol col ciglio à comandare attende.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>PAuescis ad cæli fragorem, &amp; ad inane nubilum
<lb/>trepidas, &amp; surdescis, quedamodum nilus eluctatus
<lb/>obstantia in vastam altitudinem subitò destitutus
<lb/>cadit cum ingenti circumiacentium regionum strepitu,
<lb/>quem perferre gens ibi è Persis collocata non potuit, obtusis 
<lb/>assiduo fragore auribus. 
<lb/>Obtemperandum est potentiori, &amp; si verbis iussus non fueris; 
<lb/>&amp; grauia suopte nutu imperet, &amp;c.
<lb/>Imperat interdum Princeps, non eloquio, nec lingua, sed oculis,
<lb/>digitisique
<pb n= "35"/>
<lb/>SONETTO IX.
<lb/>Bella Sorda.
<lb/>A’RAI del guardo, al fulminar
<lb/>del viso,
<lb/>Al tuon de gli Archi, onde saetta
<lb/>il crine;
<lb/>Al cader del mio pianto in due diuiso,
<lb/>Se’ fatta sorda, ò bella Donna al fine. 
<lb/>E quasi Catadupi à tè vicine
<lb/>T’hanno l’orecchio in tal maniera vcciso,
<lb/>Che s’hauesser velen cose diuine,
<lb/>Vn Aspe ti direi del Paradiso.
<lb/>Or che poss’io sperar de’ miei lamenti,
<lb/>Mentre hai sol nelle Dita e segni, e senno,
<lb/>Che tù senta il mio duol, se tè non senti?
<lb/>Ah, che son pregi tuoi, ch’à te si denno;
<lb/>Bellezza imperiosa, occhi possenti
<lb/>Non han da comandar se non col cenno.
<pb n= "36"/>
<lb/>ARGOMENTO X.
<lb/>Labbra di Rose hauer tacite, e mute
<lb/>Non è credete a me, non è vergogna ,
<lb/>Ma con gloria di lei vostra salute.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>VOX bomum non est.
<lb/>Muta animalia humamis affectibus carent.
<lb/>Surge tu mute, sed quid excitaris ? rogare non potes.
<lb/>Genus est rogandi , rogare non posse.
<lb/>Serò beneficium dedit , qui roganti dedit.
<lb/>Si quis fauces oppresserit, stes tamem &amp; silentio iuues.
<lb/>Nunquam inutilis est opera ciuis boni: iussu, vultu, nutu,
<lb/>incessuque ipso prodest. 
<lb/>Nihil tam acerbum est in quo non æquus animus solatium
<lb/>inueniat. 
<lb/>Interdum calamitates in remedium cessère, &amp; leuioribus
<lb/>incommodis grauiora sanata sunt. 
<lb/>Quid necesse est diutius torqueri, cum tam facile remedium
<lb/>Vlysses socijs, etiam aduersus Sirenas inuenerit ?
<lb/>Loquax est virtus, nec ostendit se tantum sed ingerit.
<pb n= "37"/>
<lb/>SONETTO X. 
<lb/>Bella Muta.
<lb/>O’ NEL silenzio eternamente 
<lb/>ascosa, 
<lb/>Tù muta se’, che cento lingue 
<lb/>alletti, 
<lb/>Tù muta se’, che mille voci affretti
<lb/>A cantar tua beltà bocca amorosa ?
<lb/>Ma pur labbra vermiglie anco hà la Rosa,
<lb/>E lingue d’oro il Giglio, e non han detti:
<lb/>Forse, perche tacendo i propri affetti,
<lb/>Fassi l’alma più saggia, e men fastosa.
<lb/>Chi sà, che mentitrici aspre catene
<lb/>Non fosser le tue voci, ond’altri vide
<lb/>Imprigionato il cor trà mille pene?
<lb/>Buon per noi, se nel Mar l’empie omicide
<lb/>Fosser, come se’ tù, mute Sirene,
<lb/>Che sarien belle, e non sarieno infide.
<pb n= "38"/>
<lb/>ARGOMENTO XI.
<lb/>E questa ch’alle Palme eccelse agogna,
<lb/>A compatir mirabilmente impara
<lb/>Il prurito d’altrui nella sua Rogna.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>Vlcera quedam nocituras manus appetunt, &amp; tactu
<lb/>gaudent, &amp; feram corporum scabiem delectat
<lb/>quidquid exasperat. non aliter dixerim voluptati esse
<lb/>laborem vexationemque.
<lb/>Tu non ignara mali miseris succurrere disce.
<pb n= "39"/>
<lb/>SONETTO XI.
<lb/>Bella Rognosa.
<lb/>SE DEL vasto Eritreo Conca
<lb/>gemmata
<lb/>Spargesse frà le Perle Ostri diuini,
<lb/>E trà i Cinabri suoi Rosa odorata
<lb/>Portasse i Gigli aspersi, e i Gelsomini;
<lb/>Chi potria rimirar cosa più grata
<lb/>Ne’ campi di Cristallo alabastrini?
<lb/>In tal guisa se’tù, beltà macchiata
<lb/>Di Coralli sanguigni, e di Rubini.
<lb/>Che se Tigre d’Amor sembri alla pelle
<lb/>(Manto condegno al crudo tuo rigore)
<lb/>Sembri anco vn vago Ciel cinto di stelle:
<lb/>Ma se laceri tè nel tuo candore, 
<lb/>Ah pensa, ingrata, à quant’anime ancelle,
<lb/>Con prurito maggior laceri il core.
<pb n= "40"/>
<lb/>ARGOMENTO XII. 
<lb/>Questa Guancia sfregiata è così cara
<lb/>Ch’vn Zodiaco parmi, oue più forte
<lb/>Il Sol de gli occhi suoi l’Alba rischiara.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>OMnis de vniuerso quæsto in cælestia sublimia, &amp;
<lb/>terrena diuiditur.
<lb/>Omnis rerum naturæ materia dividitur.
<lb/>Omnia quæ im notitiam nostram cadere possunt, mundus
<lb/>complectitur, ex his quædam sunt partes, quædam materiæ 
<lb/>loco relicta.
<lb/>Proscissum aratro solum , &amp; iteratum, solutior terra facilius 
<lb/>patet radicibus.
<pb n= "41"/>
<lb/>SONETTO XII. 
<lb/>Bella Sfregiata. 
<lb/>NON saria bello, à mio giudizio,
<lb/>il Cielo, 
<lb/>Nè bene andrebbe à suo cammino
<lb/>il Sole , 
<lb/>Se quell’immenso, e spazioso velo
<lb/>Fosse vn campo indistinto, vna sol mole:
<lb/>Ma, perch’vn fregio anch’ei nel volto vuole,
<lb/>Che parta gli Equinozi, il caldo, e’l gelo,
<lb/>Quindi è, ch’i fior germoglia, e le viole,
<lb/>E ci scuopre egualmente amore, e zelo.
<lb/>Che parria non diuiso vn crine sciolto? 
<lb/>Che saria non arato vn vasto suolo?
<lb/>Se non di spine vn bosco orrido, e folto?
<lb/>Quel segno, adunque, ò Donna, oggi è’l tuo Polo,
<lb/>Anzi, perche due Soli hai nel bel volto,
<lb/>Due fregi hauer douresti, e non vn solo.
<pb n= "42"/>
<lb/>ARGOMENTO XIII.
<lb/>S’adiri pur la generosa, e forte:
<lb/>L’Ira è cote d’Amor frà genti amate,
<lb/>E soffresi in altrui con minor sorte.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>FÆmina cum Irascitur delectat, quid cum blanditur?
<lb/>Iram calcar virtutis esse, Aristoteles ait, hac erepta,
<lb/>inermem animum, &amp; ad conatus magnos pigrum inertemque
<lb/>fieri. 
<lb/>Vtilis est Ira quia contemptum effugit, &amp; malos terret.
<lb/>Irascuntur boni.
<lb/>Amantium Iræ Amoris redintegratio est.
<lb/>Quia nullus hominum auiumque concentus interrumpet cogitationes 
<lb/>bonas.
<lb/>Solatia expectas conuicia accipe. 
<lb/>Fer mores si immutari nequeunt, &amp; qualiter foris viuas
<lb/>domi disce cum Socrate.
<pb n= "43"/>
<lb/>SONETTO XIII.
<lb/>Bella Adirata.
<lb/>QVALOR commossa à generoso
<lb/>sdegno. 
<lb/>Gonfi le labbra, e torci il guardo
<lb/>in giro, 
<lb/>Sì bella, è bizzarretta, io ti rimiro,
<lb/>Che di Pallade il volto appar men degno.
<lb/>Diede l’Ira d’Achille a’ Greci vn Regno:
<lb/>Gli sdegni ad Alessandro il Mondo apriro:
<lb/>Si che se non t’adiri oggi io m’ adiro,
<lb/>Che son l’ire d’Amor di pace il segno.
<lb/>Che nuoce à me sentirti oggi alterare,
<lb/>Se mille volte ascolto i Cani ingrati
<lb/>E sopporto i lor gridi, e l’abbaiare?
<lb/>Deh strepita pur tù, che quei Iatrati
<lb/>Mi possono vna fiera al più donare,
<lb/>Tù m’arricchisci ognor di figli amati.
<pb n= "44"/>
<lb/>ARGOMENTO XIV.
<lb/>Sotto lacere vesti, e rappezzate 
<lb/>Le Carni di costei sembrano al sole
<lb/>Aperte da i Rubin Poma granate.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>CErnimus Pulchritudinem quam vis sordido obtectam.
<lb/>Illa non est Paupertas si læta est. 
<lb/>Nemo alius est Deo dignus quam qui opes contempsit.
<lb/>Huic speciosa facies est, potest mendicus formosus esse.
<lb/>Nudos videbis Deos, omnia dantes, nihil habentes.
<lb/>Athletæ vt vires cædentis exhauriant, nudari se patiuntur.
<pb n= "45"/>
<lb/>SONETTO XIV. 
<lb/>Bella Stracciata.
<lb/>ALTRI vagheggi pur gli ostri di
<lb/>Tiro,
<lb/>E di seriche pompe il corpo ammanti,
<lb/>Ch’io, mendica mia bella, i tuoi sembianti
<lb/>Più ricchi in questi stracci amo, &amp; ammiro.
<lb/>O Sol, che frà le nubi, e frà’l zaffìro
<lb/>D’vno squarciato Cielo apri i tuoi vanti,
<lb/>Posson per tutto i desiosi Amanti
<lb/>Ferirti con lo sguardo, e col sospiro.
<lb/>Tù, qual vago Giardin, mostri di fuori
<lb/>Per i cancelli tuoi, ch’aperti stanno,
<lb/>E del fianco, e del sen le rose, e i fiori.
<lb/>Così gli Atleti al campo Eleo sen’ vanno
<lb/>(Abito, che s’adatta anco à gli Amori)
<lb/>Ricchi di palme, e poueri di panno.
<pb n= "46"/>
<lb/>ARGOMENTO XV. 
<lb/>Questa non hà le chiome, e non sen’ duole
<lb/>Perchè Fortuna il Teschio anco hà pelato
<lb/>E troua chi la segue, e chi la vuole.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>FÆmina Calua morbis virilibus damnata.
<lb/>Non minus comatis quam caluis molestum est pilos
<lb/>velli. 
<lb/>Cometæ significant tempestatem, &amp; ventorum intemperantiam 
<lb/>atque imbrium . 
<lb/>Fortuna frontem habet capillatam, verum vbi semel se
<lb/>vertit ab occipitio calua, vnde versus.
<lb/>Fronte capillata, post hæc occasio calua.
<lb/>Magnus Gubernator, &amp; scisso nauigat velo: &amp; si exarmauit,
<lb/>tamen reliquias nauigij aptat ad cursum. Et
<lb/>descendit, vt ait ille: 
<lb/>Cærul a ad infernas velificata rates.
<pb n= "47"/>
<lb/>SONETTO XV. 
<lb/>Bella Calua. 
<lb/>O, DIO, chi non dirà Calua Donzella,
<lb/>Che le bellezze tue chiare, e
<lb/>diuine 
<lb/>Sian rose senza foglie, e senza spine,
<lb/>O senza fronde, e fior selua nouella?
<lb/>E pur nell’alto Ciel crinita stella
<lb/>Và sempre orrenda à minacciar ruine,
<lb/>E pur calua da tergo, e senza Crine
<lb/>Fortuna è dolce in rincontrarci, e bella.
<lb/>O gran follìa d’Amor, tener prigione
<lb/>Frà’ lacci d’vn capello il core, e l’alma,
<lb/>E del suo danno amar l’empia cagione;
<lb/>Quando Chiomata in mar la Naue spalma,
<lb/>Di crudo tempestar sente lo sprone,
<lb/>Ma se vele non hà, segno è di Calma.
<pb n= "48"/>
<lb/>ARGOMENTO XVI.
<lb/>Se l’aspetto dell’Altra è smisurato,
<lb/>L’ inopia esce dal poco, e non dal molto,
<lb/>E più d’vn picciol faggio il Pino è grato.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>COrpus magnum, bonum est.
<lb/>An non vides quantum oculis det vigorem fortitudo corporis? 
<lb/>Magna, vt Phœnix, ex interuallo generantur: mediocria, 
<lb/>&amp; in turbam nascentia sæpè fortuna producit,
<lb/>eximia vero ipsa raritate commendat.
<lb/>Magnitudo non habet certum modum.
<lb/>Paucitas est fugienda. 
<lb/>Pictor colores quos ad reddendam similitudinem multos
<lb/>variosque ante se posuit celerrimè denotat, &amp; inter
<lb/>ceram, opusque facili vultu, ac manu commeat.
<pb n= "49"/>
<lb/>SONETTO XVI.
<lb/>Bella Lunga.
<lb/>DICA lingua bugiarda, e non curante,
<lb/>Che troppo eccelso il tuo bel corpo
<lb/>ecceda,
<lb/>Et che di semmetrìa nulla si veda 
<lb/>Nel tuo fuor di misura alto sembiante,
<lb/>E che per tè baciar vuole vn Amante
<lb/>Le piume auer, ch’il Cigno ebbe di Leda,
<lb/>Che non sarà verun, che se lo creda,
<lb/>Se non vn cuor maligno, &amp; ignorante:
<lb/>Sò pur (s’il ver non mente à gli occhi miei)
<lb/>Che son, come se’ tù subblimi, e belle
<lb/>Le Torri, gli Obelischi, e i Mausolei.
<lb/>Ne’ Colossi è maggior l’arte d’Apelle;
<lb/>Son derisi per tutto i vil Pigmei;
<lb/>Vanno i Giganti à saettar le stelle.
<pb n= "50"/>
<lb/>ARGOMENTO XVII.
<lb/>Hà ben questa di Nubi il ciglio inuolto,
<lb/>E porta nella Notte ascoso il giorno,
<lb/>Ma pure Amore è bello, e cieco ha’l volto.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>MIsereri illius opportet, quia luminibus orba est.
<lb/>Habet &amp; nox suas voluptates.
<lb/>Oculi irritamenta sunt vitiorum ducesque scelerum
<lb/>Quam multis voluptatibus via incisa est, quam multis
<lb/>rebus carebis, quas ne videres vel oculi eruendi erant.
<lb/>Detestabilis erit cæcitas si nem ò oculos perdiderit.
<lb/>Celum &amp; terram non aspicis, sed Cæli, terræque dominum
<lb/>spectandi facultas eripitur.
<pb n= "51"/>
<lb/>Bella Cieca.
<lb/>BELLA Talpa d’Amor piango, e
<lb/>rimiro
<lb/>Arco senza saetta oggi il tuo ciglio,
<lb/>Foco senza calor quel tuo vermiglio,
<lb/>Paradiso il tuo sen pien di martiro:
<lb/>Notte, che senza stelle apre il suo giro,
<lb/>Piaggia, oue spunta in van la rosa, e’l giglio,
<lb/>Cielo, oue lcaro andria senza periglio, 
<lb/>Sole spento, Orror dolce, atro Zaffìro.
<lb/>O suenturato, e misero sembiante,
<lb/>Fatto dal tuo destin troppo seuero,
<lb/>Polifemo d’Amor pria che Gigante:
<lb/>Mi sembri senza tuon Gioue guerriero,
<lb/>Mi sembri senza luce il Mondo infante,
<lb/>Ma vede assai, chi vede Amore, e’l vero.
<pb n= "52"/>
<lb/>ARGOMENTO XVIII.
<lb/>Può mentir bella Donna, e senza scorno,
<lb/>Che l’altre qualità colme d’onore
<lb/>Hanno la Fede inuiolata attorno.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>MEntiri solemne est amantibus, ideo non nisi iurantibus 
<lb/>credimus.
<lb/>Vt enim immortalis est veritas, sic fictio, &amp; mendacium,
<lb/>non durant. 
<lb/>Qui in mendacio confidit citò deficit. 
<lb/>Spes est vltimum aduersarum rerum solatium.
<lb/>Ego sum similis illi, qui quamuis nihil speret, semper optat.
<pb n= "53"/>
<lb/>SONETTO XVIII.
<lb/>Bella Bugiarda.
<lb/>BVGIARDA, ogn’vn ti mira,
<lb/>ogn’vn t’apprezza;
<lb/>Ma verun non t’ascolta, e non ti
<lb/>crede, 
<lb/>La magica virtù di tua bellezza,
<lb/>Se trionfa de gli occhi, all’vdir cede.
<lb/>Fosti à mentir fin dalla Cuna auuezza,
<lb/>Guerra porgendo à chi volea mercede,
<lb/>Io sol frà questa tua lieue sciocchezza
<lb/>Alle parole tue, Donna, dò fede.
<lb/>E sì mi gioua vn nò, da quella bocca,
<lb/>Che non sà mai formar detto sincero,
<lb/>Che ripien di dolcezza il cor trabocca.
<lb/>Se tù mi dici vn nò, tengo per vero,
<lb/>Che di goderti vn giorno il sì mi tocca:
<lb/>Se tù mi dici vn sì, qual cosa spero.
<pb n= "54"/>
<lb/>ARGOMENTO XIX.
<lb/>Questa, ch’in balbo suon palesa il core,
<lb/>Fà risonar con interrotti accenti 
<lb/>Vn Ecco soauissimo d’Amore. 
<lb/>SENTENZE.
<lb/>QVid miramur mulierem blesam? cum disertissimos
<lb/>agnouerim viros non respondentes famæ suæ
<lb/>cum declamarent?
<lb/>Nulla illi cura vocis exercendæ fuit.
<lb/>Melius est plus sensus quam verborum habere.
<lb/>Eloquentia nulli tota contigit. 
<lb/>Nec corporum vires ad omnia quæ viribus efficiuntur aptæ
<lb/>sunt. 
<lb/>Eloquens captat pretium ex litium numero.
<lb/>Et quandoquidem Echo sententiæ genus fuit. 
<lb/>Tu qui blesiories, si intellectu polles, magnisque et altis qui in
<lb/>animo sunt sensibus, iucunda vox, &amp; volubilis lingua
<lb/>non suppetit.
<lb/>Virtus laboriosam non querit eloquentiam: disce non ad
<lb/>pompan viuere, non ad pompam loqui, sed veritatis
<lb/>applausum opta.
<lb/>Summa ergo summarum hæc erit, tar diloquum te esse iubeo.
<pb n= "55"/>
<lb/>SONETTO XIX.
<lb/>Bella Scilinguata.
<lb/>BALBA diletta mia Greca nouella, 
<lb/>Qual ferro, ò qual Terèo tua lingua affrena?
<lb/>Qual ingiuria scortese, ò quale stella
<lb/>Ti sforza à scilinguar con Filomena?
<lb/>O di lei più felice insieme, e bella, 
<lb/>Che mi rassembri in vn Cigno, e Sirena, 
<lb/>L’Ecco dell’interrotta tua fauella
<lb/>Raddoppia le speranze alla mia pena.
<lb/>Col tronco suon dell’interrotta voce 
<lb/>Quel dardo se’, che non giungendo al segno,
<lb/>Và per l’aria à piacer, ma nulla nuoce.
<lb/>Che se vuoi dirmi Armati occhi io vi sdegno 
<lb/>Tralasci il suon dell’esse, e l’erre atroce,
<lb/>E proferisci: Amati occhi io vi degno.
<pb n= "56"/>
<lb/>ARGOMENTO XX.
<lb/>Non si biasmin gia mai labbra ridenti,
<lb/>Che non son pensier folli, ò graui falli, 
<lb/>Ma segni di dolcezza , e di contenti. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NOlo tibi vnquam deesse, lætitiam, volo tibi illam
<lb/>domi nasci.
<lb/>Animus debet esse alacer, &amp; fidens , &amp; supra ommia erectus.
<lb/>Hilaritas trisititiam dissipat. 
<lb/>De humano genere melius meretur qui ridet quam qui luget.
<lb/>Maioris animi est qui risum non tenet, quam qui lacrymas.
<lb/>Qui prudens est, &amp; temperans est: qui temperans est
<lb/>&amp; constans est: qui constans est, &amp; imperturbatus est:
<lb/>qui imperturbatus est, sine tristitia est: qui sine tristitia
<lb/>est, beatus est.
<pb n= "57"/>
<lb/>SONETTO XX.
<lb/>Bella che sempre ride.
<lb/>LÀ DOVE s’apre il Ciel sempre
<lb/>traluce 
<lb/>Dello splendor di Dio raggio benigno,
<lb/>È sì piace il color dell’aurea luce,
<lb/>Che dilett’anco vn balenar maligno:
<lb/>Deh, perche non son’ io Sirena, ò Cigno,
<lb/>O delle Diue Ascree l’eterno Duce?
<lb/>Per dolce risonar quell’aureo ghigno,
<lb/>Che nel Ciel del tuo volto Amor conduce.
<lb/>Oh! s’io potessi vn dì pingerne il vero:
<lb/>(Ma ritrar non si può color di foco)
<lb/>Farei marauigliar questo Emisfero.
<lb/>Labbra ridete pur, ch’il Riso è gioco,
<lb/>E non folle balen di van pensiero,
<lb/>Ch’il vostro rider sempre à mè par poco:
<pb n= "58"/>
<lb/>ARGOMENTO XXI. 
<lb/>L’altra ch’inumidisce i suoi coralli,
<lb/>E come Egeria si distilla in pianto,
<lb/>E miniera di Perle, e di Cristalli.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>LAcrymæ fluant quantum affectus eiecerit. 
<lb/>Afflicto paulisper cedendum est. 
<lb/>Omnis dolor per lacrymas effluit.
<lb/>Fatuus in risu exaltat vocem.
<lb/>Excidunt etiam retinentibus lacrymæ, &amp; animum profusæ
<lb/>leuant. 
<lb/>Singula stillicidia, singula specula sunt.
<lb/>Lacryma est indicium inoptatæ rei, &amp; fletus humanarum
<lb/>necessitatum execratio.
<pb n= "59"/>
<lb/>SONETTO XXI.
<lb/>Bella che Piange.
<lb/>TV PIANGI Anima mia, tù
<lb/>piangi, e in tanto
<lb/>Fai così bella vista à gli occhi
<lb/>miei,
<lb/>Ch’vn Argo con cent’occhi io ti vorrei,
<lb/>Per veder da cent’occhi vscirti il pianto.
<lb/>Care stille dell’Alma, io v’amo tanto,
<lb/>Che soura l’onde vostre à nuoto andrei,
<lb/>Perle non hanno gl’Indi, ò gli Eritrei,
<lb/>Ch’agguaglin delle vostre il pregio, e’ l vanto.
<lb/>O fonti, ch’inrigate vn suol di fiori,
<lb/>S’il rider è pazzia, chi piange ogn’ora
<lb/>Dimostra senno, e laua i propri errori.
<lb/>Così si sfoga Amor, che n’addolora,
<lb/>Così temprando i suoi cocenti ardori, 
<lb/>Perche piange essa ancor, bella è l’Aurora ,
<pb n= "60"/>
<lb/>ARGOMENTO XXII. 
<lb/>Il Sol, che solo in cielo vnico hà il vanto 
<lb/>E l’immagin di lei, che Polifema
<lb/>Bella saria con cento Vlissi à canto.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>GRææ habitarunt im Scythia, &amp; vnum oculum, atque
<lb/>vnum dentem hab uerunt, &amp;c.
<lb/>Solent qui alterum oculum amiserunt altero acutius videre.
<lb/>vndi Tiresias ait. 
<lb/>Obruit ora Deus, totamque in pectore lucem Detulit, &amp;c.
<lb/>Luna Soli se opponit , &amp; illum tanto maiorem , subiecto
<lb/>corpore abscondit , modo ex parte, si ita contigit modo
<lb/>totum.
<lb/>Nulla nox est in qua stellæ non videantur ire , &amp; in diuersum
<lb/>abduci. 
<lb/>Quippè manifestum est Solem interuentu Lunæ occultari. 
<pb n= "61"/>
<lb/>SONETTO XXII.
<lb/>Bella con vn’occhio.
<lb/>O, BELLA Grea d’Amor, non
<lb/>già nel volto,
<lb/>Ma nell’occhio conforme al Mostro altero,
<lb/>Anzi in forma d’Amor sagace Arciero,
<lb/>Ch’in vn Ciglio il mirar tutt’hai raccolto.
<lb/>Apri l’altro oramai, se m’hai già colto,
<lb/>Che vuoi tù più, s’al primo colpo io pero?
<lb/>Non voler, che per sempre vno Emisfero
<lb/>Porti la Notte, e l’altro il Giorno inuolto:
<lb/>Ah m’inganno, Idol mio: la tua bellezza
<lb/>Fatta quà giù della Celeste erede, 
<lb/>Più solo vn Sol, che mille stelle apprezza:
<lb/>Ne’ duoi lumi del Mondo anco si vede,
<lb/>Che quand’un poggia alla subblime altezza,
<lb/>L’altro s’asconde immantinente, e cede.
<pb n= "62"/>
<lb/>ARGOMENTO XXIII. 
<lb/>Questa bocca genti di Denti scema,
<lb/>Vn Mar voto è di scogli, e ripien’ d’ostri,
<lb/>Oue si puo solcar senz’altra tema. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>IAm sine dentibus es, iam inter loquendum ridendumque
<lb/>non plenumos habes.
<lb/>Iam inermis cum voluptate luctaberis, minus comedes, parcius
<lb/>ridebis, lentius mordebis, &amp; dentium dolor nullus.
<lb/>Loqui parantem, fracta spes dentium frænabit. Et ab osculis 
<lb/>petulantiam cohibebit. 
<lb/>Hinc Pupula in delicijs meis facta es, dentes tibi cum
<lb/>maxime cadunt. 
<lb/>Qui amicus est amat.
<lb/>Veritaris vna vis, vna facies est. 
<pb n= "63"/>
<lb/>SONETTO XXIII.
<lb/>Bella Sdentata.
<lb/>NON hai, Donna egli è ver, priua
<lb/>de' denti 
<lb/>Quelle porte d’auorio, e quei cancelli;
<lb/>Che frà gli archi di rose vmidi, e belli 
<lb/>Aprono il varco à risonar gli accenti.
<lb/>Ma quell’aure non hai dolci, e ridenti 
<lb/>Imprigionate ancor quando fauelli;
<lb/>Nel mar, che non hà Scogli arditi, e snelli
<lb/>Più vanno i Legni à gareggiar co’ Venti.
<lb/>Chi disprezzò già mai conca gentile
<lb/>Perche le perle sue dolci, e viuaci
<lb/>Si stien lontane à fabbricar monile? 
<lb/>O disarmata Bocca, è mè tù piaci,
<lb/>Perch’ il serpe sdentato è sempre vmìle,
<lb/>E manco hò da temer se tù mi baci.
<pb n= "64"/>
<lb/>ARGOMENTO XXIV.
<lb/>E se Negra costei par che si mostri,
<lb/>Fatta è Carbon dell’amoroso foco,
<lb/>Et per le lodi sue tinge gl’inchiostri.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>ADustus color feruentissimi caloris est indicium.
<lb/>Tantus stellarum innumerabilium fulgor, quem non
<lb/>intentum in se tenet?
<lb/>Lydius lapis attritu aurum prodit cuiusmodi sit. 
<lb/>Quantum ista nocte, quam tu in numerum, ac discrimendemum 
<lb/>obseruas, agitur? 
<lb/>Quanta rerum turba sub hoc fusco colore euoluitur?
<lb/>Mundus per noctem ignes suos fundit. 
<lb/>Nigros autem aspectum virilem præseferre ait Plato 1. 5. 
<lb/>de Rep .
<lb/>Et sol dat spatium noctibus. 
<pb n= "65"/>
<lb/>SONETTO XXIV.
<lb/>Bella Negra.
<lb/>NEGRA sì, ma se’ bella, e chi nol
<lb/>crede 
<lb/>Di tenebre ammantato il Ciel rimiri, 
<lb/>Tù, con due sole stelle incendio spiri
<lb/>Ei, con molt’occhi appena arder si vede.
<lb/>Più soura il Negro tuo, costante il piede
<lb/>Mostra il viuo candor de’ miei sospiri,
<lb/>Più su tua bruna pietra i miei martiri
<lb/>Scopron, com’oro, al paragon mia fede.
<lb/>O del foco d’Amor negro Carbone,
<lb/>Le belle fiamme tue, ch’ auesti intorno, 
<lb/>Del tuo negro color son la cagione.
<lb/>Raggio in torbido Ciel più luce adorno,
<lb/>Di fosca Teti in braccio il Sol si pone,
<lb/>Al fin negra è la notte, e porta il giorno.
<pb n= "66"/>
<lb/>ARGOMENTO XXV.
<lb/>Gozzuta è questa, e parrà certo vn gioco
<lb/>S’io la dico d’Amor mantice alzato,
<lb/>E dirò forse il ver, ma dirò poco. 
<lb/>SENTENZE.
<lb/>NOs quoque Apes debemus imitari, vt quicquid ex
<lb/>diuersa lectione collectum est, stylus redigat in corpus.
<lb/>Columbarum ceruix, colorem, &amp; sumit, &amp; ponit vt cunque
<lb/>deflectitur, vnde Neronis versus.
<lb/>Colla Cytheriacæ splendent agitata Columbe.
<lb/>Nulla res ardentius appetitur qua forma, nulla animum
<lb/>inflammare potentior. 
<lb/>Graij, quam vos diuinationem dicitis, à furore μανΤιχίν,
<lb/>dici volunt.
<pb n= "67"/>
<lb/>SONETTO XXV.
<lb/>Bella Gozzuta.
<lb/>IO ME ne vò com’Ape, e dal
<lb/>tuo fiore
<lb/>Non sò, Donna, cauar se non il
<lb/>mele, 
<lb/>Ragno, ch’a’ danni altrui tesse le tele
<lb/>Ne tragge sempre vn velenoso vmore.
<lb/>Altri biasimeria quel bel candore,
<lb/>Che della Gola tua gonfia le vele,
<lb/>Io nò, che son d’Amor Pecchia fedele,
<lb/>E cerco in mille guise il farti onore.
<lb/>Deh, chi non sà, che se non fosser belle
<lb/>Non trarian Colombe il carro aurato
<lb/>Di Venere Afrodisia alto alle stelle.
<lb/>Et pur Gozzate son, pur han gonfiato,
<lb/>Com’ oggi la tua gola, il collo anch’elle,
<lb/>Mantice forse alle mie fiamme alzato.
<pb n= "68"/>
<lb/>ARGOMENTO XXVI. 
<lb/>O marmo di tue glorie oggi animato,
<lb/>Tù sembri senza senso, e chi ti vede
<lb/>Come in veder Gorgon, resta insensato.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>QVI stolidus est, non tam acria &amp; concitata habet
<lb/>omnia quam quidam quædam- non omnia in
<lb/>singuli extant.
<lb/>Saxo comparatur stoliditas vnde Plaut. in Mel.
<lb/>Nullum est hoc stolidius saxum.
<lb/>Mallem ingenium tardum ac modestum quam velox, &amp;
<lb/>promptum. 
<lb/>Et si omnis homo sensus habet, nec ideo omnes homines 
<lb/>aciem habent Lynceo similem. 
<lb/>Ista quæ tu in decorem sparsa consideras, singulain opere
<lb/>sunt. 
<lb/>Hoc quoque habet stoliditas, semper incipit viuere. 
<lb/>Nemo vsque eo tardus &amp; hebes in terram est, vt ad diuina ,
<lb/>non erigatur, vbi nouum aliquid miraculùm affulsit. 
<lb/>Naturæ admiratores cultoresque sumus, at Natura vtrunque
<lb/>facere nos voluit, &amp; agere &amp; contemplatione vacare.
<pb n= "69"/>
<lb/>SONETTO XXVI. 
<lb/>Bella Insensata.
<lb/>O, TROPPO a’ sensi altrui Donna
<lb/>insensata,
<lb/>Ma, Donna che di luce adegui il
<lb/>Sole,
<lb/>Perche manchino à tè spirti, e parole,
<lb/>Sarà però la tua beltà men grata?
<lb/>Guance di rose hauer, chioma dorata,
<lb/>Neui ch’aprino in sen gigli, e viole,
<lb/>Son marauiglie, à marauiglia sole,
<lb/>Come sola se’ tù Pietra animata.
<lb/>Il Ciel per fabbricar la tua scultura,
<lb/>(Ma scoltura, che spira, e muoue l’orme)
<lb/>Ti volle insieme, e disensata, e dura.
<lb/>O nel vederti à sua beltà conforme
<lb/>Trasecolò per lo stupor Natura,
<lb/>E tù dormi oggi in essa, ella in tè dorme.
<pb n= "70"/>
<lb/>ARGOMENTO XXVII.
<lb/>Donna, pazzo è chi Pazza oggi ti crede,
<lb/>Che quel furor, che la tua mente muoue,
<lb/>E schiettezza d’onor, d’Amor, di fede. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>AVT Regem, aut fatuum nasci oportet.
<lb/>Vir magnus animum deducit à corpore.
<lb/>Animus in hoc tristi, &amp; obscuro domicilio clausus quoties
<lb/>potest, apertiora petit .
<lb/>Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiæ fuit.
<lb/>Non potest grande aliquid supra ceteros loqui, nisi mota
<lb/>mens.
<lb/>O fatua non gemme te, non te margaritæ flexerunt,
<lb/>non tibi diuitiæ &amp;c.
<lb/>Aliquando insanire iucundum est.
<lb/>Interdum sanos mæstos, &amp; furentes lætos vidimus.
<pb n= "71"/>
<lb/>SONETTO XXVII.
<lb/>Bella Pazza.
<lb/>FORSENNATA mia bella, al
<lb/>tuo furore
<lb/>Qual concitato spirto alzo l’Ingegno,
<lb/>E tanto io fossi à celebrarti degno
<lb/>Quanto degna se’ tù d’immenso onore,
<lb/>L’alma del tuo bel corpo oggi maggiore
<lb/>Non sà capirui, ò contener si à segno,
<lb/>E qual Pitia, ancor tù, non hai ritegno,
<lb/>Perch’ Apollo hai nel cor, nel volto Amore.
<lb/>O libera beltà, quì non si vede
<lb/>Di fallace sembianza arte, ò lauoro,
<lb/>Sciolto, e nudo egualmente il petto, e’l piede:
<lb/>O pura, e lieta ogn’or: mentr’io t’adoro,
<lb/>Se non conosci in mè prezzo di fede,
<lb/>Io non veggio anco in tè fame dell’oro.
<pb n= "72"/>
<lb/>ARGOMENTO XXVIII. 
<lb/>S’ il desir di costei non gisse altroue,
<lb/>E fosse nel mio mal sempre costante,
<lb/>Io chiederei pietà, ne saprei doue. 
<lb/>SENTENZE.
<lb/>PRoprium mulieris est nihil diu pati, &amp; mutationibus 
<lb/>vt remedijs vti.
<lb/>Natura enim humanus animus agilis est, &amp; pronus ad
<lb/>motum.
<lb/>Mutatio voluntatis indicat animum natare aliubi, atque
<lb/>aliubi apparere, pro vt tulit ventus.
<lb/>Hæc commouetur quidem, non tamen transit, sed suo loco
<lb/>nutat.
<lb/>Lunam nunquam implet nisi aduersam sibi.
<lb/>Desinit morbum incendium extinguitur, ruina quos videbatur 
<lb/>oppressura, deponitur.
<lb/>Natura autem hoc quod vides regnum, mutationibus temperat. 
<lb/>Et contrarijs rerum æternitas constat.
<lb/>Nec quicquam noxium æternum est.
<pb n= "73"/>
<lb/>SONETTO XXVIII.
<lb/>Bella Inconstante.
<lb/>O, BEL Proteo d’Amor, già non
<lb/>mi doglio
<lb/>Della tua fè, ne del pensier volante, 
<lb/>Se tù fossi ad ogn’or salda, e costante,
<lb/>Nel mar del pianto mio saresti scoglio.
<lb/>Più tosto in questa guisa amar ti voglio,
<lb/>Perche forse anco vn dì vedrotti amante;
<lb/>Cintia ancor ella in Ciel cangia sembiante:
<lb/>La Sibilla in mutar ferma il suo foglio:
<lb/>Anco là di Pelèo la bella sposa
<lb/>Si cangiaua ora in Drago, ora in Leone,
<lb/>Al fin col foco ella si fè pietosa.
<lb/>Così tù del mio foco alta cagione
<lb/>Se non ti fermi vn dì sarà gran cosa,
<lb/>Ch’il mal di rado inuecchia ou’ ei si pone.
<pb n= "74"/>
<lb/>ARGOMENTO XXIX. 
<lb/>Marauiglia è del certo essere amante
<lb/>Di Donna dispettosa, e pur è vero
<lb/>Che spesso piace vn zotico sembiante.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>AEque facilitas amoris, , quam difficultas nocet.
<lb/>Ipsa altitudo attonat summa.
<lb/>Hominem excelsi ingenij virium, humilia delectant &amp;
<lb/>sordida.
<lb/>Optimum est pati, quod emendari non potest.
<lb/>- etiam Amatorem amicæ
<lb/>Turpia decipiunt cæcum vitia, aut etiam ipsa hæc
<lb/>Delectant - Hor. Sat. 1. I. Sat. 3.
<lb/>Nitimur in vetitum semper, cupimusque negata.
<pb n= "75"/>
<lb/>Bella Dispettosa.
<lb/>SONETTO XXIX.
<lb/>Bella Dispettosa.
<lb/>RARO interuien, ch’vn generoso core,
<lb/>Che segga il Regno à dominar del
<lb/>petto,
<lb/>Mentr’ è tutto vaghezze, e tutto amore
<lb/>Sia fonte di disdegno, e di dispetto.
<lb/>Ne’ brutti è ben talor questo difetto, 
<lb/>C’han l’interno conforme à quel di fuore,
<lb/>Ma brutta, e dispettosa anco in effetto
<lb/>La Donna hà di beltà qualche valore.
<lb/>Se’l mel ne stucca, il gusto offende ancora
<lb/>La souerchia in Amor facil dolcezza,
<lb/>Però con l’agro il Zucchero migliora,
<lb/>Quindi costei, ch’in sè non hà bellezza
<lb/>Con quel suo viso arcigno anco innamora,
<lb/>Perche l’huom sempre il denegato apprezza.
<pb n= "76"/>
<lb/>ARGOMENTO XXX.
<lb/>Prouò questa leggiadra vn destin fiero,
<lb/>Ma discoperse à noi la man nemica
<lb/>Di Perle, e d’Ostri vn Oceano intero.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>GRauissimum est ex omnibus, quæ vnquam in corpus
<lb/>eius descenderunt recens vulnus, fateor, sed virtus est inuulnerabilis.
<lb/>Non pudeat animum tot miseriarum victorem aegrè ferre
<lb/>vnum vulnus in corpore.
<lb/>Gaudent magni viri rebus aduersis.
<lb/>Dum gladio incubuisti, virtutum viuam imaginen palam
<lb/>fecisti.
<lb/>Existimauit similia esse quæ laterent, his quæ ostenderentur.
<lb/>Militares viri gloriantur vulneribus, læti fluentem meliori
<lb/>casu sanguinem ostentant.
<lb/>Et inter redeuntes ex acie, magis spectatur qui saucius redit.
<lb/>Seruiant ergo deteriora melioribus: fortes simus aduersus
<lb/>fortuita: non contremiscamus iniurias, non vincula, non
<lb/>vulnera. 
<pb n= "77"/>
<lb/>SONETTO XXX.
<lb/>Bella Ferita.
<lb/>EMPIO cor, cruda voglia, e fera mano
<lb/>Ebbe colui, che il tuo bel corpo offese,
<lb/>Ma quello scelerato atto villano
<lb/>Dalla bellezza tua l’origin prese:
<lb/>Pensò l’ingrato, e nol credette in vano,
<lb/>Al balenar delle tue ciglia accese,
<lb/>Nello squarciar le nubi al petto umano
<lb/>Il Ciel dell’alma tua veder palese.
<lb/>E ben vid’egli uscir pregi diuini
<lb/>Per che, piangendo tù, s’uniro in quello
<lb/>Vn diluuio di perle, vn di rubini.
<lb/>Così si trincia il drappo, ou’ è più bello,
<lb/>S’apre la rete, oue son d’oro i crini,
<lb/>E là si taglia il guanto, ou’è l’anello.
<pb n= "78"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXI.
<lb/>Pur quando la Beltà casta e pudica
<lb/>Di semplice color l’anima veste, 
<lb/>S’hà senza guerra eterna pace amica. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NAtura bona conditione te genuit, 
<lb/>Columba simplicissimum animal est felle carens
<lb/>Satius est perpetua simplicitate contemni, quam perpetua
<lb/>simulatione torqueri. 
<lb/>At illa quantum habet voluptatis sincera, &amp; per se ornata
<lb/>simplicitas nihil obtendens moribus suis. 
<lb/>Faciliùs reges animum, nulla vanitate tumentem.
<lb/>Non potest muliebris excusatio contingere ei, à qua omnia
<lb/>vitia muliebria abfuerint, 
<lb/>Pro optimo est mimime malus. 
<lb/>Et magnus est Pudicitiæ fructus. 
<lb/>Risit Socrates cum ab vxore Xantippe, immunda aqua perfusus fuit.
<pb n= "79"/>
<lb/>SONETTO XXXI.
<lb/>Bella Semplice.
<lb/>CARA Amorosa mia massa di Rose,
<lb/>Impastata di schietto almo candore,
<lb/>Colomba senza fele, e senza core,
<lb/>Che credi, e nulla sai, tutte le cose:
<lb/>Ch’importa à mè s’in tè Natura pose
<lb/>Vn Alma lieue, un semplicetto amore?
<lb/>Hai forse da trar meco i giorni, e l’ore
<lb/>Per disputar delle scienze ascose?
<lb/>Per hauer Prole, e Pace io t’amo allato,
<lb/>E s’auea, come tè, placida sede
<lb/>Socrate con Santippa era beato.
<lb/>E se qual molle cera ogn’vn ti vede, 
<lb/>A mè mi basta sol tenghi improntato
<lb/>Il sigil dell’Onore, e della Fede.
<pb n= "80"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXII.
<lb/>L’Astute non però ci sien moleste
<lb/>Che son le Volpi, e son lodate ancora,
<lb/>Per il danno schiuar più scaltre, e preste.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NON potest Amor cum timore misceri- Consortium
<lb/>rerum omnium inter nos facit amicitia.
<lb/>Astutia mentis est, qua rebus industrijs cautum captatur
<lb/>consilium, &amp; acute despicitur ataque iudicatur quid bonum
<lb/>&amp; versutiæ nomen assumit cum in malum se se contulerit.
<lb/>Qui cauet ne decipiatur, vix cauet cum etiam cauet etiam
<lb/>cum cauisse ratus est. Plat. in cap.
<lb/>Astutum fallere difficile est. Ter. ln Adel.
<lb/>Hoc habent inter cœtera boni mores, placent sibi, &amp; permanent 
<lb/>hinc Pindarus. 
<lb/>Neque fulua Vuulpes neque grauiter rugientes,
<lb/>Leones mutant mores. Pind. Olim ode XI.
<pb n= "81"/>
<lb/>SONETTO XXXII.
<lb/>Bella Astuta.
<lb/>IO per mè non ti biasmo Alma scaltrita,
<lb/>Che fai presidio à tè del proprio ingegno,
<lb/>E ben ch’ogn’vn ti sprezzi, io non ti sdegno,
<lb/>Anzi ti fiderei la propria vita.
<lb/>Chi fù che diede a’Greci eccelsa aita 
<lb/>Se non d’ Vlisse il cauo astuto legno?
<lb/>Vn incauto pensier guinge à tal segno,
<lb/>Che come forsennato altri l’addìta.
<lb/>Tante le Reti son, tanti gl’ inganni
<lb/>Tesi per fabbricar nostra caduta,
<lb/>Che chi scaltro non è, non fugge i danni.
<lb/>Sia pur tù qual tù se’, che non si muta
<lb/>In questa valle misera d’affanni,
<lb/>Ne superbo Leon, ne Volpe astuta.
<pb n= "82"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXIII. 
<lb/>La Guancia che di Vin’ quì si colora,
<lb/>Mostra del core il gran calore interno,
<lb/>E d’onorata Porpora s’onora.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>RVbor in iuuenibus est bonum signum, quibus, &amp;
<lb/>plus caloris est. 
<lb/>Rubeus color alijs nobilior, ideo vestes huiusmodi perfusas
<lb/>colore, honoris causa, tantum Principibus, &amp; Senatoribus 
<lb/>induere permittebatur. l. 2. in verb. de rest.
<lb/>olob. Bart. Cass. Cat. Glor. par. I. 24.
<lb/>Vino natura est hausto accendendi calore viscera Pl. l. 14. c. 5.
<lb/>Neque viribus corporis vtilius aliud, neque aliud voluptatibus 
<lb/>perniciosius, si modus absit.
<pb n= "83"/>
<lb/>SONETTO XXXIII.
<lb/>Bella con voglia di Vino nel viso. 
<lb/>MACCHIA ò Donna non è quel
<lb/>tuo rossore,
<lb/>Che del volto a’ Cristalli il vin
<lb/>dispensa,
<lb/>E’ di Natura vn ottimo liquore, 
<lb/>Che si mesce d’Amor forse alla mensa.
<lb/>Distingue tè con la Liurea d’onore,
<lb/>O nuoua Luna in Cielo esser ti pensa,
<lb/>O ci vuol dimostrar quanto vigore
<lb/>Hebbe d’uman desio la forza intensa.
<lb/>O se tua madre à mè pensaua allora,
<lb/>Certo sarei, che nel tuo volto impresso
<lb/>Il mio foco gentil si vedrebb’ora.
<lb/>Ma l’opposito in mè tutto è successo,
<lb/>Ch’io porto sempre, e null’appar di fuora,
<lb/>Il tuo volto indelebile in mè stesso. 
<pb n= "84"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXIV. 
<lb/>Io nelle piaghe ancor bella ti scerno, 
<lb/>Piaghe che fan la delicata gola
<lb/>Base intagliata al tuo gran nome eterno.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>INtuemini debilia infelicium membra nescio qua tabe consumpta. 
<lb/>Sed animus nobilis supra humama potest se attollere &amp; vlcerationes
<lb/>&amp; vulnera circa se frementia securus aspicere.
<lb/>Tace ingratissime mortalium , quis enim est tam miser, tam
<lb/>neglectus, quis tam duro fato, &amp; in penam genitus, vt
<lb/>deorum munificentiam dum in totum sanatur, non sentiat.
<lb/>Aliquamdo extrinsecus morbus quo admoneatur mortalitatis
<lb/>interuenit , sed id leue, &amp; quod summam cutem
<lb/>stringat.
<lb/>Rex Franciæ tactu sanat infirmos ex illa infirmitate &amp;c.
<lb/>Bart. Cau. Catal. G. M. Pars 5. n. 30 Pag. 126.
<pb n= "85"/>
<lb/>SONETTO XXXIV. 
<lb/>Bella con Gauine.
<lb/>DIRÀ forsi altri, e qual bellezza
<lb/>è grata,
<lb/>Che giaccia oppressa al fulminar
<lb/>dell’onte,
<lb/>Che la parte gentil, ch’al viso è ponte
<lb/>Habbia di piaghe, e di liuor macchiata?
<lb/>Io Cima ti dirò d’eccelso monte
<lb/>Da’ fulmini d’Amor tocca, e segnata
<lb/>La tua Gola dirò base intagliata
<lb/>Per inalzar la gloriosa fronte.
<lb/>Anzi dolce mirando, emmi d’auuiso
<lb/>Piramide veder d’eccelsa Rocca,
<lb/>O’l Mausoleo di chiare note inciso.
<lb/>Affrena, ò detrattor l’indegna bocca,
<lb/>Non disprezzar le piaghe in quel bel viso,
<lb/>Che Dio stesso le sana e’l Rè le tocca.
<pb n= "86"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXV.
<lb/>E tù che solo adopri vna man sola,
<lb/>Sarai forse men cruda, e men rapace, 
<lb/>Se ben con essa Amor l’alma m’inuola. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>QVid ridetis quod non habeo manus ?
<lb/>Nunquam putaui futurum , salua Pudicitia,
<lb/>vt mulier fortis sentiret se manus perdidisse.
<lb/>Im mentem vobis venit misereri huic, quæ manus non
<lb/>habet; qui illorum qui frustra habent , sacrilegi, &amp;
<lb/>homicidæ ? hæc furti non potest esse suspecta.
<lb/>Polypus quicquid attigerit tenet. Plaut. in Aul.
<lb/>Polypo nullum animal ad conficiendum hominem im aqua
<lb/>nocentior, luctatur enim complexu. Pl. l. 9. c. 30.
<lb/>Si apud antiquos nefas putabatur brachium extra togam 
<lb/>exercere; ab his moribus qui manus non habet non 
<lb/>aberrabit.
<pb n= "87"/>
<lb/>SONETTO XXXV. 
<lb/>Bella Monca.
<lb/>SIo non posso cantar per tè ben 
<lb/>mio,
<lb/>GIVNTO mi hà Amor frà belle,
<lb/>e crude braccia,
<lb/>Pusillanimo almen dir non vogl’io, 
<lb/>Il Meglio è ch’io mi mora amando, e taccia.
<lb/>Vò cantar, vò prouar lungi all’oblìo,
<lb/>Che non è cosa in tè che mi dispiaccia,
<lb/>Anzi l’Edra, la Scimia, e’l Polpo è rio
<lb/>Sol per ch’ogn’ vn di lor facile abbraccia.
<lb/>S’ Alcide era qual tè buon per Antèo,
<lb/>Et s’eran come tè l’Euee Baccanti,
<lb/>Sarebbe viuo il pouerello Orfeo.
<lb/>Se stesser nelle braccia i bei sembianti,
<lb/>Chi sarebbe più bel di Briareo?
<lb/>Mà se questo sia ver ditelo Amanti.
<pb n= "88"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXVI. 
<lb/>Tu con quel Naso imperioso audace,
<lb/>Nel pelago d’Amor fanale, e stella, 
<lb/>Per il porto additarmi alzi la face. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NIhil homini Natura quod necessarium sciebat fecit
<lb/>operosum.
<lb/>Magnitudo non habet certum modum.
<lb/>Tu fuge paucitatem.
<lb/>Quædam superuacua sunt, quædam tanti non sunt.
<lb/>Gubernaculum quod naui alteri magnum, alteri exiguum est.
<lb/>Emunctæ naris viros dici eos vsitatum est, qui acri sunt
<lb/>iudicio conspicui. Pier. l. 33. P. 337.
<lb/>Hunc ego me - - 
<lb/>Non magis esse velim, quam naso viuere prauo. Hor.
<lb/>Nasus ipse in prouerbium abijt pro Iudicio.
<lb/>Nasuti homines sunt sagaciores. Vnde Hor. Sat.3.
<lb/>minus aptus acutis
<lb/>Naribus horum hominum,
<pb n= "89"/>
<lb/>SONETTO XXXVI. 
<lb/>Bella Nasuta.
<lb/>QVEL che torreggia imperioso altero 
<lb/>Soura le guance tue Naso reale.
<lb/>In Mar di rose, e latte oggi è fanale,
<lb/>Che scorge con due lumi il mio pensiero:
<lb/>Non lusingo à bell’arte, io dico il vero,
<lb/>Ogni sublime al Ciel s’estolle, e sale,
<lb/>Hà l’arco del tuo ciglio vn grande strale,
<lb/>Perche più mi trafigga Amore arciero.
<lb/>O Naso eletto à braccheggiar la fronte,
<lb/>Tù se’ del Volto in quella Piaggia aprica
<lb/>Di senno il Punto, e di bellezza il Ponte.
<lb/>Lingua che biasma or tè, biasmi inimica,
<lb/>L’Aquila ancora, e’l gran Rinoceronte,
<lb/>Nasidio, i Nasamon, Naso, e Nasica.
<pb n= "90"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXVII. 
<lb/>Ecco di quà venir Pecchia nouella,
<lb/>Che ne faui d’vn volto straforato
<lb/>Incocca le Saette, e i cuor criuella.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>ACquiescamus his quæ iam hausimus, &amp; vultus perforatus
<lb/>appareat, dummodo non perforatus sit animus.
<lb/>Fertilibus agris non est imperandum, cito enim exhauriet illos 
<lb/>nunquam intcrmissa fœcunditas.
<lb/>Non vides quanta subtilitas sit Apibus ad fingenda domicilia, &amp;c.
<pb n= "91"/>
<lb/>SONETTO XXXVII. 
<lb/>Bella Butterata.
<lb/>S’AMOR s’asconde in mezzo à 
<lb/>due fossette, 
<lb/>Che stampa in bella Guancia vn 
<lb/>dolce riso,
<lb/>Tù che n’hai cento, e mille entro al bel viso,
<lb/>Vhai cento, e mille Amori, archi, e saette.
<lb/>O belle cicatrici, ò stampe elette
<lb/>Per le stelle imitar del Paradiso,
<lb/>Per criuellare i cuori emmi d’auuiso,
<lb/>Ch’ Amor trafori in voi quelle Rosette.
<lb/>A che dunque d’intagli hauer pensiero,
<lb/>E d’vn volto scalfito odiar l’oscuro,
<lb/>Mentre l’animo è saldo, e’l cor sincero?
<lb/>Da’ faui perforati il mel vien puro;
<lb/>Il terren pien di fosse, ancorche nero
<lb/>E’ più ricco di frutti, e più sicuro.
<pb n= "92"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXVIII. 
<lb/>Non ci arricchisce ancor di parto amato.
<lb/>Questa steril bellezza, &amp; è mercede
<lb/>Per ch’il raro è quà giù più bello e grato.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>SEgetem nimia sternit vbertas.
<lb/>Ad maturitatem non peruenit nimia fœcunditas.
<lb/>Sterilitas obsequiosas facit mulieres, atque humiles.
<lb/>Quæ plurimos parit iam non vxorem, sed dominam: iam se
<lb/>esse credit.
<pb n= "93"/>
<lb/>SONETTO XXXVIII.
<lb/>Bella Sterile.
<lb/>NE cruda tù, ne di tè stessa auara,
<lb/>Con orma di ragion t’appella il
<lb/>mondo, 
<lb/>Solo il Sol ne’ suoi raggi arde giocondo,
<lb/>E Cintia senza figil Ciel rischiara.
<lb/>Alma sublime eccelsamente impara,
<lb/>Ch’ogni bello è quà giù raro infecondo,
<lb/>Gemma nel sen dell’Ocean profondo
<lb/>Quanto germoglia men, tanto è più cara.
<lb/>Nieghisi il propagar dunque i Tesori
<lb/>A chi di sua beltà tien la radice
<lb/>Più che ne’ figli, impressa in mille cori.
<lb/>Così là sotto vn aureo Ciel felice,
<lb/>Senza prole, ammirata, i suoi colori
<lb/>Serba con più stupor l’alta Fenice.
<pb n= "94"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXIX. 
<lb/>Di lagnarsi costei non hà ragione,
<lb/>Ben che vegga scemar la sua bellezza,
<lb/>Se grauida, ne’ figli la ripone.
<lb/>SENTENZE.
<lb/>NON te fœcunditatis tuæ, quasi exprobret ætatem,
<lb/>pudeat. 
<lb/>Tumescentem vterum ne absconde quasi indecens onus,
<lb/>neque intra viscera tua conceptas spes liberorum elide.
<lb/>Non tempestate vexaris, sed nausea. 
<lb/>Nam Gubernator interdum in tempestate nauseabundus
<lb/>est.
<lb/>Fuisset iniquissima rerum natura, si te sterilem fecisset.
<pb n= "95"/>
<lb/>SONETTO XXXIX.
<lb/>Bella Grauida.
<lb/>DIANZI vn cuor solo haueui, e
<lb/>come Rosa 
<lb/>Grazie spiraui, e Zeffiri d’Amore,
<lb/>Ed or, che tù n’hai due, ti par gran cosa,
<lb/>Ch’in vece di Beltà , cresca il Pallore.
<lb/>Ma deh non ti lagnar gentile Sposa,
<lb/>Patisce il frutto oue s’allega il fiore,
<lb/>Se tieni in tè più d’ vna vita ascosa
<lb/>Si parte anco in due vite il tuo colore:
<lb/>Anco la Naue in mar grauida sente
<lb/>Nausea nel pondo suo, ne si querela
<lb/>Perch’ il bramato porto hà nella mente.
<lb/>Ponelope Tessèo la lunga tela 
<lb/>Sol per di nuouo, hauer, qual tè, dolente,
<lb/>Questo mal che fà capo, e non si cela.
<pb n= "96"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXX. 
<lb/>Questa sì bella appar con sua Magrezza, 
<lb/>Che l’ama Pane stesso, e fuor di modo
<lb/>Qual canna sottilissima l’apprezza.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>VIres non faciunt beatum,
<lb/>Hoc multo fortius est, siccum ac sobrium esse,
<lb/>Siccioribus &amp; frigidis non est ab ira periculum.
<lb/>Pulcherrimus cum decore cum viribus sanus ac siccus imperturbatus 
<lb/>intrepidus.
<lb/>Natura enim humanus animus agilis est.
<lb/>Rami nimis grauati, onere franguntur,
<lb/>Labor bonum non est, res leues, &amp; perferendæ, sunt
<lb/>bonæ. 
<lb/>Vix maciem amare, &amp; ciborum voluptatem contemnere?
<lb/>Exitum specta.
<lb/>Nulla est autem sine dificultate subtilitas.
<pb n= "97"/>
<lb/>SONETTO XXXX.
<lb/>Bella Magra.
<lb/>TRASPARENTE mio Ciel,
<lb/>magra mia bella, 
<lb/>Ch’vn Diafano sembri à gli occhi miei,
<lb/>Doue ogni punto, ogni minuta stella
<lb/>Sotto i Muscoli tuoi, contar potrei. 
<lb/>Tù di vaghezze Anatomia nouella,
<lb/>Che voce, e penne vn Rosignol direi, 
<lb/>Del proprio corpo tuo leggieri, e snella,
<lb/>Vna dote hai quà giù pari à gli Dei:
<lb/>Qual tè secche eran forse Orizia, e Flora,
<lb/>Che, Grassa, non potean portar col fiato
<lb/>I Venti la Beltà, che gl’innamora:
<lb/>E tal Siringa fù nel Ratto ingrato, 
<lb/>Anzi Pan, fatta Canna, amante ancora
<lb/>Perch’è magra, e leggier, l’hà sempre allato.
<pb n= "98"/>
<lb/>ARGOMENTO XLI.
<lb/>Pur di Beltà ch’è Grassa io così godo,
<lb/>Ch’a questa sol m’attengo, e qual vorrei
<lb/>Appien le glorie sue non canto, ò lodo.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>OMnes tui mirantur quæ tam Crassam cervicem habes.
<lb/>Ego vero non; quia debet semper plus esse virium in
<lb/>latore quam in onere. 
<lb/>Venter præcepta non audit, poscit appellat.
<lb/>Luna deficit nunc obumbratur- donec totum impleat orbem.
<lb/>Et nitidæ surgent fruges, ramique virescunt. Vir. 3. æn.
<lb/>Cogita sæpe cælestia ingenia ex hoc fasce corporeæ molis
<lb/>erumpere, &amp; ad miram altitudinem peruenire.
<lb/>Sortita est Venus multa cognomina ab euentis rerum, vt Paphia
<lb/>Mythol. P. 209.
<lb/>Et de Baccho cecinit Euripides. 
<lb/>Cæloque paruum luppiter infantem tulit. in Bac.
<pb n= "99"/>
<lb/>SONETTO XLI.
<lb/>Bella Grassa.
<lb/>BEN mi parrebbe impouerir nell’
<lb/>Oro, 
<lb/>E nel mezzo del Gange ire assetato,
<lb/>S’io fossi, o Bella Grasa, vn di coloro 
<lb/>A cui non piace il tuo sembiante amato.
<lb/>O gusti senza gusto, e che v’è grato
<lb/>Gli Scheretri, le Mummie , e l’ossa loro?
<lb/>Volete forse vn secco legno allato 
<lb/>Viè più d’ vn verde, e rigoglioso alloro? 
<lb/>O Ritondetta mia, dirò sol questa
<lb/>Di tante lodi tue belle, e serene,
<lb/>Che di tè, Nuda ancor, qual cosa resta.
<lb/>Nella Copia Amaltea ricca diuiene 
<lb/>Nella pienezza il piè la Luna arresta
<lb/>Nell’Auge il Sol s’auanza, e lì s’attiene
<pb n= "100"/>
<lb/>ARGOMENTO XLII.
<lb/>E se lentigginosa oggi è costei,
<lb/>Sue Macchie à Cintia assomigliar si denno, 
<lb/>Anzi, se stesse à mè, l’anteporrei. 
<lb/>SENTENZE.
<lb/>TRiticum quamuis sit exiguum cum occupanit idoneum
<lb/>locum vires suas explicat, &amp; ex minimò in maximos
<lb/>actus diffunditur. 
<lb/>Extrinsecus aliqua sunt incommoda, velut eruptiones pustularum,
<lb/>&amp; vlcuscula, nullum in alto malum est. 
<lb/>Atriplex lentigines gignit. Plin. lib.20. c.20.
<lb/>Sunt verò Lentigines maculæ similes lentibus, velfursuræ,
<lb/>aut crustæ frumenti à farina segregatæ.
<lb/>Et decentior est facies, in qua aliquis næuus est.
<lb/>Luna nonnunquam maculosa cernitur, &amp;c. Plin.lia.2.c.9.
<pb n= "101"/>
<lb/>SONETTO XXXXII. 
<lb/>Bella Lentigginosa.
<lb/>CERERE allor ch’à Neptolemo
<lb/>porse 
<lb/>Nel più nobil frumento il cibo accolto, 
<lb/>E che, fattone polue, indi fù tolto
<lb/>De’Boschi il primo pan, che l’huom soccorse.
<lb/>Vide nascer la CRVSCA, e ben s’accorse
<lb/>Qual pregio in auuenir trarrebbe inuolto,
<lb/>Onde alla Figlia sua ne sparse il volto,
<lb/>Della Luna macchiata emula forse.
<lb/>Lentigginosa mia, di lì son ora
<lb/>Le macchie, anzi le stelle in tè discese,
<lb/>Onde la Guancia tua lieta s’infiora.
<lb/>Son dunque onor del Volto, e non offese,
<lb/>E se t’hauesse il gran Licèo di Flora,
<lb/>Ti riporria frà le sue belle Imprese.
<pb n= "102"/>
<lb/>ARGOMENTO XLIII.
<lb/>Quando in giouine età canuto e’l senno,
<lb/>Che sia canuto il pel poco c’importa:
<lb/>Lo disse Erginio all’ Amazone in Lenno. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>NAscuntur enim &amp; iuuenibus in viris cani sæpe,
<lb/>etiam præter ætatis congruum tempus.
<lb/>Vrit in Aetna flamma. Hor. ode 17.
<lb/>Tectum nitidius argento &amp; coloribus sparsum num mediocre 
<lb/>munus vocabis?
<pb n= "103"/>
<lb/>SONETTO XLIII. 
<lb/>Bella canuta innanzi tempo.
<lb/>VILAGNATE, e perche? Chiome
<lb/>diuine, 
<lb/>Che frà le fila d’Oro esca l’Argento?
<lb/>E che Neue di giel v’offenda il Crine
<lb/>Mentre l’Estiuo ardor non anco è spento?
<lb/>Io nò, che frà quel ghiaccio, e quelle brine
<lb/>Il Mongibello mio mancar non sento,
<lb/>Ne sento ancor da quelle Cime alpine
<lb/>De’ miei caldi sospir più freddo al vento.
<lb/>Anzi, segno è del senno il Crin di gelo,
<lb/>E Dio qual bianca nube alto vel pose,
<lb/>Perch’il Sol de’ uostr’occhi habbia il suo Cielo.
<lb/>Quindi spesso dich’io, Guance amorose,
<lb/>Ammirando il Candor del vostro pelo, 
<lb/>Sotto vn tetto di Gigli, ecco le Rose.
<pb n= "104"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXXIV.
<lb/>Habbi pur Amor mio la Guancia smorta, 
<lb/>La Pallidezza tua m’è sempre amica,
<lb/>Ch’il foco nelle Ceneri si porta. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>HOmines graui valetudine explicit- omnem colorem
<lb/>corporis sui calumniantur. 
<lb/>Quæ ad placendum fuco quodam subornantur, expectant
<lb/>annos, donec paulatim colorem diuturnitas ducat.
<lb/>Sæpe felicitatis causa &amp; initium fuit quod calamitas vocabatur.
<lb/>Etiam si oculorum aciem contundat &amp; colorem mutet.
<pb n= "105"/>
<lb/>SONETTO XXXXIV.
<lb/>Bella Scura.
<lb/>SCOLORITO ben mio, languido
<lb/>Giglio,
<lb/>Anzi già di Beltà purpureo fiore,
<lb/>Ch’al Prato delle Guance, onde se’ figlio
<lb/>Scriui in pallide foglie il tuo dolore:
<lb/>Prima destaua Amor quel tuo vermiglio,
<lb/>Oggi desta Pietà quel tuo pallore,
<lb/>Ond’Amore, e Pietà fatt’han consiglio
<lb/>Col tuo pallido piombo aprirmi il core.
<lb/>Per conseruare il fuoco oggi il tuo volto
<lb/>Stassi, ò bell’Idol mio, qual Carbon suole
<lb/>Frà scolorita Cenere sepolto.
<lb/>Or quì venga à mirar chi veder vuole
<lb/>Il giorno nelle tenebre sepolto,
<lb/>O nelle pallide ombre ardere il Sole.
<pb n= "106"/>
<lb/>ARGOMENTO XLV.
<lb/>Ma che dirò di te mia fiamma antica,
<lb/>Se non che vuole amor che l’Alba mia,
<lb/>Del mio cadente. Dì l’Espero io dica.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>ET futura, &amp; Præterita delectant, hac expectatione
<lb/>hac memoria- 
<lb/>Pecoribus fatigatis fortior domum gradus est.
<lb/>Iucundissima est ætas deuexa iam, non tamen præceps.
<lb/>Deditos vino, potatio extrema delectat.
<lb/>Ætnæ læta regio in ipso ore montis niues habet, quas mec
<lb/>æstas quidem soluit, adeo tutæ sunt ab igne vicino.
<pb n= "107"/>
<lb/>SONETTO XLV.
<lb/>Bella Antica. 
<lb/>PRIMA fiamma del cor, se bene
<lb/>è spento
<lb/>De gli anni all’Ombra il tuo color
<lb/>viuace, 
<lb/>Ancor duri, ancor t’amo, ancor mi piace
<lb/>L’antico rimembrar dolce tormento. 
<lb/>Che se l’Ingegno mio torbido, e lento
<lb/>Già su Pindo immortal trascorse audace,
<lb/>Guerra de’ pensier miei souente, e pace
<lb/>Da’ chiari lumi tuoi l’obbligo sento;
<lb/>Marmo s’ammira ancor trà le ruine,
<lb/>Non perde i primi oggetti impresso il core,
<lb/>Ne s’agghiaccia il pensier se imbianca il Crine.
<lb/>Non per Arco allentar piaga è minore,
<lb/>Immutabil destin non trova il fine,
<lb/>Etna in fronte hà le neui in sen l’ardore.
<pb n= "108"/>
<lb/>ARGOMENTO XXXXVI.
<lb/>Quì sì, ch’ogni gran saggio il senno obblía 
<lb/>Come può stare, e Brutta, e Bella insieme
<lb/>In buona legge di Filosofia?
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>VEruntamen è priuatione ad habitum non datur regressio.
<lb/>Arist. 
<lb/>Sed ex deformi humilique corpusculo formosus animus, ac
<lb/>magnus interdum erumpit.
<lb/>Quæ malam faciem habent sæpius pudicæ sunt-vt scire
<lb/>possimus, non deformitate corporis fædari animum.
<lb/>Sed pulchritudine animi corpus ornari.
<lb/>Reptilium quæ dente notent ictuque ferarum, &amp;c.
<lb/>hoc ex vnguento, &amp;c. egregium antidotum-
<lb/>Et quodcumque grabatum -
<lb/>Te poteris tuta semper conferre salute.
<pb n= "109"/>
<lb/>Bella totalmente Brutta. 
<lb/>QVI’ si, che non potrà lingua mortale, 
<lb/>Con quanti furon mai colori adorni,
<lb/>Pingere al senso altrui debile, e frale,
<lb/>Che doue tolto fù l’abito torni,
<lb/>E pur tù Brutta in fin dal tuo natale
<lb/>Frà mille di Natura oltraggi, e scorni,
<lb/>Negro il sen, Torto il naso, Occhio ineguale,
<lb/>Di più d’ vn cuore à trionfar ritorni.
<lb/>Quell’occulto vigor, quel Tuon, quel Brio,
<lb/>Quel, ch’io ridir non sò d’alta virtute,
<lb/>Rapiscon l’altrui vista, e’l pensier mio.
<lb/>La Triaca così frà l’arti mute
<lb/>Di Mummie, e Serpi , e Sangue, e Tosco rio,
<lb/>Vn composto diuien, che dà salute,
<pb n= "110"/>
<lb/>ARGOMENTO XLVII.
<lb/>Ma se giunge Bellezza all’ore estreme,
<lb/>Chi non dirà costei lume superno,
<lb/>Che di Vecchiezza l’Eclissar non teme?
<lb/>SENTENZE 
<lb/>TVnc sanæ mentis oculus acutè cernere incipit, cum
<lb/>corporis oculus incipit hebescere.
<lb/>Longa conuersatio Amorem inducit. 
<lb/>Vnicum tibi ornamentum, pulcherrima, &amp; nulli obnoxia
<lb/>ætati forma. 
<lb/>Ne forma quidem &amp; vires beatam te facere possunt,
<lb/>nihil horum non patitur vetustatem. 
<lb/>Habes aliud argumentum, quod probes diu vixisse præter
<lb/>ætatem . 
<lb/>Omnium virtutum tenera sunt principia, tempore ipsis duramentum 
<lb/>&amp; Robur accedit. 
<lb/>Et nemo tam senex est, vt improbè vnum diem speret.
<pb n= "111"/>
<lb/>SONETTO XLVII.
<lb/>Bella Vecchia.
<lb/>TÈ DOVE indarno al primo Aprile Amore
<lb/>Lungamente auuentò l’ armi fatali, 
<lb/>Con bellezze antichissime immortali 
<lb/>Serba oggi il Tempo ad infiammarci il core.
<lb/>Soura i solchi del volto estiuo ardore
<lb/>Porta spighe di fè salde, e vitali,
<lb/>E s’or qual era il petto, i crin son tali,
<lb/>Il Giglio ancora in testa hà bianco il fiore.
<lb/>Verde legno non arde, e Quercie annosa
<lb/>Più sparge i Rami, e più diuien costante
<lb/>Scudo al Sol, Freno a’Venti, agli Augei posa.
<lb/>Tù, quasi Vesta à nuouo Altare auante, 
<lb/>Serbi l’eterno foco in fiamma ascosa,
<lb/>Che pargoletto Amor, Vecchio è Gigante.
<pb n= "112"/>
<lb/>ARGOMENTO XLVIII.
<lb/>Porti la Febbre il caldo, ò porti il verno,
<lb/>Beltà sempre scintilla, e quì fi vede, 
<lb/>Che chi ben ama vn giorno ama in eterno.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>ET si non potest quisquam beatè degere, qui se tantum
<lb/>intuetur, qui omnia ad vtilitatem suam conuertit -
<lb/>Hic ardor quamuis grauis, optabilis est: disce his angustijs
<lb/>illas euadere, quibus nec Physicus, nec herba medicabitur.
<lb/>Corpus valetudo tenet, non animum. 
<lb/>Equidem scio quod malorum vltimum est amare malum-
<lb/>sed me ipsum diligo.
<lb/>Cui enim non ex alieno incomodo lucrum ? 
<lb/>Exhibetur etiam in lectulo virtus: aut tu febrem relinques ,
<lb/>aut ipsa te- quia est virtuti etiam in lectulo locus. 
<lb/>Et nemo diu ardet.
<lb/>Consortium rerum omnium inter nos facit amicitia.
<lb/>Corporis enim ad tempus bona valetudo est. 
<pb n= "113"/>
<lb/>SONETTO XLVIII.
<lb/>Bella Febbricitante.
<lb/>BEN ch’io lodi il Calor, ch’il sen
<lb/>t’accende,
<lb/>E toglie al polso il moto suo natìo, 
<lb/>Barbaro sì crudel non sono oggi io,
<lb/>Ch’i volessi mirar quel che t’offende:
<lb/>Ma se più bella il duol Donna ti rende
<lb/>S’il tuo volto nel mal fassi più pio,
<lb/>Non cerco il danno tuo, cerco il ben mio,
<lb/>Ch’alla propria salute ogn’huomo attende.
<lb/>Mentre lagnare, e sospirar ti sento,
<lb/>E mentre in chiusa fiamma arder ti miro,
<lb/>Spero ancor io pietà del mio tormento.
<lb/>Anzi se nella febbre anco ti ammiro
<lb/>Tutto il mondo saprà con mio contento,
<lb/>Ch’in tutte le fortune io spero, e spiro.
<pb n= "114"/>
<lb/>ARGOMENTO XLIX. 
<lb/>Rimiri questa esangue or chi nol crede,
<lb/>Gradita infin col suo pallor gelator
<lb/>Perche rara bellezza à nulla cede. 
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>QVicquid ad summum peruenit ad exitum properat
<lb/>Cui nasci contigit , mori restat.
<lb/>Ad extrema peruenisti , iam nec mortem metues nec optabis, 
<lb/>nec corporis animique defectibus subiacebis
<lb/>Mors omnium dolorum est solutio , est &amp; finis
<lb/>Solem occidentem comtemplari licet.
<lb/>Et non habet spectatorem, nisi cum deficit
<lb/>Minus molestiarum habet funus.
<lb/>Et quando in quies, tibi proderit istud quod exitu discis ,
<lb/>aut in quam rem? in hanc, vt ego quoque exeam melior.
<pb n= "115"/>
<lb/>SONETTO XLIX. 
<lb/>Bella Morta. 
<lb/>SÈ giunta, Anima mia, sè giunta
<lb/>al porto 
<lb/>Vltimo della speme, e degli amori,
<lb/>Et è sì bella in quegli estremi orrori
<lb/>Ch’ all’ombra della Morte inuidia io porto.
<lb/>Oggi dal tuo morir son fatto accorto,
<lb/>Che gradisconsi ancor seccati i fiori,
<lb/>Che distaccati i frutti escon migliori,
<lb/>Ch’è più dolce il piacer quant’ è più corto.
<lb/>Fulminaua lo sguardo, ardeua il crine, 
<lb/>Feriano i detti, il duolo era più forte,
<lb/>Era in somma il tuo dì pien di ruine.
<lb/>Or queto il tutto in sì beata sorte,
<lb/>Per esser come tè bella nel fine,
<lb/>Se potesse morir, morria la Morte.
<pb n= "116"/>
<lb/>ARGOMENTO L. 
<lb/>Anzi ch’ella vna sola a’ Roghi al Fato
<lb/>S’inuola sí , che nel sepolcro è forte ;
<lb/>Ma taci, ò Musa à questa Tomba allato,
<lb/>CH’io non sò più cantar dopo la Morte.
<lb/>SENTENZE. 
<lb/>IVcundum est redire in antiqua studia.
<lb/>Memoria est ex omnibus partibus animæ maxime delicata , &amp;c. 
<lb/>Iucundissima amissorum recordatio. 
<lb/>Mouet lugentem desiderium eius quem dilexit. 
<lb/>Omnia humana breuia , &amp; caduca sunt.
<lb/>Per lacrymas argumenta desiderij quærimus, 
<lb/>Præsentia bona non dum tota in solido sunt, futura pendent,
<lb/>&amp; incerta sunt. Quod præterijt inter tuta sepositum
<lb/>est.
<pb n= "117"/>
<lb/>SONETTO L.
<lb/>Bella Sepolta.
<lb/>ANCOR mi scalda, ò bella estinta
<lb/>il foco,
<lb/>Che nel cenere tuo serbi sepolto,
<lb/>L’immagin del tuo spirto, e del tuo volto
<lb/>Non mi può cancellar tempo ne loco.
<lb/>Anzi quel primo incendio era ombra, e gioco
<lb/>Del Mongibel, c’hò nel mio petto accolto:
<lb/>La memoria in pensar quel che gli è tolto
<lb/>Più brama il ben, che le durò sì poco.
<lb/>Oh forza insuperabile d’Amore, 
<lb/>Che la vita mi auuiua al Rogo accanto, 
<lb/>E nel diaccio mortal m’accresce ardore. 
<lb/>Pur lo scemeria forse il pianger tanto,
<lb/>Ma in questa Tomba, oimè, del miser core
<lb/>V’entran le Fiamme, e non vi passa il Pianto.
<pb n= "118"/>
<lb/>Argomenti de’Cinquanta Sonetti de’ Paradossi
<lb/>sopra la Bellezza, e dignità delle Donne, etc. che
<lb/>ridotti insieme formano vn Capitolo.
<lb/>DONNE, e voi che le Donne hauete
<lb/>in pregio 
<lb/>Date oggi orecchie à questi miei furori, 
<lb/>Ond’io v’intesso vn disusato fregio.
<lb/>1 Eccoui vn bello April carco di fiori,
<lb/>Che ben che pargoletto all’Alba giunto,
<lb/>Desta souente inopinati ardori.
<lb/>2 La bellezza raccolta in picciol punto
<lb/>Non per questo è minor, ma luce, e splende,
<lb/>Come perla incastrata in bel trapunto.
<lb/>3 Ne Bolla di maligno vmore offende
<lb/>Volto gentil d’vna cortese amante,
<lb/>Ch’Aquila a’ rai del Sol nuoua si rende.
<lb/>4 Questo leggiadro, e misero sembiante,
<lb/>Che sopra le sue spalle il Mondo porta,
<lb/>Ditelo pure vn fauorito Atlante.
<lb/>5 Et questa, che vi sembra e Zoppa, e torta
<lb/>Pur si deue lodar, ch’il piede infetto
<lb/>Il bel corpo da noi lungi non porta,
<lb/>6 Non reputate mai colpa, ò difetto
<lb/>Le bellezze di certe sciamannate,
<lb/>Ma di Natura vn’ artifizio schietto.
<lb/>7 Le Guance di costei di Giallo ornate 
<lb/>Emule son del Sol, ch’il dì comparte,
<lb/>Et hanno i Fonti ancor l’accque oppilate .
<pb n= "119"/>
<lb/>8 Occhio, che guarda in ciascheduna parte,
<lb/>Per non vibrare in vn quel che c’offend e, 
<lb/>Vsa maggior pietà con più bell’arte.
<lb/>9 Vna Sorda beltà, che non c’intende,
<lb/>Può domandarsi Imperial virtute, 
<lb/>Che sol col Cenno à comandare attende.
<lb/>10 Labbra di rose hauer tacite, e mute, 
<lb/>Non è credete à mè, non è vergogna, 
<lb/>Ma con gloria di lei vostra salute. 
<lb/>11 Et questa, ch’alle Palme eccelse agogna, 
<lb/>Di compatir mitabilmente impara 
<lb/>Il pruríto d’altrui nella sua Rogna. 
<lb/>12 Questa Guancia sfregiata è così cara, 
<lb/>Ch’vn Zodiaco parmi, oue più forte 
<lb/>Il Sol degli occhi suoi l’Alba rischiara.
<lb/>13 S’adiri pur la generosa, e forte,
<lb/>L’ira è Cote d’Amor frà genti amate, 
<lb/>E soffresi in altrui con minor sorte.
<lb/>14 Sotto lacere vesti, e rappezzate 
<lb/>Le Carni di costei sembrano al Sole 
<lb/>Aperte dai Rubin Poma granate.
<lb/>15 Questa non hà le Chiome, e non sen’duole,
<lb/>Che Fortuna col Teschio anco pelato 
<lb/>Troua chi la vagheggia, e chi la vuole.
<lb/>16 Se l’aspetto dell’altra è smisurato 
<lb/>L’inopia esce dal poco, e non dal molto, 
<lb/>E più d’vn picciol pruno il Pino è grato.
<lb/>17 Hà ben questa di Nubi il ciglio inuolto, 
<lb/>E porta nella Notte ascoso il giorno, 
<lb/>Ma pure Amore è bello, e Cieco hà’l volto.
<pb n= "120"/>
<lb/>18 Può mentir bella Donna, e senza scorno:
<lb/>Che l’alte qualità colme d’onore
<lb/>Hanno la fede inuiolata attorno.
<lb/>19 Questa, ch’in Balbo suon palesa il core,
<lb/>Fà risonar con interrotti accenti,
<lb/>Vn Ecco soauissimo d’Amore.
<lb/>20 Non si biasmin già mai labbra ridenti, 
<lb/>Che non son pensier folli, ò graui falli;
<lb/>Ma segno di dolcezza, e di contenti.
<lb/>21 L’altra ch’inumidisce i suoi Coralli,
<lb/>Et come Egeria si distilla in pianto,
<lb/>E miniera di Perle, e di Cristalli.
<lb/>22 ll Sol, che solo in Cielo vnico hà il vanto
<lb/>E l’immagin di lei, che Polife ma
<lb/>Bella saria con cento Vlissi à canto.
<lb/>23 Questa Bocca gentil di Denti scema 
<lb/>Vn Mar voto è di Scogli, e ripien d’Ostri,
<lb/>Oue si può solcar senz’altra tema.
<lb/>24 E se Negra costei par che si mostri,
<lb/>Fatta è Carbon dall’amoroso foco,
<lb/>E per le lodi sue tinge gl’inchiostri.
<lb/>25 Gozzuta è questa, e parrà certo vn gioco
<lb/>S’io la dico d’Amor mantice alzato,
<lb/>E dirò forse il ver, ma dirò poco.
<lb/>26 O Marmo di tue glorie oggi animato
<lb/>Tu sembri senza senso, e che ti vede,
<lb/>Come in veder Gorgon resta insensato.
<lb/>27 Donna Pazzo è chi Pazza oggi ti crede,
<lb/>Che quel furor, che la tua mente muore
<lb/>E’ schiettezza d’Onor, d’Amor’, di Fede.
<pb n= "121"/>
<lb/>28 S’il desir di costei non gisse altroue, 
<lb/>E fosse nel mio mal sempre costante, 
<lb/>Vna Pietra amerei, che non si moue.
<lb/>29 Marauiglia è del certo essere amante
<lb/>Di Brutta e dispettosa, e pur è vero, 
<lb/>Che spesso piace vn Zotico sembiante.
<lb/>30 Prouò questa leggiadra vn destin fiero,
<lb/>Ma discouerse à noi la man nemica 
<lb/>Di Perle, e d’Ostri vn’Oceano intero.
<lb/>31 Pur quando la Beltà casta, e pudica 
<lb/>Di semplice color l’anima veste, 
<lb/>S’hà senza guerra, eterna pace amica.
<lb/>32 L’Astute non però ci sien moleste,
<lb/>Che son le Volpi, e son lodate ancora 
<lb/>Per il danno schiuar più scaltre e preste.
<lb/>33 La Guancia, che di Vin quí si colora,
<lb/>Mostra del core il gran calore interno, 
<lb/>E d’onorata porpora s’onora. 
<lb/>34 Io nelle piaghe ancor bella ti scerno, 
<lb/>Piaghe, che fan la delicata gola 
<lb/>Base intagliata al tuo gran nome eterno.
<lb/>35 E tù, che solo adopri vna Man sola
<lb/>Sarai forse men cruda, e men rapace,
<lb/>Se ben con esca Amor l’alma m’inuola.
<lb/>36 Tù con quel Naso imperioso audace, 
<lb/>Nel Pelago d’Amor Fanale, e Stella 
<lb/>Per additarmi il Porto alzi la face.
<lb/>37 Ecco di quà venir Pecchia nouella,
<lb/>Che ne’ Faui del Volto straforato 
<lb/>Incocca le saette, e i cuor criuella.
<pb n= "122"/>
<lb/>38 Non c’arrichisce ancor di parto amato
<lb/>Questa steril bellezza, ed è ragione,
<lb/>Perch’ il raro è quà giù più bello, e grato.
<lb/>39 Di lagnarsi costei non hà cagione,
<lb/>Benche vegga scemar la sua bellezza
<lb/>Se grauida ne’ figli la ripone. 
<lb/>40 Questa sì bella appar con sua magrezza,
<lb/>Che l’ama Pane stesso, e fuor di modo
<lb/>Qual Canna sottilissima l’apprezza.
<lb/>41 Pur di Beltà, ch’è Grassa io così godo,
<lb/>Ch’à questa sol m’attengo, e qual vorrei
<lb/>Appien le glorie sue non canto, ò lodo.
<lb/>42 E se lentiginosa oggi è costei,
<lb/>Sue macchie à Cintia assomigliar si denno,
<lb/>Anzi se stesse à mè l’anteporrei.
<lb/>43 Quando in giouane età canuto è’I senno,
<lb/>Che sia canuto il pel poco c’importa,
<lb/>Lo disse Erginio all’Amazzone in Lenno.
<lb/>44 Habbi pur, Amor mio, la Guancia smorta,
<lb/>La pallidezza tua m’è sempre amica,
<lb/>Ch’il foco nelle Ceneri si porta.
<lb/>45 Ma che dirò di tè mia fiamma antica,
<lb/>Se non che vuole Amor che l’Alba mia
<lb/>Del mio cadente Dì l’Espero io dica?
<lb/>46 Quì sì ch’ogni gran saggio il senno obblía,
<lb/>Come può stare, e Brutta, e Bella insieme
<lb/>In buona legge di Filosofia?
<lb/>47 Ma se giunge Bellezza all’ore estreme,
<lb/>Chi non dirà costei lume superno,
<lb/>Che di Vecchiezza l’ecclissar non teme?
<pb n= "123"/>
<lb/>48 Porti la Febbre il Foco, ò porti il Verno 
<lb/>Beltà sempre resiste, e quì si vede, 
<lb/>Che chi ben ama vn giorno ama in eterno. 
<lb/>49 Rimiri questa esangue or chi nol crede 
<lb/>Gradita in sin con suo pallor gelato 
<lb/>Perche rara bellezza à nulla cede. 
<lb/>50 Anzi ch’ella vna sola a’ Roghi al Fato 
<lb/>S’inuola sí, che nel sepolcro è forte;
<lb/>Ma taci, ò Musa à questa Tomba allato, 
<lb/>CH’io non sò più cantar dopo la Morte.
<pb n= "124"/>
<lb/>TAVOLA
<lb/>DE’ SONETTI. 
<lb/>1 A Cerbetta Beltà, Bimba amorosa. à car. 19.
<lb/>14 Altri vagheggi pur gli ostri di Tiro. 45
<lb/>50 Ancor mi scalda, ò bella estinta il foco. 117.
<lb/>9 À rai del guardo, al fulminar del viso. 35.
<lb/>19 Balba diletta mia Greca nouella. 55.
<lb/>49 Bench’io lodi il calor, ch’il sen s’accende 113.
<lb/>17 Bella Talpa d’Amor piango, e sospiro. 51.
<lb/>18 Bugiarda ogn’vn ti mira, ogn’vn t’apprezza. 53.
<lb/>42 Ben mi parrebbe impouerir nell’Oro. 99.
<lb/>31 Cara amorosa mia massa di rose. 79.
<lb/>2 Centro dell’alma mia picciolo in vero. 21.
<lb/>4 Come fè, come errò cieca à natura. 25.
<lb/>42 Cerere allor ch’à Neptolemo porse. 101.
<lb/>39 Dianzi vn cuor solo haueui è come Rosa. 95,
<lb/>34 Dirà fors’altri, e qual bellezza è grata 85.
<lb/>16 Dica lingua bugiarda; e non curante. 49.
<lb/>30 Empio cor cruda voglia è fera mano. 77.
<lb/>27 Forsennata mia bella al tuo furore. 71.
<lb/>8 Inuida di quel ben, ch’in te non miri. 33.
<lb/>32 Io per mè non ti biasmo alma scaltrita. 81.
<lb/>25 Io me ne vò com’Alpe, e dal tuo fiore. 67.
<lb/>20 Là doue s’apre il Ciel Sempre traluce. 57.
<lb/>33 Macchia ò Donna, non è quel tuorossore. 83.
<lb/>38 Ne cruda tù ne di te stessa auara. 93.
<lb/>24 Negra sì, ma se’ bella, e chi nol crede. 65.
<pb n= "125"/>
<lb/>6 Ne quanti furon mai chiodi, o martelli. 29.
<lb/>23 Non hai Donna, egli è ver priua de’Denti. 63
<lb/>12 Non saria bello à mio giudizio il Cielo 41.
<lb/>28 O bel Proteo d’Amor già non mi doglio. 73.
<lb/>22 O bella Grea d’Amor, non già nel volto. 61.
<lb/>15 O Diochi non dirà Calua Donzella, 47.
<lb/>3 O di Perle viuaci, egre, ma belle. 23
<lb/>10 O nel silenzio eternamente ascosa. 37.
<lb/>26. O troppo a’ sensi altrui Donna insensata. 96.
<lb/>Proemio Donne io prendo à cantar la forza ardente. 17.
<lb/>45 Prima fiamma del cor, se bene è spento. 107.
<lb/>13 Qual’or commossa à generoso sdegno, 43.
<lb/>36 Quel che torrereggia imperioso altero, 89.
<lb/>46 Quì sì, che non potrà lingua mortale. 109.
<lb/>29 Raro interuien ch’vn generoso core, 75.
<lb/>37 S’Amor s’asconde in mezzo à due fossette. 91.
<lb/>7 Se quel color, di cui s’ammanta il Sole. 31.
<lb/>44 Scolorito ben mio, languido Giglio. 105.
<lb/>11 Se del vasto Eritreo conca Gemmata. 39.
<lb/>49 Se’ giunta Anima mia, se’ giunta al varco. 115.
<lb/>35 S’io non posso cantar per te ben mio. 87.
<lb/>5 Su due Basi ineguali Idol del core 27.
<lb/>47 Tè doue indarno al primo Aprile Amore. 111.
<lb/>40 Trasparente mio Ciel, magra mia bella. 97.
<lb/>21 Tù piangi Anima mia, tù piangi, e intanto. 59
<lb/>43 Vi lagnate, e perchè? guance diuine. 103.
<lb/>Il Sig. Canonico Bardi si compiaccia di vedere se nelle presenti 
<lb/>Rime si contenga cosa, che repugni allo stamparle,
<lb/>e riferisca appresso; il di 22. di Maggio 1637.
<lb/>Vincenzio Rabatta Vicario di Firenze.
<lb/>Nelle presenti Rime non hò trouato niente, che repugni alla fede
<lb/>Cattolica, e buon costumi, e perciò le giudico degne
<lb/>che si stampino
<lb/>Vincenzio Bardi. Canonico Fiorentino.
<lb/>Attesa la relazione presente, Concedesi che queste Rime, e
<lb/>scherzi Poetici si possino stampare, osseruato però li soliti 
<lb/>ordini D. il di 28. di Maggio 1637. 
<lb/>Vincenzio Rabatta Vicario di Firenze.
<lb/>Adi 30. Maggio 1637.
<lb/>Si può Stampare F. Gio. Inq. Gen.
<lb/>Alessandro Vettorio Aud. di S. A.
</body>
</text>
</TEI>
Alessandro Adimari's Tersicore (1637): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Ingrid Horton OCR Cleaning Crystal Hall XML Creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Based on the copy held by the Biblioteca Nazionale Centrale di Roma in partnership with Google Books. LA TERSICORE o vero SCHERZI, E PARADOSSI POETICI sopra la Beltà delle Donne Fra difetti ancora ammirabili, e vaghe OPERA DEL. SIG. ALESSANDRO ADIMARI Ridotta in 50. Sonetti Fondati principalmente sopra l'autorità d'A. Seneca il morale, & concatenati in un Capitolo. I Terzetti del quale seruon per Argumenti. In Fiorenza nella nuova Stamperia d’Amadore Massi e Lorenzo Landi 1637. Con Licenza de’ Superiori Adimari, Alessandro Florence Massi, Amador; Landi, Lorenzo 1637.

This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).

This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.

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INOFFENSVS LA TERSICORE o vero SCHERZI, E PARADOSSI POETICI sopra la Beltà delle Donne Fra difetti ancora ammirabili, e vaghe OPERA DEL. SIG. ALESSANDRO ADIMARI Ridotta in 50. Sonetti Fondati principalmente sopra l’autorità d’A. Seneca il morale, & concatenati in un Capitolo. I Terzetti del quale seruon per Argumenti. In Fiorenza nella nuova Stamperia d’Amadore Massi e Lorenzo Landi 1637. Con Licenza de’ Superiori pb n= "5"/> Al Serenissimo Principe D. Lorenzo di Toscana I PARTI degl’Ingegni sublimi non sono per dir’ vero Serenissimo Principe bisognosi d’alcuna protezione. In vano i censori, o troppo diligenti, o troppo ambiziosi s’affaticano in trouar’ neo d’imperfezione, doue l’arte con mano esquisita non lasciò luogo ad emenda. Il perchè l’Inuidia allora s’ammutolisce, & à suo malgrado costretta, non dirò à dar lode à chi la merita, ciò troppo repugnando alla natura di lei, ma se non altro cedendo la vittoria, à confessor si perdente con un violento tacere. Nulladimeno parendo che la modestia accresca all’altre virtù vn non sò che di splendore, vsano i gran Letterati raccomandar la difesa de’ loro componimenti, ben che perfetti, e perciò esenti dall’offesa, à Personaggi, che mercè dell’autorità, che tengono possino insin le cose oscure, e vili rendere stimabili, e riguardeuoli. Da così lodeuol costume allontanato non si sarebbe il Sig. Alessandro Adimari, Autore de’ presenti Sonetti (tanta è la modestia di lui) se di sua volontà si fussero dati alle Stampe, ma hauendone à questi giorni donata vna copia all’Illustriss. Sig. Iacopo Gaddi, forse perchè la nuoua Accademia eretta nella sua Casa, antico Liceo de Letterati, passassi talora con essi l’ore del caldo; quel Signore, per mia ventura, s’è contentato di lasciarmeli stampare: ond’io nell’istesso tempo mi son risoluto à dedicarli al Glorioso Nome di V.A.S. non tanto per secondare l’uso comune, quanto per dare vn segno dell’infinita mia osseruanza, e diuozione verso di lei, che essendo vn verdeggiante LAVRO, ben può sotto l’ombra sua Sereniss. far crescer gli Allori del Parnaso più gloriosi: Sì degni ella intanto gradire il mio buon animo, e riceuendo questo, non men diletteuole, che fruttuoso componimento, riconosca in esso l’istessa viuacità d’ingegno, l’istessa erudizione, & arte ben fondata di poetare, che sempre in tutte l’ altre cose del Sig. Adimari sono state celebrate, e ammirate dagl’Intelletti più chiari, che il nostro Secolo onorino, mentre inchinandomi con la reuerenza che debbo a V. A. S. le prego dal Cielo quanto ella merita, cioè quanto desidera l’ottima sua volontà. Di Firenze li 5. Luglio 1637. Di V. A. Sereniss. Vmiliss. e diuotiss. Ser. Lorenzo Landi. Lo Stampatore a’ Lettori. L’AVTTORE di quest’Opera, come quegli, che fù sempre prudentemente ingegnoso, e leggiadro, si dispose negli anni suoi giouenili dedicare à ciascheduna delle noue Muse vn raccolto di cinquanta sonetti, non come fece Herodoto, che senza allusione, & à caso honorò i libri dell’Istoria sua col titolo delle Muse, mà togliendo occasione della materia, dall’offizio, o dal nome di esse. E’ già qualche anno, che diede alle stampe la Polinnia, compositione politica, la quale fù riceuuta à ragione con lode, & applauso non ordinario: haurebbe proseguito in far’ imprimere il rimanente dell’ Opere, se non fusse stato occupato nella mirabil Parafrasi di Pindaro, & allora, come di presente, impiegato dal Sereniss. Padrone in cariche principali. Io spero nondimeno cortesi Lettori, che si come è stata da me ottenuta la Tersicore quasi furtiuamente, benchè stata per le mani di Principi, e Personaggi grandi in Firenze, & in Roma, così habbia il Sig. Adimari à fauorir le mie stampe di suo proprio volere, e consentire che i litterati godano finalmente le sue nobili, e virtuose fatiche. Dal far questo non può distorlo ne la sua età, ne le dignità che tiene, le quali due cose hanno saputo sconsigliarlo dal conceder la pubblicazione di questo componimento; imperciocchè gli altri sette, che restano non son punto disdiceuoli alla grauità di qualsiuoglia più costumata persona. Con tale speranza leggete dunque le perfettioni imperfette delle Donne, opera fatta à quel fine, che egli stesso’ discorre nella seguente lettera, in quei tempi scritta scherzeuolmente al Sig. Bronzini, auuertendo però, che per dar forza è questi capricciosi concetti, fingendosi che sopra ciascheduna materia parli vn’amante, non si deuono considerare come affetti dell’Autore, ma come passioni di chi secondo il suo gusto innamorato ragioni. Onde riceuete per vostra benignità qualunque cosa in buon senso, e come detta da chi poeticamente scriue, e Christianamente e viue, e crede. Il frutto, che trar se ne deue oltre al diletto, sia, che ogni Marito ami la Moglie, ancorchè non perfettamente bella: perchè la Donna Onorata non hà difetto, che lodare, e sopportar non si possa: e l’Huomo prudente armato di pazienza in simili casi non hà miglior soccorso, se non che. Quicquid inuitus faceret, volens faciat. Al molto Illustre Sig. mio Osseruandiss. Il Signor CRISTOFANO BRONZINI d’Ancona. LA Musa TERSICORE, considerata in questo luogo per vna di quelle forze, o cognizioni, mediante le quali l’animo nostro intende, & con metrica legge esplica il già formato concetto, come vuol Zetze nelle Chiliadi, può, s’io non m’inganno, molto ben patrocinare i presenti Scherzi, o Paradossi Poetici; per che il suo proprio è di cantare cose soaui, & piaceuoli. at suauis tibi tradita Tibia fertur Terpsichore, & c. Scrisse Callimaco nell’Epigramma, oue à ciascuna delle Pieridi il proprio offizio disegna. Et Virgilio, dandole il muouere, il comandare, & il crescer gli affetti. ,, Terpsichore affectis Cytharis mouet, imperat, auget. ancor egli m’assicura (parlando io fuori della comune oppinione della Beltà delle Donne) che questa Musa, e non altra habbia mosso, comandato, & accresciuto in me nuoui, e festosi concetti: aiuta il pensiero, anzi interamente lo sigilla, e conferma, l’esser Tersicore madre delle Sirene, le quali non solamente furono insieme difettose, e belle, ma furon prese dagl’ingegnosi ritrouatori delle fauole per quel suon di voce, che lusingando & adulando adolcisce la mente humana: Partorisca adunque la nostra Tersicore, non quella viziosa adulazione, che tentaua d’addormentar Vlisse, e’ compagni per divorarli, ma quell’eccesso di lode, che si deue à chi molto merita, quali son le Donne, per maggiormente gradirle: Et se volessimo scherzar sopra l’Etimologia del nome, forse non senza qualche fondamento, potremmo dire, che la voce Tersicore ci significa l’obbligo, ch’ella hà di far belle, e terse le Donne, dal Verbo Τερσώνω, quod est abstergerese, & χόρη, quod est puella, come nota Eustatio. Et belle, e terse non deue far quelle, che per se stesse interamente son vaghe, ma quelle che per accidente, o per natura hanno sopra di loro qualche imperfezione, o difetto; Ond’io forse, con queste chiacchiere seruirò al concetto, ch’ebbe A. Seneca il Morale, quando disse. In Matrimonio præcipias, quomodo viuat cum Vxore aliquis quam virginem duxit, quomodo cum ea, quæ alicuius Matrimonium experta est, quemadmodum cum locuplete, quemadmodum cum indotata, & c. Acciòche ciascuno si contenti della sua sorte, & se di tutti i difetti non parlò, il medesimo Autore, ch’in tutti questi Sonetti mi è scorta, poco prima hauea detto, che Præcepta singulis dare incompræhensibile opus est. Per queste ragioni io non hò dubitato di porre in fronte è questa Operetta il nome dell’istessa Tersicore; ma con più sicuro consiglio mi son risoluto à mandarne anticipatamente questa prima Copia à V.S. poiche trattandosi del pregio delle Donne, ella, che n’è, per dir così, Tesorier generale, mediante i dotti ragionamenti de’ suoi graziosi Dialogi, deue raccogliere ogni altra moneta, o censo à loro spettante: E questo mio non sarà forse d’altra valuta, che d’autenticare in qualche parte i suoi detti; poiche s’il merito delle Donne è tale, che fin trà l’ombre de’ naturali, & accidentali difetti risplende, di qual fede sarà degno, chi della DIGNITÀ, e NOBILTÀ delle Donne senza Paradossi ragiona ? Mando à V.S. adunque per ora il sudetto Censo in Cinquanta Sonetti raccolto, così rozzo, e semplice, come dalla mia sterile, & incolta vena è cauato: Resta, che V.S. per farmi vna delle solite grazie sue su la pietra paragone del suo giudizio ne riconosca la Lega, & assaggiatola, auuertiscas’è Moneta da lasciar correre nell’Erario delle ricchezze, e pregi femminili, senza biasimo dell’Età e della professione di me, che l’ho battuta per dare vna pagamorta à quel’ poco d’ozio che mercè d’vn SEREN. Sole nel Gouerno della quietissima, e nobil Città di SAN’ MINIATO oggi virtuosamente ritrouo. Però come cordialissimo & sincero amico dicami il vero, porgendomi il piu sicuro parere che la rara sua intelligenza le somministri: altrimenti, io mi protesto, se io ne sarò condennato, d’accusarla colpeuole del danno, che mene potesse resultare, e di pretenderne la conueniente refazione, se però i Legisti che frà gli strepiti di questo Tribunale continuamente ho d’attorno nel §. omnes ff. de Action. non m’ingannano. Intanto comandi anco à me conseruandomi per suo, e Dio N. Sig. la Feliciti. Di V.S.M. Illustre. Ser. Aff. Alessandro Adimari. TAVOLA delle Materìe. A Dirata o Sdegnosa Sonetto. 13 a cart. 43. Antica. 45 107. Astuta. 32 81. Brutta in generale. 47 109. Bugiarda. 18 53. Butterata. 37 91. Calua. 15 47. Canuta. 43 103. Cieca. 17 51. Dispettosa. 29 75. Febbricitante. 48 113 Ferita. 30 77. Con Gauine. 34 85. Gobba. 4 25. Grauida. 39 95. Grassa. 41 99. Guercia. 8. 33. Gozzuta 25 67. Incostante. 28 73. Insensata. 26 69. Lentigginosa. 42 101. Lunga. 16 49. Macchiata. 33 83. Magra. 40 97. Monca. 35 87. Morta. 49. 115. Muta. 10 37. Negra. 24 65. Nasuta. 36 89. Con vn Occhio, o Monocula. 22 61. Oppillata. 7 31. Pargoletta. 1 19. Pazza. 27 71. Piccola. 2. 21. Piangente. 21 59. Rognosa. 11. 39. Ridente. 20 57. Sfregiata. 12 41. Sdentata. 23 63. Sciatta. 6 29. Scilinguata. 19 55. Scura. 44 105. Semplice. 31 79. Sorda. 9 35. Sterile. 38 93. Stracciata. 14 45. con Vaiolo. 3 23. Vecchia. 47 111. Zoppa. 5 27. In Laudem Operis. FRANCISCI MARIÆ MARCHINII EPIGRAMMA. Si qua Puellarum nitido spectabilis ore Prodit, Fortunæ est, non Genitricis opus: At tibi quam Natura negat malè Fæda Puella Reddere quis formam Carmina, posse putet? TERPSICHORE tu sola potes, cui carmina dictat, Et melior doctam tangit APOLLO chelim. Iam Fædis cedent Nymphæ, Charitesque Puellis, Ipsa etiam cupiet Turpior esse Venus. Errori Correzione à carte 17 frà le fiamme frà le Nubi 19 sotto il focile sotto’l focile 48 picciol faggio piccol pruno 87 qualte qual tù come te come tù 95 Tessèo tesseo 97 qual te qual tu ratto ingrato ratto armato 103 e che neue di giel e che la neue e’l giel 111 & è si bella e se’ si bella 124 come Alpe come Ape 126 vettorio Vettori. ARGOM. DEL PROEMIO. E Principio del Capitolo. DONNE, e voi che le Donne hauete in pregio, Date oggi orecchie a questi miei furori, Ond’io vi tesso vn disufato fregio. SENTENZE. Contra totius generis humami opiniones nunc vox mittenda est - nam Quæ ego scio non probat populus, quæ probat populus ego nescio. Omnia ex opinione suspensa sunt. Scias tamen quod occupandi temporis causa, non im præconium aliquod, hæc simplici stylo scripsi. Tu sic audias quomodo si tibi præciperem qua ratione bonam valetudinem tuearis. PROEMIO DONNE io prendo à cantar la forza ardente Di quel, ch’il Ciel vi diede, vnico dono, E s’incredibil cose io vi ragiono, Quando parla di voi, Musa non mente. Come offesa nell’alto il Sol non sente, Varchi tra’l fango, o trà le fiamme, e’l tuono, Così vostre bellezze inuitte sono, Benche sembrin talor men vaghe, e spente. Risplende in voi della Beltà superna Vn certo ascoso ardor con tanti rai, Ch’ offuscar non lo può mancanza esterna. TERSICORE gentil, tu che lo sai, Mostrale à chi nel ver l’anima interna, Che son Belle ad ognor, Brutte non mai. ARGOMENTO I. Eccoui vn bell’April carco di fiori, Che ben che pargoletto all’Alba giunto, Desta souente inopinati ardori. SENTENZE. TEnera ætas tua refugit omne non tantum quod sordidum, sed & quod sordido simile est. Et quicquid ætati meæ vigoris abscessit, id ad me ex tua. Ignis verò valentem materiam citò occupat. Sol modico die calidissimas nubes euincit, at matutino tempore -facilius sustineri potest. Lux quæ solem antecedit percutit aërem, & statim calefacit, quia lux ipsa sine calore esse non potest, cum ex calore fiat. Ignis qui nascitur, et ex saxo prodit simul & fit, & cadit. Ignis omnes ætates, omnium vrbium ciues, tàm viros, quàm fæminas vrit. Pueritiæ maximus in exitu decor est. SONETTO I. Bella Pargoletta . ACERBETTA beltà, Bimba , amorosa, Non anco auuezza à balbettar d’Amore, Ch’io sospiri per tè par sì gran cosa, Ch’io non hò chi mi creda il mio dolore; Ma, se nel verde suo punge la rosa, Se nella boccia ancor s’ammira il fiore, Chi non conoscerà, beltà vezzosa, Ch’il foco al nascer suo porta calore? Hò visto (Infante mia) sotto il focile Sì tosto sfauillar pietra nouella, Che di subito accende escagentile: Più luce in sul mattin Venere stella, Più dell’estiuo Agosto è vago Aprile, E più del mezzo dì l’Aurora è bella. ARGOMENTO II. La Bellezza raccolta in picciol punto, Non per questo è minor, ma luce, e splende Come perla incastrata in bel trapunto, SENTENZE. NVnquam in honorem huius corpusculi mentiar. Corpusculum si nihil fieri sine illo potest, necessariam rem crede. Corpus ingens, animi pondus. Et quis vnquam de exigua conquestus est sarcina? Exiguum natura desiderat. Et habiliora sunt corpora pusilla. Nunquam enim contexti , nisi per vnitatem corporis nisus est, cum partes consentire ad intensionem debeant, & conferre vires. Aër autem si in Atomos diuiditur, sparsus est. Vitiosum est vbique quod nimium est. SONETTO II. Bella Piccola . GENTRO dell’Alma mia, picciolo in vero, Ma del Ciel di beltà punto fatale, Oue per ogni parte il mio pensiero Sempre concorre à terminare eguale: Piccolo è il Polo : e se ne và l’Arciero In picciol segno à saettar lo strale; Picciola è l’Ape, e fà con l’ago altiero Sì dolce il mele, e sì noioso il male. O raccolto mio ben, poco esser dei, Per che ne’Monti, e nell’Egeo profondo Son le Perle, e i Diamanti anco Pigmei. Quindi il tuo picciol sen m’è sì giocondo, Che quand’Atomo ei fosse, io crederei Con quell’Atomo sol far bello il mondo ARGOMENTO III. Nè Bolla di maligno vmore offende Volto gentil d’vna cortese amante, Che nuoua à’ rai del Sole Aquila ascende. SENTENZE. Amor tegit pulchritudines scena sua dignas. Aquila Pennis grauata fontem petit cuius aspergine pennas egerit, mox in iuuentam redit. Aquæ tempestiuè data remedij locum obtinet. Non sentit animus ætatis, ac valetudinis iniurias, viget, & magnam partem oneris in infirmitate deponit. SONETTO III. Bella con Vaìuolo. O DI Perle viuaci, egre, ma belle Gemme al calor d’accesa febbre alzate, Che per sentier di latte, vmide stelle Forse vn più vago Olimpo oggi indorate, Voi di Scena d’Amor tele nouelle, Per diletto maggior gli ostri celate, Come le nubi in queste parti, e in quelle Cuoprono il Sol, per mitigar l’estate: Non si dolghin per voi gli offesi amanti, Per chi’ Gigli del volto, e le viole Sotto maligno vmor cangin sembianti; Così di stille aspersa Aquila suole Gettar l’antiche sue piume volanti, Per meglio alzarsi à gareggiar col Sole. ARGOMENTO IV. Questo leggiadro, e misero sembiante, Che sopra le sue spalle il Mondo porta Ditelo pure vn fauorito Atlante. SENTENZE QVis enim dixerit Naturam malignè cum hac muliere egisse, & virtutes illius in arctum retraxisse? -num Rempub. læsit?- Morbi ad sanitatem inclinant, cum ex abdito erumpunt. Diminutas scapulas in deforme tuber extudit, vt fortunæ iniquitas in eius beneficia sæuientis magis hominum animos percelleret. Non est illa magnitudo: tumor est: nec corporibus copia vitiosi humoris intensis, morbus incrementum est, sed abundantia. Cæterum par illi, mihi crede, vigor, par ad honesta libera facultas, laborem doloremque ex æquo si consueuit patitur. SONETTO IV. Bella Gobba. COME fè ? come errò ? cieca è Natura Forse, o sdegnata alla vendetta intese? Ma l’innocenza tua quando l’offese Suenturata beltà, deforme, e pura? Ti fè d’Angelo il volto, indi empia, e dura Vn globo indegno al tuo bel collo appese: Formò ne’ raggi tuoi due stelle accese, Poi confuse col Ciel la Terra oscura: Ahi ch’ella errò, ma fù destin fatale: Pensò fingere Amor nudo, e volante, E materia abbondò nel fargli l’Ale: E se fallo non fù, ritrasse Atlante, Per dimostrar, ch’à sostenere eguale Sarebbe il Mondo ancor Donna bastante. ARGOMENTO V. E questa, che vi sembra e zoppa, e torta Pur si deue lodar, ch’il piede infetto Il bel corpo da noi lungi non porta. SENTENZE. NVllum habile membrum est, si corpori par est. Certissimum argumentum firmitatis suæ capit si ad blanda nec it, nec abducitur. Quia vitium non est in rebus. Nec tribuendum est insonti Naturæ. Ignis enim hac illac palpitando discurrit. Quemadmodum flamma surgit in rectum, iacère, ac deprimi non potest, non magis quam quiescere. Noctem dies sequitur: Pars Cæli consurgit, pars mergitur. SONETTO V Bella Zoppa. SV DVE basi ineguali, Idol del core, Questa vaga bellezza oggi si vede, Nè però ci si mira, o ci si crede Fallo dell’Arte, o di Natura errore: Quasi Dea della Fiamma, e dell’Ardore, Alternandosi anch’ella, or s’alza, or cede; E dritt’ è, se Vulcano hà zoppo il piede, Ch’abbia la sua Vulcana anch’oggi Amore. Così forse men fero, e meno audace Si mira, Amanti, il suo corporeo velo Chino ad ogni suo passo, e men fugace. E così forse, a portar caldo, e gelo, Zoppo (per dir così) con l’aurea face, S’inchina, e sorge in sù due Poli il Cielo. ARGOMENTO VI. Non reputate mai colpa, o difetto Le bellezze di certe straccurate, Ma di Natura vn artifizio schietto. SENTENZE. HVic mulieri minimè conuenit occupatio exercendi lacertos, & dilatandi ceruicem, & vestes firmandi. Faciem lenocinijs, ac coloribus nunquam polluit. Nunquam ei placuit vestis, quæ nihil amplius quam vt nudam componeret. – Sed vtcumque res tulit, ita vixit. Vnicum sibi ornamentum pulcherrima, & nulli obnoxia ætati forma. Nec faciunt meliorem Equum aurei fræni. Placet non in ambitionem prolata vestis, non ponderibus, aut tormentis splendère cogentibus pressa, sed domestica, & vilis, nec seruata, nec sumenda sollicitè. Contemptus corporis sui, certa libertas est. SONETTO VI. Bella Sciatta. NE QVANTI furon mai chiodi, o martelli, Non che spilli d’argento , o lacci aurati, I tuoi panni adattar ponno, o i capelli, Nell’incomposto lor sempre ostinati : Ma tiengli pur disciolti, e scapigliati: Vagano i rai del Sol, però son belli: Mira vn’ augello in gabbia, & un ne’ prati, Più dolce canter à questo, che quelli. Generoso destrier non ama il freno, Le sciolte chiome tue son Berenici, Degne da collocarsi in Ciel sereno. Donna, c’hai da per tutto i Cieli amici, Sia rabbuffato il crin, sia sciatto il seno, Le negligenze tue sono artifici. ARGOMENTO VII. Le guance di costei di giallo ornate Emule son del Sol, ch’il dì comparte, Et hanno Fonti ancor l’acque oppilate. SENTENZE. SOlis vis, & lux integra est, etiam inter opposita, Et quamuis aliquid interiace at in opera est. Aduersus Solem non potest nebula. Quoties enim inter nubila luxit non est serano minor, Virtuti opposita nihil durabunt. SONETTO VII. Bella Oppilata. SE quel color di cui s’ammanta il Sole, Et si fregia il più ricco alto metallo Non si deue apprezzar, perch’egli è giallo, Donna in difesa tua non hò parole. Se, perch’è chiuso il varco, ond’uscir suole L’onda in alto à spicciar liquido ballo, E’ della Fonte inremissibil fallo, A Dio bella Oppilata, ami chi vuole: Ma s’il Fonte è l’istesso anco oppilato, Se quanto d’oro è più Febo, è più caro, Di te mio Fonte, e Sol, nulla è più grato. Anzi da questo il tuo gran pregio imparo, Ch’il ferro à gli altri è morte, à te, passato Nelle viscere tue, vita è l’acciaro. ARGOMENTO VIII. Occhio, che guarda in ciascheduna parte Per non vibrare in vn quel che c’offende Vsa maggior pietà con più bell’arte. SENTENZE. INuidia nos inquietat dum comparat. Hoc mihi præstitit, sed illi plus. Sed illi maturius. Sed marcet sine aduersario virtus. Ista puella redemit vitia virtutibus, & plus habet quod laudes, quam quod ignoscas. Luna dissimillimum Soli lumen accipit. Et Luna, & Sol alio atque alio occurrentes loco, curiosos nos esse cogunt, quando in rectum feruntur, quarè agantur retro. Est ne dedecus vt omnes stellæ inter se dissimilem habeant aliquatenus faciem, diuersissimam Soli? Non erit digna suspectu Luna, etiam si otiosum sydus transcurrat ? Et quis in Orientem Occidentemque diffusos amnes vituperabit? SONETTO VIII. Bella Guercia. INVIDA di quel ben, ch’in tè non miri Perche biasmi costei lingua mordace, Perche de gli occhi suoi la doppia face Si volga obliqua in due diuersi giri ? Oue lasci il bel sen, nido a’ sospiri? L’aurata guancia sua perche si tace? Dunque per vn sol neo, che ti dispiace Conuien, ch’ogn’ altro onor più non s’ammiri? Miseri noi, se quel bel ciglio ardente Dritto scoccasse ognor saette, e dardi Non resteria nel Mondo alma viuente: Dunque perch’ all’Occaso il Sol riguardi, E Cintia volga i rai verso Oriente Difettosi del Ciel credi gli sguardi? ARGOMENTO IX. Vna sorda Beltà, che non c’intende Puo domandarsi imperial virtute, Che sol col ciglio à comandare attende. SENTENZE. PAuescis ad cæli fragorem, & ad inane nubilum trepidas, & surdescis, quedamodum nilus eluctatus obstantia in vastam altitudinem subitò destitutus cadit cum ingenti circumiacentium regionum strepitu, quem perferre gens ibi è Persis collocata non potuit, obtusis assiduo fragore auribus. Obtemperandum est potentiori, & si verbis iussus non fueris; & grauia suopte nutu imperet, &c. Imperat interdum Princeps, non eloquio, nec lingua, sed oculis, digitisique SONETTO IX. Bella Sorda. A’RAI del guardo, al fulminar del viso, Al tuon de gli Archi, onde saetta il crine; Al cader del mio pianto in due diuiso, Se’ fatta sorda, ò bella Donna al fine. E quasi Catadupi à tè vicine T’hanno l’orecchio in tal maniera vcciso, Che s’hauesser velen cose diuine, Vn Aspe ti direi del Paradiso. Or che poss’io sperar de’ miei lamenti, Mentre hai sol nelle Dita e segni, e senno, Che tù senta il mio duol, se tè non senti? Ah, che son pregi tuoi, ch’à te si denno; Bellezza imperiosa, occhi possenti Non han da comandar se non col cenno. ARGOMENTO X. Labbra di Rose hauer tacite, e mute Non è credete a me, non è vergogna , Ma con gloria di lei vostra salute. SENTENZE. VOX bomum non est. Muta animalia humamis affectibus carent. Surge tu mute, sed quid excitaris ? rogare non potes. Genus est rogandi , rogare non posse. Serò beneficium dedit , qui roganti dedit. Si quis fauces oppresserit, stes tamem & silentio iuues. Nunquam inutilis est opera ciuis boni: iussu, vultu, nutu, incessuque ipso prodest. Nihil tam acerbum est in quo non æquus animus solatium inueniat. Interdum calamitates in remedium cessère, & leuioribus incommodis grauiora sanata sunt. Quid necesse est diutius torqueri, cum tam facile remedium Vlysses socijs, etiam aduersus Sirenas inuenerit ? Loquax est virtus, nec ostendit se tantum sed ingerit. SONETTO X. Bella Muta. O’ NEL silenzio eternamente ascosa, Tù muta se’, che cento lingue alletti, Tù muta se’, che mille voci affretti A cantar tua beltà bocca amorosa ? Ma pur labbra vermiglie anco hà la Rosa, E lingue d’oro il Giglio, e non han detti: Forse, perche tacendo i propri affetti, Fassi l’alma più saggia, e men fastosa. Chi sà, che mentitrici aspre catene Non fosser le tue voci, ond’altri vide Imprigionato il cor trà mille pene? Buon per noi, se nel Mar l’empie omicide Fosser, come se’ tù, mute Sirene, Che sarien belle, e non sarieno infide. ARGOMENTO XI. E questa ch’alle Palme eccelse agogna, A compatir mirabilmente impara Il prurito d’altrui nella sua Rogna. SENTENZE. Vlcera quedam nocituras manus appetunt, & tactu gaudent, & feram corporum scabiem delectat quidquid exasperat. non aliter dixerim voluptati esse laborem vexationemque. Tu non ignara mali miseris succurrere disce. SONETTO XI. Bella Rognosa. SE DEL vasto Eritreo Conca gemmata Spargesse frà le Perle Ostri diuini, E trà i Cinabri suoi Rosa odorata Portasse i Gigli aspersi, e i Gelsomini; Chi potria rimirar cosa più grata Ne’ campi di Cristallo alabastrini? In tal guisa se’tù, beltà macchiata Di Coralli sanguigni, e di Rubini. Che se Tigre d’Amor sembri alla pelle (Manto condegno al crudo tuo rigore) Sembri anco vn vago Ciel cinto di stelle: Ma se laceri tè nel tuo candore, Ah pensa, ingrata, à quant’anime ancelle, Con prurito maggior laceri il core. ARGOMENTO XII. Questa Guancia sfregiata è così cara Ch’vn Zodiaco parmi, oue più forte Il Sol de gli occhi suoi l’Alba rischiara. SENTENZE. OMnis de vniuerso quæsto in cælestia sublimia, & terrena diuiditur. Omnis rerum naturæ materia dividitur. Omnia quæ im notitiam nostram cadere possunt, mundus complectitur, ex his quædam sunt partes, quædam materiæ loco relicta. Proscissum aratro solum , & iteratum, solutior terra facilius patet radicibus. SONETTO XII. Bella Sfregiata. NON saria bello, à mio giudizio, il Cielo, Nè bene andrebbe à suo cammino il Sole , Se quell’immenso, e spazioso velo Fosse vn campo indistinto, vna sol mole: Ma, perch’vn fregio anch’ei nel volto vuole, Che parta gli Equinozi, il caldo, e’l gelo, Quindi è, ch’i fior germoglia, e le viole, E ci scuopre egualmente amore, e zelo. Che parria non diuiso vn crine sciolto? Che saria non arato vn vasto suolo? Se non di spine vn bosco orrido, e folto? Quel segno, adunque, ò Donna, oggi è’l tuo Polo, Anzi, perche due Soli hai nel bel volto, Due fregi hauer douresti, e non vn solo. ARGOMENTO XIII. S’adiri pur la generosa, e forte: L’Ira è cote d’Amor frà genti amate, E soffresi in altrui con minor sorte. SENTENZE. FÆmina cum Irascitur delectat, quid cum blanditur? Iram calcar virtutis esse, Aristoteles ait, hac erepta, inermem animum, & ad conatus magnos pigrum inertemque fieri. Vtilis est Ira quia contemptum effugit, & malos terret. Irascuntur boni. Amantium Iræ Amoris redintegratio est. Quia nullus hominum auiumque concentus interrumpet cogitationes bonas. Solatia expectas conuicia accipe. Fer mores si immutari nequeunt, & qualiter foris viuas domi disce cum Socrate. SONETTO XIII. Bella Adirata. QVALOR commossa à generoso sdegno. Gonfi le labbra, e torci il guardo in giro, Sì bella, è bizzarretta, io ti rimiro, Che di Pallade il volto appar men degno. Diede l’Ira d’Achille a’ Greci vn Regno: Gli sdegni ad Alessandro il Mondo apriro: Si che se non t’adiri oggi io m’ adiro, Che son l’ire d’Amor di pace il segno. Che nuoce à me sentirti oggi alterare, Se mille volte ascolto i Cani ingrati E sopporto i lor gridi, e l’abbaiare? Deh strepita pur tù, che quei Iatrati Mi possono vna fiera al più donare, Tù m’arricchisci ognor di figli amati. ARGOMENTO XIV. Sotto lacere vesti, e rappezzate Le Carni di costei sembrano al sole Aperte da i Rubin Poma granate. SENTENZE. CErnimus Pulchritudinem quam vis sordido obtectam. Illa non est Paupertas si læta est. Nemo alius est Deo dignus quam qui opes contempsit. Huic speciosa facies est, potest mendicus formosus esse. Nudos videbis Deos, omnia dantes, nihil habentes. Athletæ vt vires cædentis exhauriant, nudari se patiuntur. SONETTO XIV. Bella Stracciata. ALTRI vagheggi pur gli ostri di Tiro, E di seriche pompe il corpo ammanti, Ch’io, mendica mia bella, i tuoi sembianti Più ricchi in questi stracci amo, & ammiro. O Sol, che frà le nubi, e frà’l zaffìro D’vno squarciato Cielo apri i tuoi vanti, Posson per tutto i desiosi Amanti Ferirti con lo sguardo, e col sospiro. Tù, qual vago Giardin, mostri di fuori Per i cancelli tuoi, ch’aperti stanno, E del fianco, e del sen le rose, e i fiori. Così gli Atleti al campo Eleo sen’ vanno (Abito, che s’adatta anco à gli Amori) Ricchi di palme, e poueri di panno. ARGOMENTO XV. Questa non hà le chiome, e non sen’ duole Perchè Fortuna il Teschio anco hà pelato E troua chi la segue, e chi la vuole. SENTENZE. FÆmina Calua morbis virilibus damnata. Non minus comatis quam caluis molestum est pilos velli. Cometæ significant tempestatem, & ventorum intemperantiam atque imbrium . Fortuna frontem habet capillatam, verum vbi semel se vertit ab occipitio calua, vnde versus. Fronte capillata, post hæc occasio calua. Magnus Gubernator, & scisso nauigat velo: & si exarmauit, tamen reliquias nauigij aptat ad cursum. Et descendit, vt ait ille: Cærul a ad infernas velificata rates. SONETTO XV. Bella Calua. O, DIO, chi non dirà Calua Donzella, Che le bellezze tue chiare, e diuine Sian rose senza foglie, e senza spine, O senza fronde, e fior selua nouella? E pur nell’alto Ciel crinita stella Và sempre orrenda à minacciar ruine, E pur calua da tergo, e senza Crine Fortuna è dolce in rincontrarci, e bella. O gran follìa d’Amor, tener prigione Frà’ lacci d’vn capello il core, e l’alma, E del suo danno amar l’empia cagione; Quando Chiomata in mar la Naue spalma, Di crudo tempestar sente lo sprone, Ma se vele non hà, segno è di Calma. ARGOMENTO XVI. Se l’aspetto dell’Altra è smisurato, L’ inopia esce dal poco, e non dal molto, E più d’vn picciol faggio il Pino è grato. SENTENZE. COrpus magnum, bonum est. An non vides quantum oculis det vigorem fortitudo corporis? Magna, vt Phœnix, ex interuallo generantur: mediocria, & in turbam nascentia sæpè fortuna producit, eximia vero ipsa raritate commendat. Magnitudo non habet certum modum. Paucitas est fugienda. Pictor colores quos ad reddendam similitudinem multos variosque ante se posuit celerrimè denotat, & inter ceram, opusque facili vultu, ac manu commeat. SONETTO XVI. Bella Lunga. DICA lingua bugiarda, e non curante, Che troppo eccelso il tuo bel corpo ecceda, Et che di semmetrìa nulla si veda Nel tuo fuor di misura alto sembiante, E che per tè baciar vuole vn Amante Le piume auer, ch’il Cigno ebbe di Leda, Che non sarà verun, che se lo creda, Se non vn cuor maligno, & ignorante: Sò pur (s’il ver non mente à gli occhi miei) Che son, come se’ tù subblimi, e belle Le Torri, gli Obelischi, e i Mausolei. Ne’ Colossi è maggior l’arte d’Apelle; Son derisi per tutto i vil Pigmei; Vanno i Giganti à saettar le stelle. ARGOMENTO XVII. Hà ben questa di Nubi il ciglio inuolto, E porta nella Notte ascoso il giorno, Ma pure Amore è bello, e cieco ha’l volto. SENTENZE. MIsereri illius opportet, quia luminibus orba est. Habet & nox suas voluptates. Oculi irritamenta sunt vitiorum ducesque scelerum Quam multis voluptatibus via incisa est, quam multis rebus carebis, quas ne videres vel oculi eruendi erant. Detestabilis erit cæcitas si nem ò oculos perdiderit. Celum & terram non aspicis, sed Cæli, terræque dominum spectandi facultas eripitur. Bella Cieca. BELLA Talpa d’Amor piango, e rimiro Arco senza saetta oggi il tuo ciglio, Foco senza calor quel tuo vermiglio, Paradiso il tuo sen pien di martiro: Notte, che senza stelle apre il suo giro, Piaggia, oue spunta in van la rosa, e’l giglio, Cielo, oue lcaro andria senza periglio, Sole spento, Orror dolce, atro Zaffìro. O suenturato, e misero sembiante, Fatto dal tuo destin troppo seuero, Polifemo d’Amor pria che Gigante: Mi sembri senza tuon Gioue guerriero, Mi sembri senza luce il Mondo infante, Ma vede assai, chi vede Amore, e’l vero. ARGOMENTO XVIII. Può mentir bella Donna, e senza scorno, Che l’altre qualità colme d’onore Hanno la Fede inuiolata attorno. SENTENZE. MEntiri solemne est amantibus, ideo non nisi iurantibus credimus. Vt enim immortalis est veritas, sic fictio, & mendacium, non durant. Qui in mendacio confidit citò deficit. Spes est vltimum aduersarum rerum solatium. Ego sum similis illi, qui quamuis nihil speret, semper optat. SONETTO XVIII. Bella Bugiarda. BVGIARDA, ogn’vn ti mira, ogn’vn t’apprezza; Ma verun non t’ascolta, e non ti crede, La magica virtù di tua bellezza, Se trionfa de gli occhi, all’vdir cede. Fosti à mentir fin dalla Cuna auuezza, Guerra porgendo à chi volea mercede, Io sol frà questa tua lieue sciocchezza Alle parole tue, Donna, dò fede. E sì mi gioua vn nò, da quella bocca, Che non sà mai formar detto sincero, Che ripien di dolcezza il cor trabocca. Se tù mi dici vn nò, tengo per vero, Che di goderti vn giorno il sì mi tocca: Se tù mi dici vn sì, qual cosa spero. ARGOMENTO XIX. Questa, ch’in balbo suon palesa il core, Fà risonar con interrotti accenti Vn Ecco soauissimo d’Amore. SENTENZE. QVid miramur mulierem blesam? cum disertissimos agnouerim viros non respondentes famæ suæ cum declamarent? Nulla illi cura vocis exercendæ fuit. Melius est plus sensus quam verborum habere. Eloquentia nulli tota contigit. Nec corporum vires ad omnia quæ viribus efficiuntur aptæ sunt. Eloquens captat pretium ex litium numero. Et quandoquidem Echo sententiæ genus fuit. Tu qui blesiories, si intellectu polles, magnisque et altis qui in animo sunt sensibus, iucunda vox, & volubilis lingua non suppetit. Virtus laboriosam non querit eloquentiam: disce non ad pompan viuere, non ad pompam loqui, sed veritatis applausum opta. Summa ergo summarum hæc erit, tar diloquum te esse iubeo. SONETTO XIX. Bella Scilinguata. BALBA diletta mia Greca nouella, Qual ferro, ò qual Terèo tua lingua affrena? Qual ingiuria scortese, ò quale stella Ti sforza à scilinguar con Filomena? O di lei più felice insieme, e bella, Che mi rassembri in vn Cigno, e Sirena, L’Ecco dell’interrotta tua fauella Raddoppia le speranze alla mia pena. Col tronco suon dell’interrotta voce Quel dardo se’, che non giungendo al segno, Và per l’aria à piacer, ma nulla nuoce. Che se vuoi dirmi Armati occhi io vi sdegno Tralasci il suon dell’esse, e l’erre atroce, E proferisci: Amati occhi io vi degno. ARGOMENTO XX. Non si biasmin gia mai labbra ridenti, Che non son pensier folli, ò graui falli, Ma segni di dolcezza , e di contenti. SENTENZE. NOlo tibi vnquam deesse, lætitiam, volo tibi illam domi nasci. Animus debet esse alacer, & fidens , & supra ommia erectus. Hilaritas trisititiam dissipat. De humano genere melius meretur qui ridet quam qui luget. Maioris animi est qui risum non tenet, quam qui lacrymas. Qui prudens est, & temperans est: qui temperans est & constans est: qui constans est, & imperturbatus est: qui imperturbatus est, sine tristitia est: qui sine tristitia est, beatus est. SONETTO XX. Bella che sempre ride. LÀ DOVE s’apre il Ciel sempre traluce Dello splendor di Dio raggio benigno, È sì piace il color dell’aurea luce, Che dilett’anco vn balenar maligno: Deh, perche non son’ io Sirena, ò Cigno, O delle Diue Ascree l’eterno Duce? Per dolce risonar quell’aureo ghigno, Che nel Ciel del tuo volto Amor conduce. Oh! s’io potessi vn dì pingerne il vero: (Ma ritrar non si può color di foco) Farei marauigliar questo Emisfero. Labbra ridete pur, ch’il Riso è gioco, E non folle balen di van pensiero, Ch’il vostro rider sempre à mè par poco: ARGOMENTO XXI. L’altra ch’inumidisce i suoi coralli, E come Egeria si distilla in pianto, E miniera di Perle, e di Cristalli. SENTENZE. LAcrymæ fluant quantum affectus eiecerit. Afflicto paulisper cedendum est. Omnis dolor per lacrymas effluit. Fatuus in risu exaltat vocem. Excidunt etiam retinentibus lacrymæ, & animum profusæ leuant. Singula stillicidia, singula specula sunt. Lacryma est indicium inoptatæ rei, & fletus humanarum necessitatum execratio. SONETTO XXI. Bella che Piange. TV PIANGI Anima mia, tù piangi, e in tanto Fai così bella vista à gli occhi miei, Ch’vn Argo con cent’occhi io ti vorrei, Per veder da cent’occhi vscirti il pianto. Care stille dell’Alma, io v’amo tanto, Che soura l’onde vostre à nuoto andrei, Perle non hanno gl’Indi, ò gli Eritrei, Ch’agguaglin delle vostre il pregio, e’ l vanto. O fonti, ch’inrigate vn suol di fiori, S’il rider è pazzia, chi piange ogn’ora Dimostra senno, e laua i propri errori. Così si sfoga Amor, che n’addolora, Così temprando i suoi cocenti ardori, Perche piange essa ancor, bella è l’Aurora , ARGOMENTO XXII. Il Sol, che solo in cielo vnico hà il vanto E l’immagin di lei, che Polifema Bella saria con cento Vlissi à canto. SENTENZE. GRææ habitarunt im Scythia, & vnum oculum, atque vnum dentem hab uerunt, &c. Solent qui alterum oculum amiserunt altero acutius videre. vndi Tiresias ait. Obruit ora Deus, totamque in pectore lucem Detulit, &c. Luna Soli se opponit , & illum tanto maiorem , subiecto corpore abscondit , modo ex parte, si ita contigit modo totum. Nulla nox est in qua stellæ non videantur ire , & in diuersum abduci. Quippè manifestum est Solem interuentu Lunæ occultari. SONETTO XXII. Bella con vn’occhio. O, BELLA Grea d’Amor, non già nel volto, Ma nell’occhio conforme al Mostro altero, Anzi in forma d’Amor sagace Arciero, Ch’in vn Ciglio il mirar tutt’hai raccolto. Apri l’altro oramai, se m’hai già colto, Che vuoi tù più, s’al primo colpo io pero? Non voler, che per sempre vno Emisfero Porti la Notte, e l’altro il Giorno inuolto: Ah m’inganno, Idol mio: la tua bellezza Fatta quà giù della Celeste erede, Più solo vn Sol, che mille stelle apprezza: Ne’ duoi lumi del Mondo anco si vede, Che quand’un poggia alla subblime altezza, L’altro s’asconde immantinente, e cede. ARGOMENTO XXIII. Questa bocca genti di Denti scema, Vn Mar voto è di scogli, e ripien’ d’ostri, Oue si puo solcar senz’altra tema. SENTENZE. IAm sine dentibus es, iam inter loquendum ridendumque non plenumos habes. Iam inermis cum voluptate luctaberis, minus comedes, parcius ridebis, lentius mordebis, & dentium dolor nullus. Loqui parantem, fracta spes dentium frænabit. Et ab osculis petulantiam cohibebit. Hinc Pupula in delicijs meis facta es, dentes tibi cum maxime cadunt. Qui amicus est amat. Veritaris vna vis, vna facies est. SONETTO XXIII. Bella Sdentata. NON hai, Donna egli è ver, priua de' denti Quelle porte d’auorio, e quei cancelli; Che frà gli archi di rose vmidi, e belli Aprono il varco à risonar gli accenti. Ma quell’aure non hai dolci, e ridenti Imprigionate ancor quando fauelli; Nel mar, che non hà Scogli arditi, e snelli Più vanno i Legni à gareggiar co’ Venti. Chi disprezzò già mai conca gentile Perche le perle sue dolci, e viuaci Si stien lontane à fabbricar monile? O disarmata Bocca, è mè tù piaci, Perch’ il serpe sdentato è sempre vmìle, E manco hò da temer se tù mi baci. ARGOMENTO XXIV. E se Negra costei par che si mostri, Fatta è Carbon dell’amoroso foco, Et per le lodi sue tinge gl’inchiostri. SENTENZE. ADustus color feruentissimi caloris est indicium. Tantus stellarum innumerabilium fulgor, quem non intentum in se tenet? Lydius lapis attritu aurum prodit cuiusmodi sit. Quantum ista nocte, quam tu in numerum, ac discrimendemum obseruas, agitur? Quanta rerum turba sub hoc fusco colore euoluitur? Mundus per noctem ignes suos fundit. Nigros autem aspectum virilem præseferre ait Plato 1. 5. de Rep . Et sol dat spatium noctibus. SONETTO XXIV. Bella Negra. NEGRA sì, ma se’ bella, e chi nol crede Di tenebre ammantato il Ciel rimiri, Tù, con due sole stelle incendio spiri Ei, con molt’occhi appena arder si vede. Più soura il Negro tuo, costante il piede Mostra il viuo candor de’ miei sospiri, Più su tua bruna pietra i miei martiri Scopron, com’oro, al paragon mia fede. O del foco d’Amor negro Carbone, Le belle fiamme tue, ch’ auesti intorno, Del tuo negro color son la cagione. Raggio in torbido Ciel più luce adorno, Di fosca Teti in braccio il Sol si pone, Al fin negra è la notte, e porta il giorno. ARGOMENTO XXV. Gozzuta è questa, e parrà certo vn gioco S’io la dico d’Amor mantice alzato, E dirò forse il ver, ma dirò poco. SENTENZE. NOs quoque Apes debemus imitari, vt quicquid ex diuersa lectione collectum est, stylus redigat in corpus. Columbarum ceruix, colorem, & sumit, & ponit vt cunque deflectitur, vnde Neronis versus. Colla Cytheriacæ splendent agitata Columbe. Nulla res ardentius appetitur qua forma, nulla animum inflammare potentior. Graij, quam vos diuinationem dicitis, à furore μανΤιχίν, dici volunt. SONETTO XXV. Bella Gozzuta. IO ME ne vò com’Ape, e dal tuo fiore Non sò, Donna, cauar se non il mele, Ragno, ch’a’ danni altrui tesse le tele Ne tragge sempre vn velenoso vmore. Altri biasimeria quel bel candore, Che della Gola tua gonfia le vele, Io nò, che son d’Amor Pecchia fedele, E cerco in mille guise il farti onore. Deh, chi non sà, che se non fosser belle Non trarian Colombe il carro aurato Di Venere Afrodisia alto alle stelle. Et pur Gozzate son, pur han gonfiato, Com’ oggi la tua gola, il collo anch’elle, Mantice forse alle mie fiamme alzato. ARGOMENTO XXVI. O marmo di tue glorie oggi animato, Tù sembri senza senso, e chi ti vede Come in veder Gorgon, resta insensato. SENTENZE. QVI stolidus est, non tam acria & concitata habet omnia quam quidam quædam- non omnia in singuli extant. Saxo comparatur stoliditas vnde Plaut. in Mel. Nullum est hoc stolidius saxum. Mallem ingenium tardum ac modestum quam velox, & promptum. Et si omnis homo sensus habet, nec ideo omnes homines aciem habent Lynceo similem. Ista quæ tu in decorem sparsa consideras, singulain opere sunt. Hoc quoque habet stoliditas, semper incipit viuere. Nemo vsque eo tardus & hebes in terram est, vt ad diuina , non erigatur, vbi nouum aliquid miraculùm affulsit. Naturæ admiratores cultoresque sumus, at Natura vtrunque facere nos voluit, & agere & contemplatione vacare. SONETTO XXVI. Bella Insensata. O, TROPPO a’ sensi altrui Donna insensata, Ma, Donna che di luce adegui il Sole, Perche manchino à tè spirti, e parole, Sarà però la tua beltà men grata? Guance di rose hauer, chioma dorata, Neui ch’aprino in sen gigli, e viole, Son marauiglie, à marauiglia sole, Come sola se’ tù Pietra animata. Il Ciel per fabbricar la tua scultura, (Ma scoltura, che spira, e muoue l’orme) Ti volle insieme, e disensata, e dura. O nel vederti à sua beltà conforme Trasecolò per lo stupor Natura, E tù dormi oggi in essa, ella in tè dorme. ARGOMENTO XXVII. Donna, pazzo è chi Pazza oggi ti crede, Che quel furor, che la tua mente muoue, E schiettezza d’onor, d’Amor, di fede. SENTENZE. AVT Regem, aut fatuum nasci oportet. Vir magnus animum deducit à corpore. Animus in hoc tristi, & obscuro domicilio clausus quoties potest, apertiora petit . Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiæ fuit. Non potest grande aliquid supra ceteros loqui, nisi mota mens. O fatua non gemme te, non te margaritæ flexerunt, non tibi diuitiæ &c. Aliquando insanire iucundum est. Interdum sanos mæstos, & furentes lætos vidimus. SONETTO XXVII. Bella Pazza. FORSENNATA mia bella, al tuo furore Qual concitato spirto alzo l’Ingegno, E tanto io fossi à celebrarti degno Quanto degna se’ tù d’immenso onore, L’alma del tuo bel corpo oggi maggiore Non sà capirui, ò contener si à segno, E qual Pitia, ancor tù, non hai ritegno, Perch’ Apollo hai nel cor, nel volto Amore. O libera beltà, quì non si vede Di fallace sembianza arte, ò lauoro, Sciolto, e nudo egualmente il petto, e’l piede: O pura, e lieta ogn’or: mentr’io t’adoro, Se non conosci in mè prezzo di fede, Io non veggio anco in tè fame dell’oro. ARGOMENTO XXVIII. S’ il desir di costei non gisse altroue, E fosse nel mio mal sempre costante, Io chiederei pietà, ne saprei doue. SENTENZE. PRoprium mulieris est nihil diu pati, & mutationibus vt remedijs vti. Natura enim humanus animus agilis est, & pronus ad motum. Mutatio voluntatis indicat animum natare aliubi, atque aliubi apparere, pro vt tulit ventus. Hæc commouetur quidem, non tamen transit, sed suo loco nutat. Lunam nunquam implet nisi aduersam sibi. Desinit morbum incendium extinguitur, ruina quos videbatur oppressura, deponitur. Natura autem hoc quod vides regnum, mutationibus temperat. Et contrarijs rerum æternitas constat. Nec quicquam noxium æternum est. SONETTO XXVIII. Bella Inconstante. O, BEL Proteo d’Amor, già non mi doglio Della tua fè, ne del pensier volante, Se tù fossi ad ogn’or salda, e costante, Nel mar del pianto mio saresti scoglio. Più tosto in questa guisa amar ti voglio, Perche forse anco vn dì vedrotti amante; Cintia ancor ella in Ciel cangia sembiante: La Sibilla in mutar ferma il suo foglio: Anco là di Pelèo la bella sposa Si cangiaua ora in Drago, ora in Leone, Al fin col foco ella si fè pietosa. Così tù del mio foco alta cagione Se non ti fermi vn dì sarà gran cosa, Ch’il mal di rado inuecchia ou’ ei si pone. ARGOMENTO XXIX. Marauiglia è del certo essere amante Di Donna dispettosa, e pur è vero Che spesso piace vn zotico sembiante. SENTENZE. AEque facilitas amoris, , quam difficultas nocet. Ipsa altitudo attonat summa. Hominem excelsi ingenij virium, humilia delectant & sordida. Optimum est pati, quod emendari non potest. - etiam Amatorem amicæ Turpia decipiunt cæcum vitia, aut etiam ipsa hæc Delectant - Hor. Sat. 1. I. Sat. 3. Nitimur in vetitum semper, cupimusque negata. Bella Dispettosa. SONETTO XXIX. Bella Dispettosa. RARO interuien, ch’vn generoso core, Che segga il Regno à dominar del petto, Mentr’ è tutto vaghezze, e tutto amore Sia fonte di disdegno, e di dispetto. Ne’ brutti è ben talor questo difetto, C’han l’interno conforme à quel di fuore, Ma brutta, e dispettosa anco in effetto La Donna hà di beltà qualche valore. Se’l mel ne stucca, il gusto offende ancora La souerchia in Amor facil dolcezza, Però con l’agro il Zucchero migliora, Quindi costei, ch’in sè non hà bellezza Con quel suo viso arcigno anco innamora, Perche l’huom sempre il denegato apprezza. ARGOMENTO XXX. Prouò questa leggiadra vn destin fiero, Ma discoperse à noi la man nemica Di Perle, e d’Ostri vn Oceano intero. SENTENZE. GRauissimum est ex omnibus, quæ vnquam in corpus eius descenderunt recens vulnus, fateor, sed virtus est inuulnerabilis. Non pudeat animum tot miseriarum victorem aegrè ferre vnum vulnus in corpore. Gaudent magni viri rebus aduersis. Dum gladio incubuisti, virtutum viuam imaginen palam fecisti. Existimauit similia esse quæ laterent, his quæ ostenderentur. Militares viri gloriantur vulneribus, læti fluentem meliori casu sanguinem ostentant. Et inter redeuntes ex acie, magis spectatur qui saucius redit. Seruiant ergo deteriora melioribus: fortes simus aduersus fortuita: non contremiscamus iniurias, non vincula, non vulnera. SONETTO XXX. Bella Ferita. EMPIO cor, cruda voglia, e fera mano Ebbe colui, che il tuo bel corpo offese, Ma quello scelerato atto villano Dalla bellezza tua l’origin prese: Pensò l’ingrato, e nol credette in vano, Al balenar delle tue ciglia accese, Nello squarciar le nubi al petto umano Il Ciel dell’alma tua veder palese. E ben vid’egli uscir pregi diuini Per che, piangendo tù, s’uniro in quello Vn diluuio di perle, vn di rubini. Così si trincia il drappo, ou’ è più bello, S’apre la rete, oue son d’oro i crini, E là si taglia il guanto, ou’è l’anello. ARGOMENTO XXXI. Pur quando la Beltà casta e pudica Di semplice color l’anima veste, S’hà senza guerra eterna pace amica. SENTENZE. NAtura bona conditione te genuit, Columba simplicissimum animal est felle carens Satius est perpetua simplicitate contemni, quam perpetua simulatione torqueri. At illa quantum habet voluptatis sincera, & per se ornata simplicitas nihil obtendens moribus suis. Faciliùs reges animum, nulla vanitate tumentem. Non potest muliebris excusatio contingere ei, à qua omnia vitia muliebria abfuerint, Pro optimo est mimime malus. Et magnus est Pudicitiæ fructus. Risit Socrates cum ab vxore Xantippe, immunda aqua perfusus fuit. SONETTO XXXI. Bella Semplice. CARA Amorosa mia massa di Rose, Impastata di schietto almo candore, Colomba senza fele, e senza core, Che credi, e nulla sai, tutte le cose: Ch’importa à mè s’in tè Natura pose Vn Alma lieue, un semplicetto amore? Hai forse da trar meco i giorni, e l’ore Per disputar delle scienze ascose? Per hauer Prole, e Pace io t’amo allato, E s’auea, come tè, placida sede Socrate con Santippa era beato. E se qual molle cera ogn’vn ti vede, A mè mi basta sol tenghi improntato Il sigil dell’Onore, e della Fede. ARGOMENTO XXXII. L’Astute non però ci sien moleste Che son le Volpi, e son lodate ancora, Per il danno schiuar più scaltre, e preste. SENTENZE. NON potest Amor cum timore misceri- Consortium rerum omnium inter nos facit amicitia. Astutia mentis est, qua rebus industrijs cautum captatur consilium, & acute despicitur ataque iudicatur quid bonum & versutiæ nomen assumit cum in malum se se contulerit. Qui cauet ne decipiatur, vix cauet cum etiam cauet etiam cum cauisse ratus est. Plat. in cap. Astutum fallere difficile est. Ter. ln Adel. Hoc habent inter cœtera boni mores, placent sibi, & permanent hinc Pindarus. Neque fulua Vuulpes neque grauiter rugientes, Leones mutant mores. Pind. Olim ode XI. SONETTO XXXII. Bella Astuta. IO per mè non ti biasmo Alma scaltrita, Che fai presidio à tè del proprio ingegno, E ben ch’ogn’vn ti sprezzi, io non ti sdegno, Anzi ti fiderei la propria vita. Chi fù che diede a’Greci eccelsa aita Se non d’ Vlisse il cauo astuto legno? Vn incauto pensier guinge à tal segno, Che come forsennato altri l’addìta. Tante le Reti son, tanti gl’ inganni Tesi per fabbricar nostra caduta, Che chi scaltro non è, non fugge i danni. Sia pur tù qual tù se’, che non si muta In questa valle misera d’affanni, Ne superbo Leon, ne Volpe astuta. ARGOMENTO XXXIII. La Guancia che di Vin’ quì si colora, Mostra del core il gran calore interno, E d’onorata Porpora s’onora. SENTENZE. RVbor in iuuenibus est bonum signum, quibus, & plus caloris est. Rubeus color alijs nobilior, ideo vestes huiusmodi perfusas colore, honoris causa, tantum Principibus, & Senatoribus induere permittebatur. l. 2. in verb. de rest. olob. Bart. Cass. Cat. Glor. par. I. 24. Vino natura est hausto accendendi calore viscera Pl. l. 14. c. 5. Neque viribus corporis vtilius aliud, neque aliud voluptatibus perniciosius, si modus absit. SONETTO XXXIII. Bella con voglia di Vino nel viso. MACCHIA ò Donna non è quel tuo rossore, Che del volto a’ Cristalli il vin dispensa, E’ di Natura vn ottimo liquore, Che si mesce d’Amor forse alla mensa. Distingue tè con la Liurea d’onore, O nuoua Luna in Cielo esser ti pensa, O ci vuol dimostrar quanto vigore Hebbe d’uman desio la forza intensa. O se tua madre à mè pensaua allora, Certo sarei, che nel tuo volto impresso Il mio foco gentil si vedrebb’ora. Ma l’opposito in mè tutto è successo, Ch’io porto sempre, e null’appar di fuora, Il tuo volto indelebile in mè stesso. ARGOMENTO XXXIV. Io nelle piaghe ancor bella ti scerno, Piaghe che fan la delicata gola Base intagliata al tuo gran nome eterno. SENTENZE. INtuemini debilia infelicium membra nescio qua tabe consumpta. Sed animus nobilis supra humama potest se attollere & vlcerationes & vulnera circa se frementia securus aspicere. Tace ingratissime mortalium , quis enim est tam miser, tam neglectus, quis tam duro fato, & in penam genitus, vt deorum munificentiam dum in totum sanatur, non sentiat. Aliquamdo extrinsecus morbus quo admoneatur mortalitatis interuenit , sed id leue, & quod summam cutem stringat. Rex Franciæ tactu sanat infirmos ex illa infirmitate &c. Bart. Cau. Catal. G. M. Pars 5. n. 30 Pag. 126. SONETTO XXXIV. Bella con Gauine. DIRÀ forsi altri, e qual bellezza è grata, Che giaccia oppressa al fulminar dell’onte, Che la parte gentil, ch’al viso è ponte Habbia di piaghe, e di liuor macchiata? Io Cima ti dirò d’eccelso monte Da’ fulmini d’Amor tocca, e segnata La tua Gola dirò base intagliata Per inalzar la gloriosa fronte. Anzi dolce mirando, emmi d’auuiso Piramide veder d’eccelsa Rocca, O’l Mausoleo di chiare note inciso. Affrena, ò detrattor l’indegna bocca, Non disprezzar le piaghe in quel bel viso, Che Dio stesso le sana e’l Rè le tocca. ARGOMENTO XXXV. E tù che solo adopri vna man sola, Sarai forse men cruda, e men rapace, Se ben con essa Amor l’alma m’inuola. SENTENZE. QVid ridetis quod non habeo manus ? Nunquam putaui futurum , salua Pudicitia, vt mulier fortis sentiret se manus perdidisse. Im mentem vobis venit misereri huic, quæ manus non habet; qui illorum qui frustra habent , sacrilegi, & homicidæ ? hæc furti non potest esse suspecta. Polypus quicquid attigerit tenet. Plaut. in Aul. Polypo nullum animal ad conficiendum hominem im aqua nocentior, luctatur enim complexu. Pl. l. 9. c. 30. Si apud antiquos nefas putabatur brachium extra togam exercere; ab his moribus qui manus non habet non aberrabit. SONETTO XXXV. Bella Monca. SIo non posso cantar per tè ben mio, GIVNTO mi hà Amor frà belle, e crude braccia, Pusillanimo almen dir non vogl’io, Il Meglio è ch’io mi mora amando, e taccia. Vò cantar, vò prouar lungi all’oblìo, Che non è cosa in tè che mi dispiaccia, Anzi l’Edra, la Scimia, e’l Polpo è rio Sol per ch’ogn’ vn di lor facile abbraccia. S’ Alcide era qual tè buon per Antèo, Et s’eran come tè l’Euee Baccanti, Sarebbe viuo il pouerello Orfeo. Se stesser nelle braccia i bei sembianti, Chi sarebbe più bel di Briareo? Mà se questo sia ver ditelo Amanti. ARGOMENTO XXXVI. Tu con quel Naso imperioso audace, Nel pelago d’Amor fanale, e stella, Per il porto additarmi alzi la face. SENTENZE. NIhil homini Natura quod necessarium sciebat fecit operosum. Magnitudo non habet certum modum. Tu fuge paucitatem. Quædam superuacua sunt, quædam tanti non sunt. Gubernaculum quod naui alteri magnum, alteri exiguum est. Emunctæ naris viros dici eos vsitatum est, qui acri sunt iudicio conspicui. Pier. l. 33. P. 337. Hunc ego me - - Non magis esse velim, quam naso viuere prauo. Hor. Nasus ipse in prouerbium abijt pro Iudicio. Nasuti homines sunt sagaciores. Vnde Hor. Sat.3. minus aptus acutis Naribus horum hominum, SONETTO XXXVI. Bella Nasuta. QVEL che torreggia imperioso altero Soura le guance tue Naso reale. In Mar di rose, e latte oggi è fanale, Che scorge con due lumi il mio pensiero: Non lusingo à bell’arte, io dico il vero, Ogni sublime al Ciel s’estolle, e sale, Hà l’arco del tuo ciglio vn grande strale, Perche più mi trafigga Amore arciero. O Naso eletto à braccheggiar la fronte, Tù se’ del Volto in quella Piaggia aprica Di senno il Punto, e di bellezza il Ponte. Lingua che biasma or tè, biasmi inimica, L’Aquila ancora, e’l gran Rinoceronte, Nasidio, i Nasamon, Naso, e Nasica. ARGOMENTO XXXVII. Ecco di quà venir Pecchia nouella, Che ne faui d’vn volto straforato Incocca le Saette, e i cuor criuella. SENTENZE. ACquiescamus his quæ iam hausimus, & vultus perforatus appareat, dummodo non perforatus sit animus. Fertilibus agris non est imperandum, cito enim exhauriet illos nunquam intcrmissa fœcunditas. Non vides quanta subtilitas sit Apibus ad fingenda domicilia, &c. SONETTO XXXVII. Bella Butterata. S’AMOR s’asconde in mezzo à due fossette, Che stampa in bella Guancia vn dolce riso, Tù che n’hai cento, e mille entro al bel viso, Vhai cento, e mille Amori, archi, e saette. O belle cicatrici, ò stampe elette Per le stelle imitar del Paradiso, Per criuellare i cuori emmi d’auuiso, Ch’ Amor trafori in voi quelle Rosette. A che dunque d’intagli hauer pensiero, E d’vn volto scalfito odiar l’oscuro, Mentre l’animo è saldo, e’l cor sincero? Da’ faui perforati il mel vien puro; Il terren pien di fosse, ancorche nero E’ più ricco di frutti, e più sicuro. ARGOMENTO XXXVIII. Non ci arricchisce ancor di parto amato. Questa steril bellezza, & è mercede Per ch’il raro è quà giù più bello e grato. SENTENZE. SEgetem nimia sternit vbertas. Ad maturitatem non peruenit nimia fœcunditas. Sterilitas obsequiosas facit mulieres, atque humiles. Quæ plurimos parit iam non vxorem, sed dominam: iam se esse credit. SONETTO XXXVIII. Bella Sterile. NE cruda tù, ne di tè stessa auara, Con orma di ragion t’appella il mondo, Solo il Sol ne’ suoi raggi arde giocondo, E Cintia senza figil Ciel rischiara. Alma sublime eccelsamente impara, Ch’ogni bello è quà giù raro infecondo, Gemma nel sen dell’Ocean profondo Quanto germoglia men, tanto è più cara. Nieghisi il propagar dunque i Tesori A chi di sua beltà tien la radice Più che ne’ figli, impressa in mille cori. Così là sotto vn aureo Ciel felice, Senza prole, ammirata, i suoi colori Serba con più stupor l’alta Fenice. ARGOMENTO XXXIX. Di lagnarsi costei non hà ragione, Ben che vegga scemar la sua bellezza, Se grauida, ne’ figli la ripone. SENTENZE. NON te fœcunditatis tuæ, quasi exprobret ætatem, pudeat. Tumescentem vterum ne absconde quasi indecens onus, neque intra viscera tua conceptas spes liberorum elide. Non tempestate vexaris, sed nausea. Nam Gubernator interdum in tempestate nauseabundus est. Fuisset iniquissima rerum natura, si te sterilem fecisset. SONETTO XXXIX. Bella Grauida. DIANZI vn cuor solo haueui, e come Rosa Grazie spiraui, e Zeffiri d’Amore, Ed or, che tù n’hai due, ti par gran cosa, Ch’in vece di Beltà , cresca il Pallore. Ma deh non ti lagnar gentile Sposa, Patisce il frutto oue s’allega il fiore, Se tieni in tè più d’ vna vita ascosa Si parte anco in due vite il tuo colore: Anco la Naue in mar grauida sente Nausea nel pondo suo, ne si querela Perch’ il bramato porto hà nella mente. Ponelope Tessèo la lunga tela Sol per di nuouo, hauer, qual tè, dolente, Questo mal che fà capo, e non si cela. ARGOMENTO XXXX. Questa sì bella appar con sua Magrezza, Che l’ama Pane stesso, e fuor di modo Qual canna sottilissima l’apprezza. SENTENZE. VIres non faciunt beatum, Hoc multo fortius est, siccum ac sobrium esse, Siccioribus & frigidis non est ab ira periculum. Pulcherrimus cum decore cum viribus sanus ac siccus imperturbatus intrepidus. Natura enim humanus animus agilis est. Rami nimis grauati, onere franguntur, Labor bonum non est, res leues, & perferendæ, sunt bonæ. Vix maciem amare, & ciborum voluptatem contemnere? Exitum specta. Nulla est autem sine dificultate subtilitas. SONETTO XXXX. Bella Magra. TRASPARENTE mio Ciel, magra mia bella, Ch’vn Diafano sembri à gli occhi miei, Doue ogni punto, ogni minuta stella Sotto i Muscoli tuoi, contar potrei. Tù di vaghezze Anatomia nouella, Che voce, e penne vn Rosignol direi, Del proprio corpo tuo leggieri, e snella, Vna dote hai quà giù pari à gli Dei: Qual tè secche eran forse Orizia, e Flora, Che, Grassa, non potean portar col fiato I Venti la Beltà, che gl’innamora: E tal Siringa fù nel Ratto ingrato, Anzi Pan, fatta Canna, amante ancora Perch’è magra, e leggier, l’hà sempre allato. ARGOMENTO XLI. Pur di Beltà ch’è Grassa io così godo, Ch’a questa sol m’attengo, e qual vorrei Appien le glorie sue non canto, ò lodo. SENTENZE. OMnes tui mirantur quæ tam Crassam cervicem habes. Ego vero non; quia debet semper plus esse virium in latore quam in onere. Venter præcepta non audit, poscit appellat. Luna deficit nunc obumbratur- donec totum impleat orbem. Et nitidæ surgent fruges, ramique virescunt. Vir. 3. æn. Cogita sæpe cælestia ingenia ex hoc fasce corporeæ molis erumpere, & ad miram altitudinem peruenire. Sortita est Venus multa cognomina ab euentis rerum, vt Paphia Mythol. P. 209. Et de Baccho cecinit Euripides. Cæloque paruum luppiter infantem tulit. in Bac. SONETTO XLI. Bella Grassa. BEN mi parrebbe impouerir nell’ Oro, E nel mezzo del Gange ire assetato, S’io fossi, o Bella Grasa, vn di coloro A cui non piace il tuo sembiante amato. O gusti senza gusto, e che v’è grato Gli Scheretri, le Mummie , e l’ossa loro? Volete forse vn secco legno allato Viè più d’ vn verde, e rigoglioso alloro? O Ritondetta mia, dirò sol questa Di tante lodi tue belle, e serene, Che di tè, Nuda ancor, qual cosa resta. Nella Copia Amaltea ricca diuiene Nella pienezza il piè la Luna arresta Nell’Auge il Sol s’auanza, e lì s’attiene ARGOMENTO XLII. E se lentigginosa oggi è costei, Sue Macchie à Cintia assomigliar si denno, Anzi, se stesse à mè, l’anteporrei. SENTENZE. TRiticum quamuis sit exiguum cum occupanit idoneum locum vires suas explicat, & ex minimò in maximos actus diffunditur. Extrinsecus aliqua sunt incommoda, velut eruptiones pustularum, & vlcuscula, nullum in alto malum est. Atriplex lentigines gignit. Plin. lib.20. c.20. Sunt verò Lentigines maculæ similes lentibus, velfursuræ, aut crustæ frumenti à farina segregatæ. Et decentior est facies, in qua aliquis næuus est. Luna nonnunquam maculosa cernitur, &c. Plin.lia.2.c.9. SONETTO XXXXII. Bella Lentigginosa. CERERE allor ch’à Neptolemo porse Nel più nobil frumento il cibo accolto, E che, fattone polue, indi fù tolto De’Boschi il primo pan, che l’huom soccorse. Vide nascer la CRVSCA, e ben s’accorse Qual pregio in auuenir trarrebbe inuolto, Onde alla Figlia sua ne sparse il volto, Della Luna macchiata emula forse. Lentigginosa mia, di lì son ora Le macchie, anzi le stelle in tè discese, Onde la Guancia tua lieta s’infiora. Son dunque onor del Volto, e non offese, E se t’hauesse il gran Licèo di Flora, Ti riporria frà le sue belle Imprese. ARGOMENTO XLIII. Quando in giouine età canuto e’l senno, Che sia canuto il pel poco c’importa: Lo disse Erginio all’ Amazone in Lenno. SENTENZE. NAscuntur enim & iuuenibus in viris cani sæpe, etiam præter ætatis congruum tempus. Vrit in Aetna flamma. Hor. ode 17. Tectum nitidius argento & coloribus sparsum num mediocre munus vocabis? SONETTO XLIII. Bella canuta innanzi tempo. VILAGNATE, e perche? Chiome diuine, Che frà le fila d’Oro esca l’Argento? E che Neue di giel v’offenda il Crine Mentre l’Estiuo ardor non anco è spento? Io nò, che frà quel ghiaccio, e quelle brine Il Mongibello mio mancar non sento, Ne sento ancor da quelle Cime alpine De’ miei caldi sospir più freddo al vento. Anzi, segno è del senno il Crin di gelo, E Dio qual bianca nube alto vel pose, Perch’il Sol de’ uostr’occhi habbia il suo Cielo. Quindi spesso dich’io, Guance amorose, Ammirando il Candor del vostro pelo, Sotto vn tetto di Gigli, ecco le Rose. ARGOMENTO XXXXIV. Habbi pur Amor mio la Guancia smorta, La Pallidezza tua m’è sempre amica, Ch’il foco nelle Ceneri si porta. SENTENZE. HOmines graui valetudine explicit- omnem colorem corporis sui calumniantur. Quæ ad placendum fuco quodam subornantur, expectant annos, donec paulatim colorem diuturnitas ducat. Sæpe felicitatis causa & initium fuit quod calamitas vocabatur. Etiam si oculorum aciem contundat & colorem mutet. SONETTO XXXXIV. Bella Scura. SCOLORITO ben mio, languido Giglio, Anzi già di Beltà purpureo fiore, Ch’al Prato delle Guance, onde se’ figlio Scriui in pallide foglie il tuo dolore: Prima destaua Amor quel tuo vermiglio, Oggi desta Pietà quel tuo pallore, Ond’Amore, e Pietà fatt’han consiglio Col tuo pallido piombo aprirmi il core. Per conseruare il fuoco oggi il tuo volto Stassi, ò bell’Idol mio, qual Carbon suole Frà scolorita Cenere sepolto. Or quì venga à mirar chi veder vuole Il giorno nelle tenebre sepolto, O nelle pallide ombre ardere il Sole. ARGOMENTO XLV. Ma che dirò di te mia fiamma antica, Se non che vuole amor che l’Alba mia, Del mio cadente. Dì l’Espero io dica. SENTENZE. ET futura, & Præterita delectant, hac expectatione hac memoria- Pecoribus fatigatis fortior domum gradus est. Iucundissima est ætas deuexa iam, non tamen præceps. Deditos vino, potatio extrema delectat. Ætnæ læta regio in ipso ore montis niues habet, quas mec æstas quidem soluit, adeo tutæ sunt ab igne vicino. SONETTO XLV. Bella Antica. PRIMA fiamma del cor, se bene è spento De gli anni all’Ombra il tuo color viuace, Ancor duri, ancor t’amo, ancor mi piace L’antico rimembrar dolce tormento. Che se l’Ingegno mio torbido, e lento Già su Pindo immortal trascorse audace, Guerra de’ pensier miei souente, e pace Da’ chiari lumi tuoi l’obbligo sento; Marmo s’ammira ancor trà le ruine, Non perde i primi oggetti impresso il core, Ne s’agghiaccia il pensier se imbianca il Crine. Non per Arco allentar piaga è minore, Immutabil destin non trova il fine, Etna in fronte hà le neui in sen l’ardore. ARGOMENTO XXXXVI. Quì sì, ch’ogni gran saggio il senno obblía Come può stare, e Brutta, e Bella insieme In buona legge di Filosofia? SENTENZE. VEruntamen è priuatione ad habitum non datur regressio. Arist. Sed ex deformi humilique corpusculo formosus animus, ac magnus interdum erumpit. Quæ malam faciem habent sæpius pudicæ sunt-vt scire possimus, non deformitate corporis fædari animum. Sed pulchritudine animi corpus ornari. Reptilium quæ dente notent ictuque ferarum, &c. hoc ex vnguento, &c. egregium antidotum- Et quodcumque grabatum - Te poteris tuta semper conferre salute. Bella totalmente Brutta. QVI’ si, che non potrà lingua mortale, Con quanti furon mai colori adorni, Pingere al senso altrui debile, e frale, Che doue tolto fù l’abito torni, E pur tù Brutta in fin dal tuo natale Frà mille di Natura oltraggi, e scorni, Negro il sen, Torto il naso, Occhio ineguale, Di più d’ vn cuore à trionfar ritorni. Quell’occulto vigor, quel Tuon, quel Brio, Quel, ch’io ridir non sò d’alta virtute, Rapiscon l’altrui vista, e’l pensier mio. La Triaca così frà l’arti mute Di Mummie, e Serpi , e Sangue, e Tosco rio, Vn composto diuien, che dà salute, ARGOMENTO XLVII. Ma se giunge Bellezza all’ore estreme, Chi non dirà costei lume superno, Che di Vecchiezza l’Eclissar non teme? SENTENZE TVnc sanæ mentis oculus acutè cernere incipit, cum corporis oculus incipit hebescere. Longa conuersatio Amorem inducit. Vnicum tibi ornamentum, pulcherrima, & nulli obnoxia ætati forma. Ne forma quidem & vires beatam te facere possunt, nihil horum non patitur vetustatem. Habes aliud argumentum, quod probes diu vixisse præter ætatem . Omnium virtutum tenera sunt principia, tempore ipsis duramentum & Robur accedit. Et nemo tam senex est, vt improbè vnum diem speret. SONETTO XLVII. Bella Vecchia. TÈ DOVE indarno al primo Aprile Amore Lungamente auuentò l’ armi fatali, Con bellezze antichissime immortali Serba oggi il Tempo ad infiammarci il core. Soura i solchi del volto estiuo ardore Porta spighe di fè salde, e vitali, E s’or qual era il petto, i crin son tali, Il Giglio ancora in testa hà bianco il fiore. Verde legno non arde, e Quercie annosa Più sparge i Rami, e più diuien costante Scudo al Sol, Freno a’Venti, agli Augei posa. Tù, quasi Vesta à nuouo Altare auante, Serbi l’eterno foco in fiamma ascosa, Che pargoletto Amor, Vecchio è Gigante. ARGOMENTO XLVIII. Porti la Febbre il caldo, ò porti il verno, Beltà sempre scintilla, e quì fi vede, Che chi ben ama vn giorno ama in eterno. SENTENZE. ET si non potest quisquam beatè degere, qui se tantum intuetur, qui omnia ad vtilitatem suam conuertit - Hic ardor quamuis grauis, optabilis est: disce his angustijs illas euadere, quibus nec Physicus, nec herba medicabitur. Corpus valetudo tenet, non animum. Equidem scio quod malorum vltimum est amare malum- sed me ipsum diligo. Cui enim non ex alieno incomodo lucrum ? Exhibetur etiam in lectulo virtus: aut tu febrem relinques , aut ipsa te- quia est virtuti etiam in lectulo locus. Et nemo diu ardet. Consortium rerum omnium inter nos facit amicitia. Corporis enim ad tempus bona valetudo est. SONETTO XLVIII. Bella Febbricitante. BEN ch’io lodi il Calor, ch’il sen t’accende, E toglie al polso il moto suo natìo, Barbaro sì crudel non sono oggi io, Ch’i volessi mirar quel che t’offende: Ma se più bella il duol Donna ti rende S’il tuo volto nel mal fassi più pio, Non cerco il danno tuo, cerco il ben mio, Ch’alla propria salute ogn’huomo attende. Mentre lagnare, e sospirar ti sento, E mentre in chiusa fiamma arder ti miro, Spero ancor io pietà del mio tormento. Anzi se nella febbre anco ti ammiro Tutto il mondo saprà con mio contento, Ch’in tutte le fortune io spero, e spiro. ARGOMENTO XLIX. Rimiri questa esangue or chi nol crede, Gradita infin col suo pallor gelator Perche rara bellezza à nulla cede. SENTENZE. QVicquid ad summum peruenit ad exitum properat Cui nasci contigit , mori restat. Ad extrema peruenisti , iam nec mortem metues nec optabis, nec corporis animique defectibus subiacebis Mors omnium dolorum est solutio , est & finis Solem occidentem comtemplari licet. Et non habet spectatorem, nisi cum deficit Minus molestiarum habet funus. Et quando in quies, tibi proderit istud quod exitu discis , aut in quam rem? in hanc, vt ego quoque exeam melior. SONETTO XLIX. Bella Morta. SÈ giunta, Anima mia, sè giunta al porto Vltimo della speme, e degli amori, Et è sì bella in quegli estremi orrori Ch’ all’ombra della Morte inuidia io porto. Oggi dal tuo morir son fatto accorto, Che gradisconsi ancor seccati i fiori, Che distaccati i frutti escon migliori, Ch’è più dolce il piacer quant’ è più corto. Fulminaua lo sguardo, ardeua il crine, Feriano i detti, il duolo era più forte, Era in somma il tuo dì pien di ruine. Or queto il tutto in sì beata sorte, Per esser come tè bella nel fine, Se potesse morir, morria la Morte. ARGOMENTO L. Anzi ch’ella vna sola a’ Roghi al Fato S’inuola sí , che nel sepolcro è forte ; Ma taci, ò Musa à questa Tomba allato, CH’io non sò più cantar dopo la Morte. SENTENZE. IVcundum est redire in antiqua studia. Memoria est ex omnibus partibus animæ maxime delicata , &c. Iucundissima amissorum recordatio. Mouet lugentem desiderium eius quem dilexit. Omnia humana breuia , & caduca sunt. Per lacrymas argumenta desiderij quærimus, Præsentia bona non dum tota in solido sunt, futura pendent, & incerta sunt. Quod præterijt inter tuta sepositum est. SONETTO L. Bella Sepolta. ANCOR mi scalda, ò bella estinta il foco, Che nel cenere tuo serbi sepolto, L’immagin del tuo spirto, e del tuo volto Non mi può cancellar tempo ne loco. Anzi quel primo incendio era ombra, e gioco Del Mongibel, c’hò nel mio petto accolto: La memoria in pensar quel che gli è tolto Più brama il ben, che le durò sì poco. Oh forza insuperabile d’Amore, Che la vita mi auuiua al Rogo accanto, E nel diaccio mortal m’accresce ardore. Pur lo scemeria forse il pianger tanto, Ma in questa Tomba, oimè, del miser core V’entran le Fiamme, e non vi passa il Pianto. Argomenti de’Cinquanta Sonetti de’ Paradossi sopra la Bellezza, e dignità delle Donne, etc. che ridotti insieme formano vn Capitolo. DONNE, e voi che le Donne hauete in pregio Date oggi orecchie à questi miei furori, Ond’io v’intesso vn disusato fregio. 1 Eccoui vn bello April carco di fiori, Che ben che pargoletto all’Alba giunto, Desta souente inopinati ardori. 2 La bellezza raccolta in picciol punto Non per questo è minor, ma luce, e splende, Come perla incastrata in bel trapunto. 3 Ne Bolla di maligno vmore offende Volto gentil d’vna cortese amante, Ch’Aquila a’ rai del Sol nuoua si rende. 4 Questo leggiadro, e misero sembiante, Che sopra le sue spalle il Mondo porta, Ditelo pure vn fauorito Atlante. 5 Et questa, che vi sembra e Zoppa, e torta Pur si deue lodar, ch’il piede infetto Il bel corpo da noi lungi non porta, 6 Non reputate mai colpa, ò difetto Le bellezze di certe sciamannate, Ma di Natura vn’ artifizio schietto. 7 Le Guance di costei di Giallo ornate Emule son del Sol, ch’il dì comparte, Et hanno i Fonti ancor l’accque oppilate . 8 Occhio, che guarda in ciascheduna parte, Per non vibrare in vn quel che c’offend e, Vsa maggior pietà con più bell’arte. 9 Vna Sorda beltà, che non c’intende, Può domandarsi Imperial virtute, Che sol col Cenno à comandare attende. 10 Labbra di rose hauer tacite, e mute, Non è credete à mè, non è vergogna, Ma con gloria di lei vostra salute. 11 Et questa, ch’alle Palme eccelse agogna, Di compatir mitabilmente impara Il pruríto d’altrui nella sua Rogna. 12 Questa Guancia sfregiata è così cara, Ch’vn Zodiaco parmi, oue più forte Il Sol degli occhi suoi l’Alba rischiara. 13 S’adiri pur la generosa, e forte, L’ira è Cote d’Amor frà genti amate, E soffresi in altrui con minor sorte. 14 Sotto lacere vesti, e rappezzate Le Carni di costei sembrano al Sole Aperte dai Rubin Poma granate. 15 Questa non hà le Chiome, e non sen’duole, Che Fortuna col Teschio anco pelato Troua chi la vagheggia, e chi la vuole. 16 Se l’aspetto dell’altra è smisurato L’inopia esce dal poco, e non dal molto, E più d’vn picciol pruno il Pino è grato. 17 Hà ben questa di Nubi il ciglio inuolto, E porta nella Notte ascoso il giorno, Ma pure Amore è bello, e Cieco hà’l volto. 18 Può mentir bella Donna, e senza scorno: Che l’alte qualità colme d’onore Hanno la fede inuiolata attorno. 19 Questa, ch’in Balbo suon palesa il core, Fà risonar con interrotti accenti, Vn Ecco soauissimo d’Amore. 20 Non si biasmin già mai labbra ridenti, Che non son pensier folli, ò graui falli; Ma segno di dolcezza, e di contenti. 21 L’altra ch’inumidisce i suoi Coralli, Et come Egeria si distilla in pianto, E miniera di Perle, e di Cristalli. 22 ll Sol, che solo in Cielo vnico hà il vanto E l’immagin di lei, che Polife ma Bella saria con cento Vlissi à canto. 23 Questa Bocca gentil di Denti scema Vn Mar voto è di Scogli, e ripien d’Ostri, Oue si può solcar senz’altra tema. 24 E se Negra costei par che si mostri, Fatta è Carbon dall’amoroso foco, E per le lodi sue tinge gl’inchiostri. 25 Gozzuta è questa, e parrà certo vn gioco S’io la dico d’Amor mantice alzato, E dirò forse il ver, ma dirò poco. 26 O Marmo di tue glorie oggi animato Tu sembri senza senso, e che ti vede, Come in veder Gorgon resta insensato. 27 Donna Pazzo è chi Pazza oggi ti crede, Che quel furor, che la tua mente muore E’ schiettezza d’Onor, d’Amor’, di Fede. 28 S’il desir di costei non gisse altroue, E fosse nel mio mal sempre costante, Vna Pietra amerei, che non si moue. 29 Marauiglia è del certo essere amante Di Brutta e dispettosa, e pur è vero, Che spesso piace vn Zotico sembiante. 30 Prouò questa leggiadra vn destin fiero, Ma discouerse à noi la man nemica Di Perle, e d’Ostri vn’Oceano intero. 31 Pur quando la Beltà casta, e pudica Di semplice color l’anima veste, S’hà senza guerra, eterna pace amica. 32 L’Astute non però ci sien moleste, Che son le Volpi, e son lodate ancora Per il danno schiuar più scaltre e preste. 33 La Guancia, che di Vin quí si colora, Mostra del core il gran calore interno, E d’onorata porpora s’onora. 34 Io nelle piaghe ancor bella ti scerno, Piaghe, che fan la delicata gola Base intagliata al tuo gran nome eterno. 35 E tù, che solo adopri vna Man sola Sarai forse men cruda, e men rapace, Se ben con esca Amor l’alma m’inuola. 36 Tù con quel Naso imperioso audace, Nel Pelago d’Amor Fanale, e Stella Per additarmi il Porto alzi la face. 37 Ecco di quà venir Pecchia nouella, Che ne’ Faui del Volto straforato Incocca le saette, e i cuor criuella. 38 Non c’arrichisce ancor di parto amato Questa steril bellezza, ed è ragione, Perch’ il raro è quà giù più bello, e grato. 39 Di lagnarsi costei non hà cagione, Benche vegga scemar la sua bellezza Se grauida ne’ figli la ripone. 40 Questa sì bella appar con sua magrezza, Che l’ama Pane stesso, e fuor di modo Qual Canna sottilissima l’apprezza. 41 Pur di Beltà, ch’è Grassa io così godo, Ch’à questa sol m’attengo, e qual vorrei Appien le glorie sue non canto, ò lodo. 42 E se lentiginosa oggi è costei, Sue macchie à Cintia assomigliar si denno, Anzi se stesse à mè l’anteporrei. 43 Quando in giouane età canuto è’I senno, Che sia canuto il pel poco c’importa, Lo disse Erginio all’Amazzone in Lenno. 44 Habbi pur, Amor mio, la Guancia smorta, La pallidezza tua m’è sempre amica, Ch’il foco nelle Ceneri si porta. 45 Ma che dirò di tè mia fiamma antica, Se non che vuole Amor che l’Alba mia Del mio cadente Dì l’Espero io dica? 46 Quì sì ch’ogni gran saggio il senno obblía, Come può stare, e Brutta, e Bella insieme In buona legge di Filosofia? 47 Ma se giunge Bellezza all’ore estreme, Chi non dirà costei lume superno, Che di Vecchiezza l’ecclissar non teme? 48 Porti la Febbre il Foco, ò porti il Verno Beltà sempre resiste, e quì si vede, Che chi ben ama vn giorno ama in eterno. 49 Rimiri questa esangue or chi nol crede Gradita in sin con suo pallor gelato Perche rara bellezza à nulla cede. 50 Anzi ch’ella vna sola a’ Roghi al Fato S’inuola sí, che nel sepolcro è forte; Ma taci, ò Musa à questa Tomba allato, CH’io non sò più cantar dopo la Morte. TAVOLA DE’ SONETTI. 1 A Cerbetta Beltà, Bimba amorosa. à car. 19. 14 Altri vagheggi pur gli ostri di Tiro. 45 50 Ancor mi scalda, ò bella estinta il foco. 117. 9 À rai del guardo, al fulminar del viso. 35. 19 Balba diletta mia Greca nouella. 55. 49 Bench’io lodi il calor, ch’il sen s’accende 113. 17 Bella Talpa d’Amor piango, e sospiro. 51. 18 Bugiarda ogn’vn ti mira, ogn’vn t’apprezza. 53. 42 Ben mi parrebbe impouerir nell’Oro. 99. 31 Cara amorosa mia massa di rose. 79. 2 Centro dell’alma mia picciolo in vero. 21. 4 Come fè, come errò cieca à natura. 25. 42 Cerere allor ch’à Neptolemo porse. 101. 39 Dianzi vn cuor solo haueui è come Rosa. 95, 34 Dirà fors’altri, e qual bellezza è grata 85. 16 Dica lingua bugiarda; e non curante. 49. 30 Empio cor cruda voglia è fera mano. 77. 27 Forsennata mia bella al tuo furore. 71. 8 Inuida di quel ben, ch’in te non miri. 33. 32 Io per mè non ti biasmo alma scaltrita. 81. 25 Io me ne vò com’Alpe, e dal tuo fiore. 67. 20 Là doue s’apre il Ciel Sempre traluce. 57. 33 Macchia ò Donna, non è quel tuorossore. 83. 38 Ne cruda tù ne di te stessa auara. 93. 24 Negra sì, ma se’ bella, e chi nol crede. 65. 6 Ne quanti furon mai chiodi, o martelli. 29. 23 Non hai Donna, egli è ver priua de’Denti. 63 12 Non saria bello à mio giudizio il Cielo 41. 28 O bel Proteo d’Amor già non mi doglio. 73. 22 O bella Grea d’Amor, non già nel volto. 61. 15 O Diochi non dirà Calua Donzella, 47. 3 O di Perle viuaci, egre, ma belle. 23 10 O nel silenzio eternamente ascosa. 37. 26. O troppo a’ sensi altrui Donna insensata. 96. Proemio Donne io prendo à cantar la forza ardente. 17. 45 Prima fiamma del cor, se bene è spento. 107. 13 Qual’or commossa à generoso sdegno, 43. 36 Quel che torrereggia imperioso altero, 89. 46 Quì sì, che non potrà lingua mortale. 109. 29 Raro interuien ch’vn generoso core, 75. 37 S’Amor s’asconde in mezzo à due fossette. 91. 7 Se quel color, di cui s’ammanta il Sole. 31. 44 Scolorito ben mio, languido Giglio. 105. 11 Se del vasto Eritreo conca Gemmata. 39. 49 Se’ giunta Anima mia, se’ giunta al varco. 115. 35 S’io non posso cantar per te ben mio. 87. 5 Su due Basi ineguali Idol del core 27. 47 Tè doue indarno al primo Aprile Amore. 111. 40 Trasparente mio Ciel, magra mia bella. 97. 21 Tù piangi Anima mia, tù piangi, e intanto. 59 43 Vi lagnate, e perchè? guance diuine. 103. Il Sig. Canonico Bardi si compiaccia di vedere se nelle presenti Rime si contenga cosa, che repugni allo stamparle, e riferisca appresso; il di 22. di Maggio 1637. Vincenzio Rabatta Vicario di Firenze. Nelle presenti Rime non hò trouato niente, che repugni alla fede Cattolica, e buon costumi, e perciò le giudico degne che si stampino Vincenzio Bardi. Canonico Fiorentino. Attesa la relazione presente, Concedesi che queste Rime, e scherzi Poetici si possino stampare, osseruato però li soliti ordini D. il di 28. di Maggio 1637. Vincenzio Rabatta Vicario di Firenze. Adi 30. Maggio 1637. Si può Stampare F. Gio. Inq. Gen. Alessandro Vettorio Aud. di S. A.

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Based on the copy held by the Biblioteca Nazionale Centrale di Roma in partnership with Google Books. LA TERSICORE o vero SCHERZI, E PARADOSSI POETICI sopra la Beltà delle Donne Fra difetti ancora ammirabili, e vaghe OPERA DEL. SIG. ALESSANDRO ADIMARI Ridotta in 50. Sonetti Fondati principalmente sopra l'autorità d'A. Seneca il morale, & concatenati in un Capitolo. I Terzetti del quale seruon per Argumenti. In Fiorenza nella nuova Stamperia d’Amadore Massi e Lorenzo Landi 1637. Con Licenza de’ Superiori Adimari, Alessandro Florence Massi, Amador; Landi, Lorenzo 1637.

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INOFFENSVS LA TERSICORE o vero SCHERZI, E PARADOSSI POETICI sopra la Beltà delle Donne Fra difetti ancora ammirabili, e vaghe OPERA DEL. SIG. ALESSANDRO ADIMARI Ridotta in 50. Sonetti Fondati principalmente sopra l’autorità d’A. Seneca il morale, & concatenati in un Capitolo. I Terzetti del quale seruon per Argumenti. In Fiorenza nella nuova Stamperia d’Amadore Massi e Lorenzo Landi 1637. Con Licenza de’ Superiori pb n= "5"/> Al Serenissimo Principe D. Lorenzo di Toscana I PARTI degl’Ingegni sublimi non sono per dir’ vero Serenissimo Principe bisognosi d’alcuna protezione. In vano i censori, o troppo diligenti, o troppo ambiziosi s’affaticano in trouar’ neo d’imperfezione, doue l’arte con mano esquisita non lasciò luogo ad emenda. Il perchè l’Inuidia allora s’ammutolisce, & à suo malgrado costretta, non dirò à dar lode à chi la merita, ciò troppo repugnando alla natura di lei, ma se non altro cedendo la vittoria, à confessor si perdente con un violento tacere. Nulladimeno parendo che la modestia accresca all’altre virtù vn non sò che di splendore, vsano i gran Letterati raccomandar la difesa de’ loro componimenti, ben che perfetti, e perciò esenti dall’offesa, à Personaggi, che mercè dell’autorità, che tengono possino insin le cose oscure, e vili rendere stimabili, e riguardeuoli. Da così lodeuol costume allontanato non si sarebbe il Sig. Alessandro Adimari, Autore de’ presenti Sonetti (tanta è la modestia di lui) se di sua volontà si fussero dati alle Stampe, ma hauendone à questi giorni donata vna copia all’Illustriss. Sig. Iacopo Gaddi, forse perchè la nuoua Accademia eretta nella sua Casa, antico Liceo de Letterati, passassi talora con essi l’ore del caldo; quel Signore, per mia ventura, s’è contentato di lasciarmeli stampare: ond’io nell’istesso tempo mi son risoluto à dedicarli al Glorioso Nome di V.A.S. non tanto per secondare l’uso comune, quanto per dare vn segno dell’infinita mia osseruanza, e diuozione verso di lei, che essendo vn verdeggiante LAVRO, ben può sotto l’ombra sua Sereniss. far crescer gli Allori del Parnaso più gloriosi: Sì degni ella intanto gradire il mio buon animo, e riceuendo questo, non men diletteuole, che fruttuoso componimento, riconosca in esso l’istessa viuacità d’ingegno, l’istessa erudizione, & arte ben fondata di poetare, che sempre in tutte l’ altre cose del Sig. Adimari sono state celebrate, e ammirate dagl’Intelletti più chiari, che il nostro Secolo onorino, mentre inchinandomi con la reuerenza che debbo a V. A. S. le prego dal Cielo quanto ella merita, cioè quanto desidera l’ottima sua volontà. Di Firenze li 5. Luglio 1637. Di V. A. Sereniss. Vmiliss. e diuotiss. Ser. Lorenzo Landi. Lo Stampatore a’ Lettori. L’AVTTORE di quest’Opera, come quegli, che fù sempre prudentemente ingegnoso, e leggiadro, si dispose negli anni suoi giouenili dedicare à ciascheduna delle noue Muse vn raccolto di cinquanta sonetti, non come fece Herodoto, che senza allusione, & à caso honorò i libri dell’Istoria sua col titolo delle Muse, mà togliendo occasione della materia, dall’offizio, o dal nome di esse. E’ già qualche anno, che diede alle stampe la Polinnia, compositione politica, la quale fù riceuuta à ragione con lode, & applauso non ordinario: haurebbe proseguito in far’ imprimere il rimanente dell’ Opere, se non fusse stato occupato nella mirabil Parafrasi di Pindaro, & allora, come di presente, impiegato dal Sereniss. Padrone in cariche principali. Io spero nondimeno cortesi Lettori, che si come è stata da me ottenuta la Tersicore quasi furtiuamente, benchè stata per le mani di Principi, e Personaggi grandi in Firenze, & in Roma, così habbia il Sig. Adimari à fauorir le mie stampe di suo proprio volere, e consentire che i litterati godano finalmente le sue nobili, e virtuose fatiche. Dal far questo non può distorlo ne la sua età, ne le dignità che tiene, le quali due cose hanno saputo sconsigliarlo dal conceder la pubblicazione di questo componimento; imperciocchè gli altri sette, che restano non son punto disdiceuoli alla grauità di qualsiuoglia più costumata persona. Con tale speranza leggete dunque le perfettioni imperfette delle Donne, opera fatta à quel fine, che egli stesso’ discorre nella seguente lettera, in quei tempi scritta scherzeuolmente al Sig. Bronzini, auuertendo però, che per dar forza è questi capricciosi concetti, fingendosi che sopra ciascheduna materia parli vn’amante, non si deuono considerare come affetti dell’Autore, ma come passioni di chi secondo il suo gusto innamorato ragioni. Onde riceuete per vostra benignità qualunque cosa in buon senso, e come detta da chi poeticamente scriue, e Christianamente e viue, e crede. Il frutto, che trar se ne deue oltre al diletto, sia, che ogni Marito ami la Moglie, ancorchè non perfettamente bella: perchè la Donna Onorata non hà difetto, che lodare, e sopportar non si possa: e l’Huomo prudente armato di pazienza in simili casi non hà miglior soccorso, se non che. Quicquid inuitus faceret, volens faciat. Al molto Illustre Sig. mio Osseruandiss. Il Signor CRISTOFANO BRONZINI d’Ancona. LA Musa TERSICORE, considerata in questo luogo per vna di quelle forze, o cognizioni, mediante le quali l’animo nostro intende, & con metrica legge esplica il già formato concetto, come vuol Zetze nelle Chiliadi, può, s’io non m’inganno, molto ben patrocinare i presenti Scherzi, o Paradossi Poetici; per che il suo proprio è di cantare cose soaui, & piaceuoli. at suauis tibi tradita Tibia fertur Terpsichore, & c. Scrisse Callimaco nell’Epigramma, oue à ciascuna delle Pieridi il proprio offizio disegna. Et Virgilio, dandole il muouere, il comandare, & il crescer gli affetti. ,, Terpsichore affectis Cytharis mouet, imperat, auget. ancor egli m’assicura (parlando io fuori della comune oppinione della Beltà delle Donne) che questa Musa, e non altra habbia mosso, comandato, & accresciuto in me nuoui, e festosi concetti: aiuta il pensiero, anzi interamente lo sigilla, e conferma, l’esser Tersicore madre delle Sirene, le quali non solamente furono insieme difettose, e belle, ma furon prese dagl’ingegnosi ritrouatori delle fauole per quel suon di voce, che lusingando & adulando adolcisce la mente humana: Partorisca adunque la nostra Tersicore, non quella viziosa adulazione, che tentaua d’addormentar Vlisse, e’ compagni per divorarli, ma quell’eccesso di lode, che si deue à chi molto merita, quali son le Donne, per maggiormente gradirle: Et se volessimo scherzar sopra l’Etimologia del nome, forse non senza qualche fondamento, potremmo dire, che la voce Tersicore ci significa l’obbligo, ch’ella hà di far belle, e terse le Donne, dal Verbo Τερσώνω, quod est abstergerese, & χόρη, quod est puella, come nota Eustatio. Et belle, e terse non deue far quelle, che per se stesse interamente son vaghe, ma quelle che per accidente, o per natura hanno sopra di loro qualche imperfezione, o difetto; Ond’io forse, con queste chiacchiere seruirò al concetto, ch’ebbe A. Seneca il Morale, quando disse. In Matrimonio præcipias, quomodo viuat cum Vxore aliquis quam virginem duxit, quomodo cum ea, quæ alicuius Matrimonium experta est, quemadmodum cum locuplete, quemadmodum cum indotata, & c. Acciòche ciascuno si contenti della sua sorte, & se di tutti i difetti non parlò, il medesimo Autore, ch’in tutti questi Sonetti mi è scorta, poco prima hauea detto, che Præcepta singulis dare incompræhensibile opus est. Per queste ragioni io non hò dubitato di porre in fronte è questa Operetta il nome dell’istessa Tersicore; ma con più sicuro consiglio mi son risoluto à mandarne anticipatamente questa prima Copia à V.S. poiche trattandosi del pregio delle Donne, ella, che n’è, per dir così, Tesorier generale, mediante i dotti ragionamenti de’ suoi graziosi Dialogi, deue raccogliere ogni altra moneta, o censo à loro spettante: E questo mio non sarà forse d’altra valuta, che d’autenticare in qualche parte i suoi detti; poiche s’il merito delle Donne è tale, che fin trà l’ombre de’ naturali, & accidentali difetti risplende, di qual fede sarà degno, chi della DIGNITÀ, e NOBILTÀ delle Donne senza Paradossi ragiona ? Mando à V.S. adunque per ora il sudetto Censo in Cinquanta Sonetti raccolto, così rozzo, e semplice, come dalla mia sterile, & incolta vena è cauato: Resta, che V.S. per farmi vna delle solite grazie sue su la pietra paragone del suo giudizio ne riconosca la Lega, & assaggiatola, auuertiscas’è Moneta da lasciar correre nell’Erario delle ricchezze, e pregi femminili, senza biasimo dell’Età e della professione di me, che l’ho battuta per dare vna pagamorta à quel’ poco d’ozio che mercè d’vn SEREN. Sole nel Gouerno della quietissima, e nobil Città di SAN’ MINIATO oggi virtuosamente ritrouo. Però come cordialissimo & sincero amico dicami il vero, porgendomi il piu sicuro parere che la rara sua intelligenza le somministri: altrimenti, io mi protesto, se io ne sarò condennato, d’accusarla colpeuole del danno, che mene potesse resultare, e di pretenderne la conueniente refazione, se però i Legisti che frà gli strepiti di questo Tribunale continuamente ho d’attorno nel §. omnes ff. de Action. non m’ingannano. Intanto comandi anco à me conseruandomi per suo, e Dio N. Sig. la Feliciti. Di V.S.M. Illustre. Ser. Aff. Alessandro Adimari. TAVOLA delle Materìe. A Dirata o Sdegnosa Sonetto. 13 a cart. 43. Antica. 45 107. Astuta. 32 81. Brutta in generale. 47 109. Bugiarda. 18 53. Butterata. 37 91. Calua. 15 47. Canuta. 43 103. Cieca. 17 51. Dispettosa. 29 75. Febbricitante. 48 113 Ferita. 30 77. Con Gauine. 34 85. Gobba. 4 25. Grauida. 39 95. Grassa. 41 99. Guercia. 8. 33. Gozzuta 25 67. Incostante. 28 73. Insensata. 26 69. Lentigginosa. 42 101. Lunga. 16 49. Macchiata. 33 83. Magra. 40 97. Monca. 35 87. Morta. 49. 115. Muta. 10 37. Negra. 24 65. Nasuta. 36 89. Con vn Occhio, o Monocula. 22 61. Oppillata. 7 31. Pargoletta. 1 19. Pazza. 27 71. Piccola. 2. 21. Piangente. 21 59. Rognosa. 11. 39. Ridente. 20 57. Sfregiata. 12 41. Sdentata. 23 63. Sciatta. 6 29. Scilinguata. 19 55. Scura. 44 105. Semplice. 31 79. Sorda. 9 35. Sterile. 38 93. Stracciata. 14 45. con Vaiolo. 3 23. Vecchia. 47 111. Zoppa. 5 27. In Laudem Operis. FRANCISCI MARIÆ MARCHINII EPIGRAMMA. Si qua Puellarum nitido spectabilis ore Prodit, Fortunæ est, non Genitricis opus: At tibi quam Natura negat malè Fæda Puella Reddere quis formam Carmina, posse putet? TERPSICHORE tu sola potes, cui carmina dictat, Et melior doctam tangit APOLLO chelim. Iam Fædis cedent Nymphæ, Charitesque Puellis, Ipsa etiam cupiet Turpior esse Venus. Errori Correzione à carte 17 frà le fiamme frà le Nubi 19 sotto il focile sotto’l focile 48 picciol faggio piccol pruno 87 qualte qual tù come te come tù 95 Tessèo tesseo 97 qual te qual tu ratto ingrato ratto armato 103 e che neue di giel e che la neue e’l giel 111 & è si bella e se’ si bella 124 come Alpe come Ape 126 vettorio Vettori. ARGOM. DEL PROEMIO. E Principio del Capitolo. DONNE, e voi che le Donne hauete in pregio, Date oggi orecchie a questi miei furori, Ond’io vi tesso vn disufato fregio. SENTENZE. Contra totius generis humami opiniones nunc vox mittenda est - nam Quæ ego scio non probat populus, quæ probat populus ego nescio. Omnia ex opinione suspensa sunt. Scias tamen quod occupandi temporis causa, non im præconium aliquod, hæc simplici stylo scripsi. Tu sic audias quomodo si tibi præciperem qua ratione bonam valetudinem tuearis. PROEMIO DONNE io prendo à cantar la forza ardente Di quel, ch’il Ciel vi diede, vnico dono, E s’incredibil cose io vi ragiono, Quando parla di voi, Musa non mente. Come offesa nell’alto il Sol non sente, Varchi tra’l fango, o trà le fiamme, e’l tuono, Così vostre bellezze inuitte sono, Benche sembrin talor men vaghe, e spente. Risplende in voi della Beltà superna Vn certo ascoso ardor con tanti rai, Ch’ offuscar non lo può mancanza esterna. TERSICORE gentil, tu che lo sai, Mostrale à chi nel ver l’anima interna, Che son Belle ad ognor, Brutte non mai. ARGOMENTO I. Eccoui vn bell’April carco di fiori, Che ben che pargoletto all’Alba giunto, Desta souente inopinati ardori. SENTENZE. TEnera ætas tua refugit omne non tantum quod sordidum, sed & quod sordido simile est. Et quicquid ætati meæ vigoris abscessit, id ad me ex tua. Ignis verò valentem materiam citò occupat. Sol modico die calidissimas nubes euincit, at matutino tempore -facilius sustineri potest. Lux quæ solem antecedit percutit aërem, & statim calefacit, quia lux ipsa sine calore esse non potest, cum ex calore fiat. Ignis qui nascitur, et ex saxo prodit simul & fit, & cadit. Ignis omnes ætates, omnium vrbium ciues, tàm viros, quàm fæminas vrit. Pueritiæ maximus in exitu decor est. SONETTO I. Bella Pargoletta . ACERBETTA beltà, Bimba , amorosa, Non anco auuezza à balbettar d’Amore, Ch’io sospiri per tè par sì gran cosa, Ch’io non hò chi mi creda il mio dolore; Ma, se nel verde suo punge la rosa, Se nella boccia ancor s’ammira il fiore, Chi non conoscerà, beltà vezzosa, Ch’il foco al nascer suo porta calore? Hò visto (Infante mia) sotto il focile Sì tosto sfauillar pietra nouella, Che di subito accende escagentile: Più luce in sul mattin Venere stella, Più dell’estiuo Agosto è vago Aprile, E più del mezzo dì l’Aurora è bella. ARGOMENTO II. La Bellezza raccolta in picciol punto, Non per questo è minor, ma luce, e splende Come perla incastrata in bel trapunto, SENTENZE. NVnquam in honorem huius corpusculi mentiar. Corpusculum si nihil fieri sine illo potest, necessariam rem crede. Corpus ingens, animi pondus. Et quis vnquam de exigua conquestus est sarcina? Exiguum natura desiderat. Et habiliora sunt corpora pusilla. Nunquam enim contexti , nisi per vnitatem corporis nisus est, cum partes consentire ad intensionem debeant, & conferre vires. Aër autem si in Atomos diuiditur, sparsus est. Vitiosum est vbique quod nimium est. SONETTO II. Bella Piccola . GENTRO dell’Alma mia, picciolo in vero, Ma del Ciel di beltà punto fatale, Oue per ogni parte il mio pensiero Sempre concorre à terminare eguale: Piccolo è il Polo : e se ne và l’Arciero In picciol segno à saettar lo strale; Picciola è l’Ape, e fà con l’ago altiero Sì dolce il mele, e sì noioso il male. O raccolto mio ben, poco esser dei, Per che ne’Monti, e nell’Egeo profondo Son le Perle, e i Diamanti anco Pigmei. Quindi il tuo picciol sen m’è sì giocondo, Che quand’Atomo ei fosse, io crederei Con quell’Atomo sol far bello il mondo ARGOMENTO III. Nè Bolla di maligno vmore offende Volto gentil d’vna cortese amante, Che nuoua à’ rai del Sole Aquila ascende. SENTENZE. Amor tegit pulchritudines scena sua dignas. Aquila Pennis grauata fontem petit cuius aspergine pennas egerit, mox in iuuentam redit. Aquæ tempestiuè data remedij locum obtinet. Non sentit animus ætatis, ac valetudinis iniurias, viget, & magnam partem oneris in infirmitate deponit. SONETTO III. Bella con Vaìuolo. O DI Perle viuaci, egre, ma belle Gemme al calor d’accesa febbre alzate, Che per sentier di latte, vmide stelle Forse vn più vago Olimpo oggi indorate, Voi di Scena d’Amor tele nouelle, Per diletto maggior gli ostri celate, Come le nubi in queste parti, e in quelle Cuoprono il Sol, per mitigar l’estate: Non si dolghin per voi gli offesi amanti, Per chi’ Gigli del volto, e le viole Sotto maligno vmor cangin sembianti; Così di stille aspersa Aquila suole Gettar l’antiche sue piume volanti, Per meglio alzarsi à gareggiar col Sole. ARGOMENTO IV. Questo leggiadro, e misero sembiante, Che sopra le sue spalle il Mondo porta Ditelo pure vn fauorito Atlante. SENTENZE QVis enim dixerit Naturam malignè cum hac muliere egisse, & virtutes illius in arctum retraxisse? -num Rempub. læsit?- Morbi ad sanitatem inclinant, cum ex abdito erumpunt. Diminutas scapulas in deforme tuber extudit, vt fortunæ iniquitas in eius beneficia sæuientis magis hominum animos percelleret. Non est illa magnitudo: tumor est: nec corporibus copia vitiosi humoris intensis, morbus incrementum est, sed abundantia. Cæterum par illi, mihi crede, vigor, par ad honesta libera facultas, laborem doloremque ex æquo si consueuit patitur. SONETTO IV. Bella Gobba. COME fè ? come errò ? cieca è Natura Forse, o sdegnata alla vendetta intese? Ma l’innocenza tua quando l’offese Suenturata beltà, deforme, e pura? Ti fè d’Angelo il volto, indi empia, e dura Vn globo indegno al tuo bel collo appese: Formò ne’ raggi tuoi due stelle accese, Poi confuse col Ciel la Terra oscura: Ahi ch’ella errò, ma fù destin fatale: Pensò fingere Amor nudo, e volante, E materia abbondò nel fargli l’Ale: E se fallo non fù, ritrasse Atlante, Per dimostrar, ch’à sostenere eguale Sarebbe il Mondo ancor Donna bastante. ARGOMENTO V. E questa, che vi sembra e zoppa, e torta Pur si deue lodar, ch’il piede infetto Il bel corpo da noi lungi non porta. SENTENZE. NVllum habile membrum est, si corpori par est. Certissimum argumentum firmitatis suæ capit si ad blanda nec it, nec abducitur. Quia vitium non est in rebus. Nec tribuendum est insonti Naturæ. Ignis enim hac illac palpitando discurrit. Quemadmodum flamma surgit in rectum, iacère, ac deprimi non potest, non magis quam quiescere. Noctem dies sequitur: Pars Cæli consurgit, pars mergitur. SONETTO V Bella Zoppa. SV DVE basi ineguali, Idol del core, Questa vaga bellezza oggi si vede, Nè però ci si mira, o ci si crede Fallo dell’Arte, o di Natura errore: Quasi Dea della Fiamma, e dell’Ardore, Alternandosi anch’ella, or s’alza, or cede; E dritt’ è, se Vulcano hà zoppo il piede, Ch’abbia la sua Vulcana anch’oggi Amore. Così forse men fero, e meno audace Si mira, Amanti, il suo corporeo velo Chino ad ogni suo passo, e men fugace. E così forse, a portar caldo, e gelo, Zoppo (per dir così) con l’aurea face, S’inchina, e sorge in sù due Poli il Cielo. ARGOMENTO VI. Non reputate mai colpa, o difetto Le bellezze di certe straccurate, Ma di Natura vn artifizio schietto. SENTENZE. HVic mulieri minimè conuenit occupatio exercendi lacertos, & dilatandi ceruicem, & vestes firmandi. Faciem lenocinijs, ac coloribus nunquam polluit. Nunquam ei placuit vestis, quæ nihil amplius quam vt nudam componeret. – Sed vtcumque res tulit, ita vixit. Vnicum sibi ornamentum pulcherrima, & nulli obnoxia ætati forma. Nec faciunt meliorem Equum aurei fræni. Placet non in ambitionem prolata vestis, non ponderibus, aut tormentis splendère cogentibus pressa, sed domestica, & vilis, nec seruata, nec sumenda sollicitè. Contemptus corporis sui, certa libertas est. SONETTO VI. Bella Sciatta. NE QVANTI furon mai chiodi, o martelli, Non che spilli d’argento , o lacci aurati, I tuoi panni adattar ponno, o i capelli, Nell’incomposto lor sempre ostinati : Ma tiengli pur disciolti, e scapigliati: Vagano i rai del Sol, però son belli: Mira vn’ augello in gabbia, & un ne’ prati, Più dolce canter à questo, che quelli. Generoso destrier non ama il freno, Le sciolte chiome tue son Berenici, Degne da collocarsi in Ciel sereno. Donna, c’hai da per tutto i Cieli amici, Sia rabbuffato il crin, sia sciatto il seno, Le negligenze tue sono artifici. ARGOMENTO VII. Le guance di costei di giallo ornate Emule son del Sol, ch’il dì comparte, Et hanno Fonti ancor l’acque oppilate. SENTENZE. SOlis vis, & lux integra est, etiam inter opposita, Et quamuis aliquid interiace at in opera est. Aduersus Solem non potest nebula. Quoties enim inter nubila luxit non est serano minor, Virtuti opposita nihil durabunt. SONETTO VII. Bella Oppilata. SE quel color di cui s’ammanta il Sole, Et si fregia il più ricco alto metallo Non si deue apprezzar, perch’egli è giallo, Donna in difesa tua non hò parole. Se, perch’è chiuso il varco, ond’uscir suole L’onda in alto à spicciar liquido ballo, E’ della Fonte inremissibil fallo, A Dio bella Oppilata, ami chi vuole: Ma s’il Fonte è l’istesso anco oppilato, Se quanto d’oro è più Febo, è più caro, Di te mio Fonte, e Sol, nulla è più grato. Anzi da questo il tuo gran pregio imparo, Ch’il ferro à gli altri è morte, à te, passato Nelle viscere tue, vita è l’acciaro. ARGOMENTO VIII. Occhio, che guarda in ciascheduna parte Per non vibrare in vn quel che c’offende Vsa maggior pietà con più bell’arte. SENTENZE. INuidia nos inquietat dum comparat. Hoc mihi præstitit, sed illi plus. Sed illi maturius. Sed marcet sine aduersario virtus. Ista puella redemit vitia virtutibus, & plus habet quod laudes, quam quod ignoscas. Luna dissimillimum Soli lumen accipit. Et Luna, & Sol alio atque alio occurrentes loco, curiosos nos esse cogunt, quando in rectum feruntur, quarè agantur retro. Est ne dedecus vt omnes stellæ inter se dissimilem habeant aliquatenus faciem, diuersissimam Soli? Non erit digna suspectu Luna, etiam si otiosum sydus transcurrat ? Et quis in Orientem Occidentemque diffusos amnes vituperabit? SONETTO VIII. Bella Guercia. INVIDA di quel ben, ch’in tè non miri Perche biasmi costei lingua mordace, Perche de gli occhi suoi la doppia face Si volga obliqua in due diuersi giri ? Oue lasci il bel sen, nido a’ sospiri? L’aurata guancia sua perche si tace? Dunque per vn sol neo, che ti dispiace Conuien, ch’ogn’ altro onor più non s’ammiri? Miseri noi, se quel bel ciglio ardente Dritto scoccasse ognor saette, e dardi Non resteria nel Mondo alma viuente: Dunque perch’ all’Occaso il Sol riguardi, E Cintia volga i rai verso Oriente Difettosi del Ciel credi gli sguardi? ARGOMENTO IX. Vna sorda Beltà, che non c’intende Puo domandarsi imperial virtute, Che sol col ciglio à comandare attende. SENTENZE. PAuescis ad cæli fragorem, & ad inane nubilum trepidas, & surdescis, quedamodum nilus eluctatus obstantia in vastam altitudinem subitò destitutus cadit cum ingenti circumiacentium regionum strepitu, quem perferre gens ibi è Persis collocata non potuit, obtusis assiduo fragore auribus. Obtemperandum est potentiori, & si verbis iussus non fueris; & grauia suopte nutu imperet, &c. Imperat interdum Princeps, non eloquio, nec lingua, sed oculis, digitisique SONETTO IX. Bella Sorda. A’RAI del guardo, al fulminar del viso, Al tuon de gli Archi, onde saetta il crine; Al cader del mio pianto in due diuiso, Se’ fatta sorda, ò bella Donna al fine. E quasi Catadupi à tè vicine T’hanno l’orecchio in tal maniera vcciso, Che s’hauesser velen cose diuine, Vn Aspe ti direi del Paradiso. Or che poss’io sperar de’ miei lamenti, Mentre hai sol nelle Dita e segni, e senno, Che tù senta il mio duol, se tè non senti? Ah, che son pregi tuoi, ch’à te si denno; Bellezza imperiosa, occhi possenti Non han da comandar se non col cenno. ARGOMENTO X. Labbra di Rose hauer tacite, e mute Non è credete a me, non è vergogna , Ma con gloria di lei vostra salute. SENTENZE. VOX bomum non est. Muta animalia humamis affectibus carent. Surge tu mute, sed quid excitaris ? rogare non potes. Genus est rogandi , rogare non posse. Serò beneficium dedit , qui roganti dedit. Si quis fauces oppresserit, stes tamem & silentio iuues. Nunquam inutilis est opera ciuis boni: iussu, vultu, nutu, incessuque ipso prodest. Nihil tam acerbum est in quo non æquus animus solatium inueniat. Interdum calamitates in remedium cessère, & leuioribus incommodis grauiora sanata sunt. Quid necesse est diutius torqueri, cum tam facile remedium Vlysses socijs, etiam aduersus Sirenas inuenerit ? Loquax est virtus, nec ostendit se tantum sed ingerit. SONETTO X. Bella Muta. O’ NEL silenzio eternamente ascosa, Tù muta se’, che cento lingue alletti, Tù muta se’, che mille voci affretti A cantar tua beltà bocca amorosa ? Ma pur labbra vermiglie anco hà la Rosa, E lingue d’oro il Giglio, e non han detti: Forse, perche tacendo i propri affetti, Fassi l’alma più saggia, e men fastosa. Chi sà, che mentitrici aspre catene Non fosser le tue voci, ond’altri vide Imprigionato il cor trà mille pene? Buon per noi, se nel Mar l’empie omicide Fosser, come se’ tù, mute Sirene, Che sarien belle, e non sarieno infide. ARGOMENTO XI. E questa ch’alle Palme eccelse agogna, A compatir mirabilmente impara Il prurito d’altrui nella sua Rogna. SENTENZE. Vlcera quedam nocituras manus appetunt, & tactu gaudent, & feram corporum scabiem delectat quidquid exasperat. non aliter dixerim voluptati esse laborem vexationemque. Tu non ignara mali miseris succurrere disce. SONETTO XI. Bella Rognosa. SE DEL vasto Eritreo Conca gemmata Spargesse frà le Perle Ostri diuini, E trà i Cinabri suoi Rosa odorata Portasse i Gigli aspersi, e i Gelsomini; Chi potria rimirar cosa più grata Ne’ campi di Cristallo alabastrini? In tal guisa se’tù, beltà macchiata Di Coralli sanguigni, e di Rubini. Che se Tigre d’Amor sembri alla pelle (Manto condegno al crudo tuo rigore) Sembri anco vn vago Ciel cinto di stelle: Ma se laceri tè nel tuo candore, Ah pensa, ingrata, à quant’anime ancelle, Con prurito maggior laceri il core. ARGOMENTO XII. Questa Guancia sfregiata è così cara Ch’vn Zodiaco parmi, oue più forte Il Sol de gli occhi suoi l’Alba rischiara. SENTENZE. OMnis de vniuerso quæsto in cælestia sublimia, & terrena diuiditur. Omnis rerum naturæ materia dividitur. Omnia quæ im notitiam nostram cadere possunt, mundus complectitur, ex his quædam sunt partes, quædam materiæ loco relicta. Proscissum aratro solum , & iteratum, solutior terra facilius patet radicibus. SONETTO XII. Bella Sfregiata. NON saria bello, à mio giudizio, il Cielo, Nè bene andrebbe à suo cammino il Sole , Se quell’immenso, e spazioso velo Fosse vn campo indistinto, vna sol mole: Ma, perch’vn fregio anch’ei nel volto vuole, Che parta gli Equinozi, il caldo, e’l gelo, Quindi è, ch’i fior germoglia, e le viole, E ci scuopre egualmente amore, e zelo. Che parria non diuiso vn crine sciolto? Che saria non arato vn vasto suolo? Se non di spine vn bosco orrido, e folto? Quel segno, adunque, ò Donna, oggi è’l tuo Polo, Anzi, perche due Soli hai nel bel volto, Due fregi hauer douresti, e non vn solo. ARGOMENTO XIII. S’adiri pur la generosa, e forte: L’Ira è cote d’Amor frà genti amate, E soffresi in altrui con minor sorte. SENTENZE. FÆmina cum Irascitur delectat, quid cum blanditur? Iram calcar virtutis esse, Aristoteles ait, hac erepta, inermem animum, & ad conatus magnos pigrum inertemque fieri. Vtilis est Ira quia contemptum effugit, & malos terret. Irascuntur boni. Amantium Iræ Amoris redintegratio est. Quia nullus hominum auiumque concentus interrumpet cogitationes bonas. Solatia expectas conuicia accipe. Fer mores si immutari nequeunt, & qualiter foris viuas domi disce cum Socrate. SONETTO XIII. Bella Adirata. QVALOR commossa à generoso sdegno. Gonfi le labbra, e torci il guardo in giro, Sì bella, è bizzarretta, io ti rimiro, Che di Pallade il volto appar men degno. Diede l’Ira d’Achille a’ Greci vn Regno: Gli sdegni ad Alessandro il Mondo apriro: Si che se non t’adiri oggi io m’ adiro, Che son l’ire d’Amor di pace il segno. Che nuoce à me sentirti oggi alterare, Se mille volte ascolto i Cani ingrati E sopporto i lor gridi, e l’abbaiare? Deh strepita pur tù, che quei Iatrati Mi possono vna fiera al più donare, Tù m’arricchisci ognor di figli amati. ARGOMENTO XIV. Sotto lacere vesti, e rappezzate Le Carni di costei sembrano al sole Aperte da i Rubin Poma granate. SENTENZE. CErnimus Pulchritudinem quam vis sordido obtectam. Illa non est Paupertas si læta est. Nemo alius est Deo dignus quam qui opes contempsit. Huic speciosa facies est, potest mendicus formosus esse. Nudos videbis Deos, omnia dantes, nihil habentes. Athletæ vt vires cædentis exhauriant, nudari se patiuntur. SONETTO XIV. Bella Stracciata. ALTRI vagheggi pur gli ostri di Tiro, E di seriche pompe il corpo ammanti, Ch’io, mendica mia bella, i tuoi sembianti Più ricchi in questi stracci amo, & ammiro. O Sol, che frà le nubi, e frà’l zaffìro D’vno squarciato Cielo apri i tuoi vanti, Posson per tutto i desiosi Amanti Ferirti con lo sguardo, e col sospiro. Tù, qual vago Giardin, mostri di fuori Per i cancelli tuoi, ch’aperti stanno, E del fianco, e del sen le rose, e i fiori. Così gli Atleti al campo Eleo sen’ vanno (Abito, che s’adatta anco à gli Amori) Ricchi di palme, e poueri di panno. ARGOMENTO XV. Questa non hà le chiome, e non sen’ duole Perchè Fortuna il Teschio anco hà pelato E troua chi la segue, e chi la vuole. SENTENZE. FÆmina Calua morbis virilibus damnata. Non minus comatis quam caluis molestum est pilos velli. Cometæ significant tempestatem, & ventorum intemperantiam atque imbrium . Fortuna frontem habet capillatam, verum vbi semel se vertit ab occipitio calua, vnde versus. Fronte capillata, post hæc occasio calua. Magnus Gubernator, & scisso nauigat velo: & si exarmauit, tamen reliquias nauigij aptat ad cursum. Et descendit, vt ait ille: Cærul a ad infernas velificata rates. SONETTO XV. Bella Calua. O, DIO, chi non dirà Calua Donzella, Che le bellezze tue chiare, e diuine Sian rose senza foglie, e senza spine, O senza fronde, e fior selua nouella? E pur nell’alto Ciel crinita stella Và sempre orrenda à minacciar ruine, E pur calua da tergo, e senza Crine Fortuna è dolce in rincontrarci, e bella. O gran follìa d’Amor, tener prigione Frà’ lacci d’vn capello il core, e l’alma, E del suo danno amar l’empia cagione; Quando Chiomata in mar la Naue spalma, Di crudo tempestar sente lo sprone, Ma se vele non hà, segno è di Calma. ARGOMENTO XVI. Se l’aspetto dell’Altra è smisurato, L’ inopia esce dal poco, e non dal molto, E più d’vn picciol faggio il Pino è grato. SENTENZE. COrpus magnum, bonum est. An non vides quantum oculis det vigorem fortitudo corporis? Magna, vt Phœnix, ex interuallo generantur: mediocria, & in turbam nascentia sæpè fortuna producit, eximia vero ipsa raritate commendat. Magnitudo non habet certum modum. Paucitas est fugienda. Pictor colores quos ad reddendam similitudinem multos variosque ante se posuit celerrimè denotat, & inter ceram, opusque facili vultu, ac manu commeat. SONETTO XVI. Bella Lunga. DICA lingua bugiarda, e non curante, Che troppo eccelso il tuo bel corpo ecceda, Et che di semmetrìa nulla si veda Nel tuo fuor di misura alto sembiante, E che per tè baciar vuole vn Amante Le piume auer, ch’il Cigno ebbe di Leda, Che non sarà verun, che se lo creda, Se non vn cuor maligno, & ignorante: Sò pur (s’il ver non mente à gli occhi miei) Che son, come se’ tù subblimi, e belle Le Torri, gli Obelischi, e i Mausolei. Ne’ Colossi è maggior l’arte d’Apelle; Son derisi per tutto i vil Pigmei; Vanno i Giganti à saettar le stelle. ARGOMENTO XVII. Hà ben questa di Nubi il ciglio inuolto, E porta nella Notte ascoso il giorno, Ma pure Amore è bello, e cieco ha’l volto. SENTENZE. MIsereri illius opportet, quia luminibus orba est. Habet & nox suas voluptates. Oculi irritamenta sunt vitiorum ducesque scelerum Quam multis voluptatibus via incisa est, quam multis rebus carebis, quas ne videres vel oculi eruendi erant. Detestabilis erit cæcitas si nem ò oculos perdiderit. Celum & terram non aspicis, sed Cæli, terræque dominum spectandi facultas eripitur. Bella Cieca. BELLA Talpa d’Amor piango, e rimiro Arco senza saetta oggi il tuo ciglio, Foco senza calor quel tuo vermiglio, Paradiso il tuo sen pien di martiro: Notte, che senza stelle apre il suo giro, Piaggia, oue spunta in van la rosa, e’l giglio, Cielo, oue lcaro andria senza periglio, Sole spento, Orror dolce, atro Zaffìro. O suenturato, e misero sembiante, Fatto dal tuo destin troppo seuero, Polifemo d’Amor pria che Gigante: Mi sembri senza tuon Gioue guerriero, Mi sembri senza luce il Mondo infante, Ma vede assai, chi vede Amore, e’l vero. ARGOMENTO XVIII. Può mentir bella Donna, e senza scorno, Che l’altre qualità colme d’onore Hanno la Fede inuiolata attorno. SENTENZE. MEntiri solemne est amantibus, ideo non nisi iurantibus credimus. Vt enim immortalis est veritas, sic fictio, & mendacium, non durant. Qui in mendacio confidit citò deficit. Spes est vltimum aduersarum rerum solatium. Ego sum similis illi, qui quamuis nihil speret, semper optat. SONETTO XVIII. Bella Bugiarda. BVGIARDA, ogn’vn ti mira, ogn’vn t’apprezza; Ma verun non t’ascolta, e non ti crede, La magica virtù di tua bellezza, Se trionfa de gli occhi, all’vdir cede. Fosti à mentir fin dalla Cuna auuezza, Guerra porgendo à chi volea mercede, Io sol frà questa tua lieue sciocchezza Alle parole tue, Donna, dò fede. E sì mi gioua vn nò, da quella bocca, Che non sà mai formar detto sincero, Che ripien di dolcezza il cor trabocca. Se tù mi dici vn nò, tengo per vero, Che di goderti vn giorno il sì mi tocca: Se tù mi dici vn sì, qual cosa spero. ARGOMENTO XIX. Questa, ch’in balbo suon palesa il core, Fà risonar con interrotti accenti Vn Ecco soauissimo d’Amore. SENTENZE. QVid miramur mulierem blesam? cum disertissimos agnouerim viros non respondentes famæ suæ cum declamarent? Nulla illi cura vocis exercendæ fuit. Melius est plus sensus quam verborum habere. Eloquentia nulli tota contigit. Nec corporum vires ad omnia quæ viribus efficiuntur aptæ sunt. Eloquens captat pretium ex litium numero. Et quandoquidem Echo sententiæ genus fuit. Tu qui blesiories, si intellectu polles, magnisque et altis qui in animo sunt sensibus, iucunda vox, & volubilis lingua non suppetit. Virtus laboriosam non querit eloquentiam: disce non ad pompan viuere, non ad pompam loqui, sed veritatis applausum opta. Summa ergo summarum hæc erit, tar diloquum te esse iubeo. SONETTO XIX. Bella Scilinguata. BALBA diletta mia Greca nouella, Qual ferro, ò qual Terèo tua lingua affrena? Qual ingiuria scortese, ò quale stella Ti sforza à scilinguar con Filomena? O di lei più felice insieme, e bella, Che mi rassembri in vn Cigno, e Sirena, L’Ecco dell’interrotta tua fauella Raddoppia le speranze alla mia pena. Col tronco suon dell’interrotta voce Quel dardo se’, che non giungendo al segno, Và per l’aria à piacer, ma nulla nuoce. Che se vuoi dirmi Armati occhi io vi sdegno Tralasci il suon dell’esse, e l’erre atroce, E proferisci: Amati occhi io vi degno. ARGOMENTO XX. Non si biasmin gia mai labbra ridenti, Che non son pensier folli, ò graui falli, Ma segni di dolcezza , e di contenti. SENTENZE. NOlo tibi vnquam deesse, lætitiam, volo tibi illam domi nasci. Animus debet esse alacer, & fidens , & supra ommia erectus. Hilaritas trisititiam dissipat. De humano genere melius meretur qui ridet quam qui luget. Maioris animi est qui risum non tenet, quam qui lacrymas. Qui prudens est, & temperans est: qui temperans est & constans est: qui constans est, & imperturbatus est: qui imperturbatus est, sine tristitia est: qui sine tristitia est, beatus est. SONETTO XX. Bella che sempre ride. LÀ DOVE s’apre il Ciel sempre traluce Dello splendor di Dio raggio benigno, È sì piace il color dell’aurea luce, Che dilett’anco vn balenar maligno: Deh, perche non son’ io Sirena, ò Cigno, O delle Diue Ascree l’eterno Duce? Per dolce risonar quell’aureo ghigno, Che nel Ciel del tuo volto Amor conduce. Oh! s’io potessi vn dì pingerne il vero: (Ma ritrar non si può color di foco) Farei marauigliar questo Emisfero. Labbra ridete pur, ch’il Riso è gioco, E non folle balen di van pensiero, Ch’il vostro rider sempre à mè par poco: ARGOMENTO XXI. L’altra ch’inumidisce i suoi coralli, E come Egeria si distilla in pianto, E miniera di Perle, e di Cristalli. SENTENZE. LAcrymæ fluant quantum affectus eiecerit. Afflicto paulisper cedendum est. Omnis dolor per lacrymas effluit. Fatuus in risu exaltat vocem. Excidunt etiam retinentibus lacrymæ, & animum profusæ leuant. Singula stillicidia, singula specula sunt. Lacryma est indicium inoptatæ rei, & fletus humanarum necessitatum execratio. SONETTO XXI. Bella che Piange. TV PIANGI Anima mia, tù piangi, e in tanto Fai così bella vista à gli occhi miei, Ch’vn Argo con cent’occhi io ti vorrei, Per veder da cent’occhi vscirti il pianto. Care stille dell’Alma, io v’amo tanto, Che soura l’onde vostre à nuoto andrei, Perle non hanno gl’Indi, ò gli Eritrei, Ch’agguaglin delle vostre il pregio, e’ l vanto. O fonti, ch’inrigate vn suol di fiori, S’il rider è pazzia, chi piange ogn’ora Dimostra senno, e laua i propri errori. Così si sfoga Amor, che n’addolora, Così temprando i suoi cocenti ardori, Perche piange essa ancor, bella è l’Aurora , ARGOMENTO XXII. Il Sol, che solo in cielo vnico hà il vanto E l’immagin di lei, che Polifema Bella saria con cento Vlissi à canto. SENTENZE. GRææ habitarunt im Scythia, & vnum oculum, atque vnum dentem hab uerunt, &c. Solent qui alterum oculum amiserunt altero acutius videre. vndi Tiresias ait. Obruit ora Deus, totamque in pectore lucem Detulit, &c. Luna Soli se opponit , & illum tanto maiorem , subiecto corpore abscondit , modo ex parte, si ita contigit modo totum. Nulla nox est in qua stellæ non videantur ire , & in diuersum abduci. Quippè manifestum est Solem interuentu Lunæ occultari. SONETTO XXII. Bella con vn’occhio. O, BELLA Grea d’Amor, non già nel volto, Ma nell’occhio conforme al Mostro altero, Anzi in forma d’Amor sagace Arciero, Ch’in vn Ciglio il mirar tutt’hai raccolto. Apri l’altro oramai, se m’hai già colto, Che vuoi tù più, s’al primo colpo io pero? Non voler, che per sempre vno Emisfero Porti la Notte, e l’altro il Giorno inuolto: Ah m’inganno, Idol mio: la tua bellezza Fatta quà giù della Celeste erede, Più solo vn Sol, che mille stelle apprezza: Ne’ duoi lumi del Mondo anco si vede, Che quand’un poggia alla subblime altezza, L’altro s’asconde immantinente, e cede. ARGOMENTO XXIII. Questa bocca genti di Denti scema, Vn Mar voto è di scogli, e ripien’ d’ostri, Oue si puo solcar senz’altra tema. SENTENZE. IAm sine dentibus es, iam inter loquendum ridendumque non plenumos habes. Iam inermis cum voluptate luctaberis, minus comedes, parcius ridebis, lentius mordebis, & dentium dolor nullus. Loqui parantem, fracta spes dentium frænabit. Et ab osculis petulantiam cohibebit. Hinc Pupula in delicijs meis facta es, dentes tibi cum maxime cadunt. Qui amicus est amat. Veritaris vna vis, vna facies est. SONETTO XXIII. Bella Sdentata. NON hai, Donna egli è ver, priua de' denti Quelle porte d’auorio, e quei cancelli; Che frà gli archi di rose vmidi, e belli Aprono il varco à risonar gli accenti. Ma quell’aure non hai dolci, e ridenti Imprigionate ancor quando fauelli; Nel mar, che non hà Scogli arditi, e snelli Più vanno i Legni à gareggiar co’ Venti. Chi disprezzò già mai conca gentile Perche le perle sue dolci, e viuaci Si stien lontane à fabbricar monile? O disarmata Bocca, è mè tù piaci, Perch’ il serpe sdentato è sempre vmìle, E manco hò da temer se tù mi baci. ARGOMENTO XXIV. E se Negra costei par che si mostri, Fatta è Carbon dell’amoroso foco, Et per le lodi sue tinge gl’inchiostri. SENTENZE. ADustus color feruentissimi caloris est indicium. Tantus stellarum innumerabilium fulgor, quem non intentum in se tenet? Lydius lapis attritu aurum prodit cuiusmodi sit. Quantum ista nocte, quam tu in numerum, ac discrimendemum obseruas, agitur? Quanta rerum turba sub hoc fusco colore euoluitur? Mundus per noctem ignes suos fundit. Nigros autem aspectum virilem præseferre ait Plato 1. 5. de Rep . Et sol dat spatium noctibus. SONETTO XXIV. Bella Negra. NEGRA sì, ma se’ bella, e chi nol crede Di tenebre ammantato il Ciel rimiri, Tù, con due sole stelle incendio spiri Ei, con molt’occhi appena arder si vede. Più soura il Negro tuo, costante il piede Mostra il viuo candor de’ miei sospiri, Più su tua bruna pietra i miei martiri Scopron, com’oro, al paragon mia fede. O del foco d’Amor negro Carbone, Le belle fiamme tue, ch’ auesti intorno, Del tuo negro color son la cagione. Raggio in torbido Ciel più luce adorno, Di fosca Teti in braccio il Sol si pone, Al fin negra è la notte, e porta il giorno. ARGOMENTO XXV. Gozzuta è questa, e parrà certo vn gioco S’io la dico d’Amor mantice alzato, E dirò forse il ver, ma dirò poco. SENTENZE. NOs quoque Apes debemus imitari, vt quicquid ex diuersa lectione collectum est, stylus redigat in corpus. Columbarum ceruix, colorem, & sumit, & ponit vt cunque deflectitur, vnde Neronis versus. Colla Cytheriacæ splendent agitata Columbe. Nulla res ardentius appetitur qua forma, nulla animum inflammare potentior. Graij, quam vos diuinationem dicitis, à furore μανΤιχίν, dici volunt. SONETTO XXV. Bella Gozzuta. IO ME ne vò com’Ape, e dal tuo fiore Non sò, Donna, cauar se non il mele, Ragno, ch’a’ danni altrui tesse le tele Ne tragge sempre vn velenoso vmore. Altri biasimeria quel bel candore, Che della Gola tua gonfia le vele, Io nò, che son d’Amor Pecchia fedele, E cerco in mille guise il farti onore. Deh, chi non sà, che se non fosser belle Non trarian Colombe il carro aurato Di Venere Afrodisia alto alle stelle. Et pur Gozzate son, pur han gonfiato, Com’ oggi la tua gola, il collo anch’elle, Mantice forse alle mie fiamme alzato. ARGOMENTO XXVI. O marmo di tue glorie oggi animato, Tù sembri senza senso, e chi ti vede Come in veder Gorgon, resta insensato. SENTENZE. QVI stolidus est, non tam acria & concitata habet omnia quam quidam quædam- non omnia in singuli extant. Saxo comparatur stoliditas vnde Plaut. in Mel. Nullum est hoc stolidius saxum. Mallem ingenium tardum ac modestum quam velox, & promptum. Et si omnis homo sensus habet, nec ideo omnes homines aciem habent Lynceo similem. Ista quæ tu in decorem sparsa consideras, singulain opere sunt. Hoc quoque habet stoliditas, semper incipit viuere. Nemo vsque eo tardus & hebes in terram est, vt ad diuina , non erigatur, vbi nouum aliquid miraculùm affulsit. Naturæ admiratores cultoresque sumus, at Natura vtrunque facere nos voluit, & agere & contemplatione vacare. SONETTO XXVI. Bella Insensata. O, TROPPO a’ sensi altrui Donna insensata, Ma, Donna che di luce adegui il Sole, Perche manchino à tè spirti, e parole, Sarà però la tua beltà men grata? Guance di rose hauer, chioma dorata, Neui ch’aprino in sen gigli, e viole, Son marauiglie, à marauiglia sole, Come sola se’ tù Pietra animata. Il Ciel per fabbricar la tua scultura, (Ma scoltura, che spira, e muoue l’orme) Ti volle insieme, e disensata, e dura. O nel vederti à sua beltà conforme Trasecolò per lo stupor Natura, E tù dormi oggi in essa, ella in tè dorme. ARGOMENTO XXVII. Donna, pazzo è chi Pazza oggi ti crede, Che quel furor, che la tua mente muoue, E schiettezza d’onor, d’Amor, di fede. SENTENZE. AVT Regem, aut fatuum nasci oportet. Vir magnus animum deducit à corpore. Animus in hoc tristi, & obscuro domicilio clausus quoties potest, apertiora petit . Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiæ fuit. Non potest grande aliquid supra ceteros loqui, nisi mota mens. O fatua non gemme te, non te margaritæ flexerunt, non tibi diuitiæ &c. Aliquando insanire iucundum est. Interdum sanos mæstos, & furentes lætos vidimus. SONETTO XXVII. Bella Pazza. FORSENNATA mia bella, al tuo furore Qual concitato spirto alzo l’Ingegno, E tanto io fossi à celebrarti degno Quanto degna se’ tù d’immenso onore, L’alma del tuo bel corpo oggi maggiore Non sà capirui, ò contener si à segno, E qual Pitia, ancor tù, non hai ritegno, Perch’ Apollo hai nel cor, nel volto Amore. O libera beltà, quì non si vede Di fallace sembianza arte, ò lauoro, Sciolto, e nudo egualmente il petto, e’l piede: O pura, e lieta ogn’or: mentr’io t’adoro, Se non conosci in mè prezzo di fede, Io non veggio anco in tè fame dell’oro. ARGOMENTO XXVIII. S’ il desir di costei non gisse altroue, E fosse nel mio mal sempre costante, Io chiederei pietà, ne saprei doue. SENTENZE. PRoprium mulieris est nihil diu pati, & mutationibus vt remedijs vti. Natura enim humanus animus agilis est, & pronus ad motum. Mutatio voluntatis indicat animum natare aliubi, atque aliubi apparere, pro vt tulit ventus. Hæc commouetur quidem, non tamen transit, sed suo loco nutat. Lunam nunquam implet nisi aduersam sibi. Desinit morbum incendium extinguitur, ruina quos videbatur oppressura, deponitur. Natura autem hoc quod vides regnum, mutationibus temperat. Et contrarijs rerum æternitas constat. Nec quicquam noxium æternum est. SONETTO XXVIII. Bella Inconstante. O, BEL Proteo d’Amor, già non mi doglio Della tua fè, ne del pensier volante, Se tù fossi ad ogn’or salda, e costante, Nel mar del pianto mio saresti scoglio. Più tosto in questa guisa amar ti voglio, Perche forse anco vn dì vedrotti amante; Cintia ancor ella in Ciel cangia sembiante: La Sibilla in mutar ferma il suo foglio: Anco là di Pelèo la bella sposa Si cangiaua ora in Drago, ora in Leone, Al fin col foco ella si fè pietosa. Così tù del mio foco alta cagione Se non ti fermi vn dì sarà gran cosa, Ch’il mal di rado inuecchia ou’ ei si pone. ARGOMENTO XXIX. Marauiglia è del certo essere amante Di Donna dispettosa, e pur è vero Che spesso piace vn zotico sembiante. SENTENZE. AEque facilitas amoris, , quam difficultas nocet. Ipsa altitudo attonat summa. Hominem excelsi ingenij virium, humilia delectant & sordida. Optimum est pati, quod emendari non potest. - etiam Amatorem amicæ Turpia decipiunt cæcum vitia, aut etiam ipsa hæc Delectant - Hor. Sat. 1. I. Sat. 3. Nitimur in vetitum semper, cupimusque negata. Bella Dispettosa. SONETTO XXIX. Bella Dispettosa. RARO interuien, ch’vn generoso core, Che segga il Regno à dominar del petto, Mentr’ è tutto vaghezze, e tutto amore Sia fonte di disdegno, e di dispetto. Ne’ brutti è ben talor questo difetto, C’han l’interno conforme à quel di fuore, Ma brutta, e dispettosa anco in effetto La Donna hà di beltà qualche valore. Se’l mel ne stucca, il gusto offende ancora La souerchia in Amor facil dolcezza, Però con l’agro il Zucchero migliora, Quindi costei, ch’in sè non hà bellezza Con quel suo viso arcigno anco innamora, Perche l’huom sempre il denegato apprezza. ARGOMENTO XXX. Prouò questa leggiadra vn destin fiero, Ma discoperse à noi la man nemica Di Perle, e d’Ostri vn Oceano intero. SENTENZE. GRauissimum est ex omnibus, quæ vnquam in corpus eius descenderunt recens vulnus, fateor, sed virtus est inuulnerabilis. Non pudeat animum tot miseriarum victorem aegrè ferre vnum vulnus in corpore. Gaudent magni viri rebus aduersis. Dum gladio incubuisti, virtutum viuam imaginen palam fecisti. Existimauit similia esse quæ laterent, his quæ ostenderentur. Militares viri gloriantur vulneribus, læti fluentem meliori casu sanguinem ostentant. Et inter redeuntes ex acie, magis spectatur qui saucius redit. Seruiant ergo deteriora melioribus: fortes simus aduersus fortuita: non contremiscamus iniurias, non vincula, non vulnera. SONETTO XXX. Bella Ferita. EMPIO cor, cruda voglia, e fera mano Ebbe colui, che il tuo bel corpo offese, Ma quello scelerato atto villano Dalla bellezza tua l’origin prese: Pensò l’ingrato, e nol credette in vano, Al balenar delle tue ciglia accese, Nello squarciar le nubi al petto umano Il Ciel dell’alma tua veder palese. E ben vid’egli uscir pregi diuini Per che, piangendo tù, s’uniro in quello Vn diluuio di perle, vn di rubini. Così si trincia il drappo, ou’ è più bello, S’apre la rete, oue son d’oro i crini, E là si taglia il guanto, ou’è l’anello. ARGOMENTO XXXI. Pur quando la Beltà casta e pudica Di semplice color l’anima veste, S’hà senza guerra eterna pace amica. SENTENZE. NAtura bona conditione te genuit, Columba simplicissimum animal est felle carens Satius est perpetua simplicitate contemni, quam perpetua simulatione torqueri. At illa quantum habet voluptatis sincera, & per se ornata simplicitas nihil obtendens moribus suis. Faciliùs reges animum, nulla vanitate tumentem. Non potest muliebris excusatio contingere ei, à qua omnia vitia muliebria abfuerint, Pro optimo est mimime malus. Et magnus est Pudicitiæ fructus. Risit Socrates cum ab vxore Xantippe, immunda aqua perfusus fuit. SONETTO XXXI. Bella Semplice. CARA Amorosa mia massa di Rose, Impastata di schietto almo candore, Colomba senza fele, e senza core, Che credi, e nulla sai, tutte le cose: Ch’importa à mè s’in tè Natura pose Vn Alma lieue, un semplicetto amore? Hai forse da trar meco i giorni, e l’ore Per disputar delle scienze ascose? Per hauer Prole, e Pace io t’amo allato, E s’auea, come tè, placida sede Socrate con Santippa era beato. E se qual molle cera ogn’vn ti vede, A mè mi basta sol tenghi improntato Il sigil dell’Onore, e della Fede. ARGOMENTO XXXII. L’Astute non però ci sien moleste Che son le Volpi, e son lodate ancora, Per il danno schiuar più scaltre, e preste. SENTENZE. NON potest Amor cum timore misceri- Consortium rerum omnium inter nos facit amicitia. Astutia mentis est, qua rebus industrijs cautum captatur consilium, & acute despicitur ataque iudicatur quid bonum & versutiæ nomen assumit cum in malum se se contulerit. Qui cauet ne decipiatur, vix cauet cum etiam cauet etiam cum cauisse ratus est. Plat. in cap. Astutum fallere difficile est. Ter. ln Adel. Hoc habent inter cœtera boni mores, placent sibi, & permanent hinc Pindarus. Neque fulua Vuulpes neque grauiter rugientes, Leones mutant mores. Pind. Olim ode XI. SONETTO XXXII. Bella Astuta. IO per mè non ti biasmo Alma scaltrita, Che fai presidio à tè del proprio ingegno, E ben ch’ogn’vn ti sprezzi, io non ti sdegno, Anzi ti fiderei la propria vita. Chi fù che diede a’Greci eccelsa aita Se non d’ Vlisse il cauo astuto legno? Vn incauto pensier guinge à tal segno, Che come forsennato altri l’addìta. Tante le Reti son, tanti gl’ inganni Tesi per fabbricar nostra caduta, Che chi scaltro non è, non fugge i danni. Sia pur tù qual tù se’, che non si muta In questa valle misera d’affanni, Ne superbo Leon, ne Volpe astuta. ARGOMENTO XXXIII. La Guancia che di Vin’ quì si colora, Mostra del core il gran calore interno, E d’onorata Porpora s’onora. SENTENZE. RVbor in iuuenibus est bonum signum, quibus, & plus caloris est. Rubeus color alijs nobilior, ideo vestes huiusmodi perfusas colore, honoris causa, tantum Principibus, & Senatoribus induere permittebatur. l. 2. in verb. de rest. olob. Bart. Cass. Cat. Glor. par. I. 24. Vino natura est hausto accendendi calore viscera Pl. l. 14. c. 5. Neque viribus corporis vtilius aliud, neque aliud voluptatibus perniciosius, si modus absit. SONETTO XXXIII. Bella con voglia di Vino nel viso. MACCHIA ò Donna non è quel tuo rossore, Che del volto a’ Cristalli il vin dispensa, E’ di Natura vn ottimo liquore, Che si mesce d’Amor forse alla mensa. Distingue tè con la Liurea d’onore, O nuoua Luna in Cielo esser ti pensa, O ci vuol dimostrar quanto vigore Hebbe d’uman desio la forza intensa. O se tua madre à mè pensaua allora, Certo sarei, che nel tuo volto impresso Il mio foco gentil si vedrebb’ora. Ma l’opposito in mè tutto è successo, Ch’io porto sempre, e null’appar di fuora, Il tuo volto indelebile in mè stesso. ARGOMENTO XXXIV. Io nelle piaghe ancor bella ti scerno, Piaghe che fan la delicata gola Base intagliata al tuo gran nome eterno. SENTENZE. INtuemini debilia infelicium membra nescio qua tabe consumpta. Sed animus nobilis supra humama potest se attollere & vlcerationes & vulnera circa se frementia securus aspicere. Tace ingratissime mortalium , quis enim est tam miser, tam neglectus, quis tam duro fato, & in penam genitus, vt deorum munificentiam dum in totum sanatur, non sentiat. Aliquamdo extrinsecus morbus quo admoneatur mortalitatis interuenit , sed id leue, & quod summam cutem stringat. Rex Franciæ tactu sanat infirmos ex illa infirmitate &c. Bart. Cau. Catal. G. M. Pars 5. n. 30 Pag. 126. SONETTO XXXIV. Bella con Gauine. DIRÀ forsi altri, e qual bellezza è grata, Che giaccia oppressa al fulminar dell’onte, Che la parte gentil, ch’al viso è ponte Habbia di piaghe, e di liuor macchiata? Io Cima ti dirò d’eccelso monte Da’ fulmini d’Amor tocca, e segnata La tua Gola dirò base intagliata Per inalzar la gloriosa fronte. Anzi dolce mirando, emmi d’auuiso Piramide veder d’eccelsa Rocca, O’l Mausoleo di chiare note inciso. Affrena, ò detrattor l’indegna bocca, Non disprezzar le piaghe in quel bel viso, Che Dio stesso le sana e’l Rè le tocca. ARGOMENTO XXXV. E tù che solo adopri vna man sola, Sarai forse men cruda, e men rapace, Se ben con essa Amor l’alma m’inuola. SENTENZE. QVid ridetis quod non habeo manus ? Nunquam putaui futurum , salua Pudicitia, vt mulier fortis sentiret se manus perdidisse. Im mentem vobis venit misereri huic, quæ manus non habet; qui illorum qui frustra habent , sacrilegi, & homicidæ ? hæc furti non potest esse suspecta. Polypus quicquid attigerit tenet. Plaut. in Aul. Polypo nullum animal ad conficiendum hominem im aqua nocentior, luctatur enim complexu. Pl. l. 9. c. 30. Si apud antiquos nefas putabatur brachium extra togam exercere; ab his moribus qui manus non habet non aberrabit. SONETTO XXXV. Bella Monca. SIo non posso cantar per tè ben mio, GIVNTO mi hà Amor frà belle, e crude braccia, Pusillanimo almen dir non vogl’io, Il Meglio è ch’io mi mora amando, e taccia. Vò cantar, vò prouar lungi all’oblìo, Che non è cosa in tè che mi dispiaccia, Anzi l’Edra, la Scimia, e’l Polpo è rio Sol per ch’ogn’ vn di lor facile abbraccia. S’ Alcide era qual tè buon per Antèo, Et s’eran come tè l’Euee Baccanti, Sarebbe viuo il pouerello Orfeo. Se stesser nelle braccia i bei sembianti, Chi sarebbe più bel di Briareo? Mà se questo sia ver ditelo Amanti. ARGOMENTO XXXVI. Tu con quel Naso imperioso audace, Nel pelago d’Amor fanale, e stella, Per il porto additarmi alzi la face. SENTENZE. NIhil homini Natura quod necessarium sciebat fecit operosum. Magnitudo non habet certum modum. Tu fuge paucitatem. Quædam superuacua sunt, quædam tanti non sunt. Gubernaculum quod naui alteri magnum, alteri exiguum est. Emunctæ naris viros dici eos vsitatum est, qui acri sunt iudicio conspicui. Pier. l. 33. P. 337. Hunc ego me - - Non magis esse velim, quam naso viuere prauo. Hor. Nasus ipse in prouerbium abijt pro Iudicio. Nasuti homines sunt sagaciores. Vnde Hor. Sat.3. minus aptus acutis Naribus horum hominum, SONETTO XXXVI. Bella Nasuta. QVEL che torreggia imperioso altero Soura le guance tue Naso reale. In Mar di rose, e latte oggi è fanale, Che scorge con due lumi il mio pensiero: Non lusingo à bell’arte, io dico il vero, Ogni sublime al Ciel s’estolle, e sale, Hà l’arco del tuo ciglio vn grande strale, Perche più mi trafigga Amore arciero. O Naso eletto à braccheggiar la fronte, Tù se’ del Volto in quella Piaggia aprica Di senno il Punto, e di bellezza il Ponte. Lingua che biasma or tè, biasmi inimica, L’Aquila ancora, e’l gran Rinoceronte, Nasidio, i Nasamon, Naso, e Nasica. ARGOMENTO XXXVII. Ecco di quà venir Pecchia nouella, Che ne faui d’vn volto straforato Incocca le Saette, e i cuor criuella. SENTENZE. ACquiescamus his quæ iam hausimus, & vultus perforatus appareat, dummodo non perforatus sit animus. Fertilibus agris non est imperandum, cito enim exhauriet illos nunquam intcrmissa fœcunditas. Non vides quanta subtilitas sit Apibus ad fingenda domicilia, &c. SONETTO XXXVII. Bella Butterata. S’AMOR s’asconde in mezzo à due fossette, Che stampa in bella Guancia vn dolce riso, Tù che n’hai cento, e mille entro al bel viso, Vhai cento, e mille Amori, archi, e saette. O belle cicatrici, ò stampe elette Per le stelle imitar del Paradiso, Per criuellare i cuori emmi d’auuiso, Ch’ Amor trafori in voi quelle Rosette. A che dunque d’intagli hauer pensiero, E d’vn volto scalfito odiar l’oscuro, Mentre l’animo è saldo, e’l cor sincero? Da’ faui perforati il mel vien puro; Il terren pien di fosse, ancorche nero E’ più ricco di frutti, e più sicuro. ARGOMENTO XXXVIII. Non ci arricchisce ancor di parto amato. Questa steril bellezza, & è mercede Per ch’il raro è quà giù più bello e grato. SENTENZE. SEgetem nimia sternit vbertas. Ad maturitatem non peruenit nimia fœcunditas. Sterilitas obsequiosas facit mulieres, atque humiles. Quæ plurimos parit iam non vxorem, sed dominam: iam se esse credit. SONETTO XXXVIII. Bella Sterile. NE cruda tù, ne di tè stessa auara, Con orma di ragion t’appella il mondo, Solo il Sol ne’ suoi raggi arde giocondo, E Cintia senza figil Ciel rischiara. Alma sublime eccelsamente impara, Ch’ogni bello è quà giù raro infecondo, Gemma nel sen dell’Ocean profondo Quanto germoglia men, tanto è più cara. Nieghisi il propagar dunque i Tesori A chi di sua beltà tien la radice Più che ne’ figli, impressa in mille cori. Così là sotto vn aureo Ciel felice, Senza prole, ammirata, i suoi colori Serba con più stupor l’alta Fenice. ARGOMENTO XXXIX. Di lagnarsi costei non hà ragione, Ben che vegga scemar la sua bellezza, Se grauida, ne’ figli la ripone. SENTENZE. NON te fœcunditatis tuæ, quasi exprobret ætatem, pudeat. Tumescentem vterum ne absconde quasi indecens onus, neque intra viscera tua conceptas spes liberorum elide. Non tempestate vexaris, sed nausea. Nam Gubernator interdum in tempestate nauseabundus est. Fuisset iniquissima rerum natura, si te sterilem fecisset. SONETTO XXXIX. Bella Grauida. DIANZI vn cuor solo haueui, e come Rosa Grazie spiraui, e Zeffiri d’Amore, Ed or, che tù n’hai due, ti par gran cosa, Ch’in vece di Beltà , cresca il Pallore. Ma deh non ti lagnar gentile Sposa, Patisce il frutto oue s’allega il fiore, Se tieni in tè più d’ vna vita ascosa Si parte anco in due vite il tuo colore: Anco la Naue in mar grauida sente Nausea nel pondo suo, ne si querela Perch’ il bramato porto hà nella mente. Ponelope Tessèo la lunga tela Sol per di nuouo, hauer, qual tè, dolente, Questo mal che fà capo, e non si cela. ARGOMENTO XXXX. Questa sì bella appar con sua Magrezza, Che l’ama Pane stesso, e fuor di modo Qual canna sottilissima l’apprezza. SENTENZE. VIres non faciunt beatum, Hoc multo fortius est, siccum ac sobrium esse, Siccioribus & frigidis non est ab ira periculum. Pulcherrimus cum decore cum viribus sanus ac siccus imperturbatus intrepidus. Natura enim humanus animus agilis est. Rami nimis grauati, onere franguntur, Labor bonum non est, res leues, & perferendæ, sunt bonæ. Vix maciem amare, & ciborum voluptatem contemnere? Exitum specta. Nulla est autem sine dificultate subtilitas. SONETTO XXXX. Bella Magra. TRASPARENTE mio Ciel, magra mia bella, Ch’vn Diafano sembri à gli occhi miei, Doue ogni punto, ogni minuta stella Sotto i Muscoli tuoi, contar potrei. Tù di vaghezze Anatomia nouella, Che voce, e penne vn Rosignol direi, Del proprio corpo tuo leggieri, e snella, Vna dote hai quà giù pari à gli Dei: Qual tè secche eran forse Orizia, e Flora, Che, Grassa, non potean portar col fiato I Venti la Beltà, che gl’innamora: E tal Siringa fù nel Ratto ingrato, Anzi Pan, fatta Canna, amante ancora Perch’è magra, e leggier, l’hà sempre allato. ARGOMENTO XLI. Pur di Beltà ch’è Grassa io così godo, Ch’a questa sol m’attengo, e qual vorrei Appien le glorie sue non canto, ò lodo. SENTENZE. OMnes tui mirantur quæ tam Crassam cervicem habes. Ego vero non; quia debet semper plus esse virium in latore quam in onere. Venter præcepta non audit, poscit appellat. Luna deficit nunc obumbratur- donec totum impleat orbem. Et nitidæ surgent fruges, ramique virescunt. Vir. 3. æn. Cogita sæpe cælestia ingenia ex hoc fasce corporeæ molis erumpere, & ad miram altitudinem peruenire. Sortita est Venus multa cognomina ab euentis rerum, vt Paphia Mythol. P. 209. Et de Baccho cecinit Euripides. Cæloque paruum luppiter infantem tulit. in Bac. SONETTO XLI. Bella Grassa. BEN mi parrebbe impouerir nell’ Oro, E nel mezzo del Gange ire assetato, S’io fossi, o Bella Grasa, vn di coloro A cui non piace il tuo sembiante amato. O gusti senza gusto, e che v’è grato Gli Scheretri, le Mummie , e l’ossa loro? Volete forse vn secco legno allato Viè più d’ vn verde, e rigoglioso alloro? O Ritondetta mia, dirò sol questa Di tante lodi tue belle, e serene, Che di tè, Nuda ancor, qual cosa resta. Nella Copia Amaltea ricca diuiene Nella pienezza il piè la Luna arresta Nell’Auge il Sol s’auanza, e lì s’attiene ARGOMENTO XLII. E se lentigginosa oggi è costei, Sue Macchie à Cintia assomigliar si denno, Anzi, se stesse à mè, l’anteporrei. SENTENZE. TRiticum quamuis sit exiguum cum occupanit idoneum locum vires suas explicat, & ex minimò in maximos actus diffunditur. Extrinsecus aliqua sunt incommoda, velut eruptiones pustularum, & vlcuscula, nullum in alto malum est. Atriplex lentigines gignit. Plin. lib.20. c.20. Sunt verò Lentigines maculæ similes lentibus, velfursuræ, aut crustæ frumenti à farina segregatæ. Et decentior est facies, in qua aliquis næuus est. Luna nonnunquam maculosa cernitur, &c. Plin.lia.2.c.9. SONETTO XXXXII. Bella Lentigginosa. CERERE allor ch’à Neptolemo porse Nel più nobil frumento il cibo accolto, E che, fattone polue, indi fù tolto De’Boschi il primo pan, che l’huom soccorse. Vide nascer la CRVSCA, e ben s’accorse Qual pregio in auuenir trarrebbe inuolto, Onde alla Figlia sua ne sparse il volto, Della Luna macchiata emula forse. Lentigginosa mia, di lì son ora Le macchie, anzi le stelle in tè discese, Onde la Guancia tua lieta s’infiora. Son dunque onor del Volto, e non offese, E se t’hauesse il gran Licèo di Flora, Ti riporria frà le sue belle Imprese. ARGOMENTO XLIII. Quando in giouine età canuto e’l senno, Che sia canuto il pel poco c’importa: Lo disse Erginio all’ Amazone in Lenno. SENTENZE. NAscuntur enim & iuuenibus in viris cani sæpe, etiam præter ætatis congruum tempus. Vrit in Aetna flamma. Hor. ode 17. Tectum nitidius argento & coloribus sparsum num mediocre munus vocabis? SONETTO XLIII. Bella canuta innanzi tempo. VILAGNATE, e perche? Chiome diuine, Che frà le fila d’Oro esca l’Argento? E che Neue di giel v’offenda il Crine Mentre l’Estiuo ardor non anco è spento? Io nò, che frà quel ghiaccio, e quelle brine Il Mongibello mio mancar non sento, Ne sento ancor da quelle Cime alpine De’ miei caldi sospir più freddo al vento. Anzi, segno è del senno il Crin di gelo, E Dio qual bianca nube alto vel pose, Perch’il Sol de’ uostr’occhi habbia il suo Cielo. Quindi spesso dich’io, Guance amorose, Ammirando il Candor del vostro pelo, Sotto vn tetto di Gigli, ecco le Rose. ARGOMENTO XXXXIV. Habbi pur Amor mio la Guancia smorta, La Pallidezza tua m’è sempre amica, Ch’il foco nelle Ceneri si porta. SENTENZE. HOmines graui valetudine explicit- omnem colorem corporis sui calumniantur. Quæ ad placendum fuco quodam subornantur, expectant annos, donec paulatim colorem diuturnitas ducat. Sæpe felicitatis causa & initium fuit quod calamitas vocabatur. Etiam si oculorum aciem contundat & colorem mutet. SONETTO XXXXIV. Bella Scura. SCOLORITO ben mio, languido Giglio, Anzi già di Beltà purpureo fiore, Ch’al Prato delle Guance, onde se’ figlio Scriui in pallide foglie il tuo dolore: Prima destaua Amor quel tuo vermiglio, Oggi desta Pietà quel tuo pallore, Ond’Amore, e Pietà fatt’han consiglio Col tuo pallido piombo aprirmi il core. Per conseruare il fuoco oggi il tuo volto Stassi, ò bell’Idol mio, qual Carbon suole Frà scolorita Cenere sepolto. Or quì venga à mirar chi veder vuole Il giorno nelle tenebre sepolto, O nelle pallide ombre ardere il Sole. ARGOMENTO XLV. Ma che dirò di te mia fiamma antica, Se non che vuole amor che l’Alba mia, Del mio cadente. Dì l’Espero io dica. SENTENZE. ET futura, & Præterita delectant, hac expectatione hac memoria- Pecoribus fatigatis fortior domum gradus est. Iucundissima est ætas deuexa iam, non tamen præceps. Deditos vino, potatio extrema delectat. Ætnæ læta regio in ipso ore montis niues habet, quas mec æstas quidem soluit, adeo tutæ sunt ab igne vicino. SONETTO XLV. Bella Antica. PRIMA fiamma del cor, se bene è spento De gli anni all’Ombra il tuo color viuace, Ancor duri, ancor t’amo, ancor mi piace L’antico rimembrar dolce tormento. Che se l’Ingegno mio torbido, e lento Già su Pindo immortal trascorse audace, Guerra de’ pensier miei souente, e pace Da’ chiari lumi tuoi l’obbligo sento; Marmo s’ammira ancor trà le ruine, Non perde i primi oggetti impresso il core, Ne s’agghiaccia il pensier se imbianca il Crine. Non per Arco allentar piaga è minore, Immutabil destin non trova il fine, Etna in fronte hà le neui in sen l’ardore. ARGOMENTO XXXXVI. Quì sì, ch’ogni gran saggio il senno obblía Come può stare, e Brutta, e Bella insieme In buona legge di Filosofia? SENTENZE. VEruntamen è priuatione ad habitum non datur regressio. Arist. Sed ex deformi humilique corpusculo formosus animus, ac magnus interdum erumpit. Quæ malam faciem habent sæpius pudicæ sunt-vt scire possimus, non deformitate corporis fædari animum. Sed pulchritudine animi corpus ornari. Reptilium quæ dente notent ictuque ferarum, &c. hoc ex vnguento, &c. egregium antidotum- Et quodcumque grabatum - Te poteris tuta semper conferre salute. Bella totalmente Brutta. QVI’ si, che non potrà lingua mortale, Con quanti furon mai colori adorni, Pingere al senso altrui debile, e frale, Che doue tolto fù l’abito torni, E pur tù Brutta in fin dal tuo natale Frà mille di Natura oltraggi, e scorni, Negro il sen, Torto il naso, Occhio ineguale, Di più d’ vn cuore à trionfar ritorni. Quell’occulto vigor, quel Tuon, quel Brio, Quel, ch’io ridir non sò d’alta virtute, Rapiscon l’altrui vista, e’l pensier mio. La Triaca così frà l’arti mute Di Mummie, e Serpi , e Sangue, e Tosco rio, Vn composto diuien, che dà salute, ARGOMENTO XLVII. Ma se giunge Bellezza all’ore estreme, Chi non dirà costei lume superno, Che di Vecchiezza l’Eclissar non teme? SENTENZE TVnc sanæ mentis oculus acutè cernere incipit, cum corporis oculus incipit hebescere. Longa conuersatio Amorem inducit. Vnicum tibi ornamentum, pulcherrima, & nulli obnoxia ætati forma. Ne forma quidem & vires beatam te facere possunt, nihil horum non patitur vetustatem. Habes aliud argumentum, quod probes diu vixisse præter ætatem . Omnium virtutum tenera sunt principia, tempore ipsis duramentum & Robur accedit. Et nemo tam senex est, vt improbè vnum diem speret. SONETTO XLVII. Bella Vecchia. TÈ DOVE indarno al primo Aprile Amore Lungamente auuentò l’ armi fatali, Con bellezze antichissime immortali Serba oggi il Tempo ad infiammarci il core. Soura i solchi del volto estiuo ardore Porta spighe di fè salde, e vitali, E s’or qual era il petto, i crin son tali, Il Giglio ancora in testa hà bianco il fiore. Verde legno non arde, e Quercie annosa Più sparge i Rami, e più diuien costante Scudo al Sol, Freno a’Venti, agli Augei posa. Tù, quasi Vesta à nuouo Altare auante, Serbi l’eterno foco in fiamma ascosa, Che pargoletto Amor, Vecchio è Gigante. ARGOMENTO XLVIII. Porti la Febbre il caldo, ò porti il verno, Beltà sempre scintilla, e quì fi vede, Che chi ben ama vn giorno ama in eterno. SENTENZE. ET si non potest quisquam beatè degere, qui se tantum intuetur, qui omnia ad vtilitatem suam conuertit - Hic ardor quamuis grauis, optabilis est: disce his angustijs illas euadere, quibus nec Physicus, nec herba medicabitur. Corpus valetudo tenet, non animum. Equidem scio quod malorum vltimum est amare malum- sed me ipsum diligo. Cui enim non ex alieno incomodo lucrum ? Exhibetur etiam in lectulo virtus: aut tu febrem relinques , aut ipsa te- quia est virtuti etiam in lectulo locus. Et nemo diu ardet. Consortium rerum omnium inter nos facit amicitia. Corporis enim ad tempus bona valetudo est. SONETTO XLVIII. Bella Febbricitante. BEN ch’io lodi il Calor, ch’il sen t’accende, E toglie al polso il moto suo natìo, Barbaro sì crudel non sono oggi io, Ch’i volessi mirar quel che t’offende: Ma se più bella il duol Donna ti rende S’il tuo volto nel mal fassi più pio, Non cerco il danno tuo, cerco il ben mio, Ch’alla propria salute ogn’huomo attende. Mentre lagnare, e sospirar ti sento, E mentre in chiusa fiamma arder ti miro, Spero ancor io pietà del mio tormento. Anzi se nella febbre anco ti ammiro Tutto il mondo saprà con mio contento, Ch’in tutte le fortune io spero, e spiro. ARGOMENTO XLIX. Rimiri questa esangue or chi nol crede, Gradita infin col suo pallor gelator Perche rara bellezza à nulla cede. SENTENZE. QVicquid ad summum peruenit ad exitum properat Cui nasci contigit , mori restat. Ad extrema peruenisti , iam nec mortem metues nec optabis, nec corporis animique defectibus subiacebis Mors omnium dolorum est solutio , est & finis Solem occidentem comtemplari licet. Et non habet spectatorem, nisi cum deficit Minus molestiarum habet funus. Et quando in quies, tibi proderit istud quod exitu discis , aut in quam rem? in hanc, vt ego quoque exeam melior. SONETTO XLIX. Bella Morta. SÈ giunta, Anima mia, sè giunta al porto Vltimo della speme, e degli amori, Et è sì bella in quegli estremi orrori Ch’ all’ombra della Morte inuidia io porto. Oggi dal tuo morir son fatto accorto, Che gradisconsi ancor seccati i fiori, Che distaccati i frutti escon migliori, Ch’è più dolce il piacer quant’ è più corto. Fulminaua lo sguardo, ardeua il crine, Feriano i detti, il duolo era più forte, Era in somma il tuo dì pien di ruine. Or queto il tutto in sì beata sorte, Per esser come tè bella nel fine, Se potesse morir, morria la Morte. ARGOMENTO L. Anzi ch’ella vna sola a’ Roghi al Fato S’inuola sí , che nel sepolcro è forte ; Ma taci, ò Musa à questa Tomba allato, CH’io non sò più cantar dopo la Morte. SENTENZE. IVcundum est redire in antiqua studia. Memoria est ex omnibus partibus animæ maxime delicata , &c. Iucundissima amissorum recordatio. Mouet lugentem desiderium eius quem dilexit. Omnia humana breuia , & caduca sunt. Per lacrymas argumenta desiderij quærimus, Præsentia bona non dum tota in solido sunt, futura pendent, & incerta sunt. Quod præterijt inter tuta sepositum est. SONETTO L. Bella Sepolta. ANCOR mi scalda, ò bella estinta il foco, Che nel cenere tuo serbi sepolto, L’immagin del tuo spirto, e del tuo volto Non mi può cancellar tempo ne loco. Anzi quel primo incendio era ombra, e gioco Del Mongibel, c’hò nel mio petto accolto: La memoria in pensar quel che gli è tolto Più brama il ben, che le durò sì poco. Oh forza insuperabile d’Amore, Che la vita mi auuiua al Rogo accanto, E nel diaccio mortal m’accresce ardore. Pur lo scemeria forse il pianger tanto, Ma in questa Tomba, oimè, del miser core V’entran le Fiamme, e non vi passa il Pianto. Argomenti de’Cinquanta Sonetti de’ Paradossi sopra la Bellezza, e dignità delle Donne, etc. che ridotti insieme formano vn Capitolo. DONNE, e voi che le Donne hauete in pregio Date oggi orecchie à questi miei furori, Ond’io v’intesso vn disusato fregio. 1 Eccoui vn bello April carco di fiori, Che ben che pargoletto all’Alba giunto, Desta souente inopinati ardori. 2 La bellezza raccolta in picciol punto Non per questo è minor, ma luce, e splende, Come perla incastrata in bel trapunto. 3 Ne Bolla di maligno vmore offende Volto gentil d’vna cortese amante, Ch’Aquila a’ rai del Sol nuoua si rende. 4 Questo leggiadro, e misero sembiante, Che sopra le sue spalle il Mondo porta, Ditelo pure vn fauorito Atlante. 5 Et questa, che vi sembra e Zoppa, e torta Pur si deue lodar, ch’il piede infetto Il bel corpo da noi lungi non porta, 6 Non reputate mai colpa, ò difetto Le bellezze di certe sciamannate, Ma di Natura vn’ artifizio schietto. 7 Le Guance di costei di Giallo ornate Emule son del Sol, ch’il dì comparte, Et hanno i Fonti ancor l’accque oppilate . 8 Occhio, che guarda in ciascheduna parte, Per non vibrare in vn quel che c’offend e, Vsa maggior pietà con più bell’arte. 9 Vna Sorda beltà, che non c’intende, Può domandarsi Imperial virtute, Che sol col Cenno à comandare attende. 10 Labbra di rose hauer tacite, e mute, Non è credete à mè, non è vergogna, Ma con gloria di lei vostra salute. 11 Et questa, ch’alle Palme eccelse agogna, Di compatir mitabilmente impara Il pruríto d’altrui nella sua Rogna. 12 Questa Guancia sfregiata è così cara, Ch’vn Zodiaco parmi, oue più forte Il Sol degli occhi suoi l’Alba rischiara. 13 S’adiri pur la generosa, e forte, L’ira è Cote d’Amor frà genti amate, E soffresi in altrui con minor sorte. 14 Sotto lacere vesti, e rappezzate Le Carni di costei sembrano al Sole Aperte dai Rubin Poma granate. 15 Questa non hà le Chiome, e non sen’duole, Che Fortuna col Teschio anco pelato Troua chi la vagheggia, e chi la vuole. 16 Se l’aspetto dell’altra è smisurato L’inopia esce dal poco, e non dal molto, E più d’vn picciol pruno il Pino è grato. 17 Hà ben questa di Nubi il ciglio inuolto, E porta nella Notte ascoso il giorno, Ma pure Amore è bello, e Cieco hà’l volto. 18 Può mentir bella Donna, e senza scorno: Che l’alte qualità colme d’onore Hanno la fede inuiolata attorno. 19 Questa, ch’in Balbo suon palesa il core, Fà risonar con interrotti accenti, Vn Ecco soauissimo d’Amore. 20 Non si biasmin già mai labbra ridenti, Che non son pensier folli, ò graui falli; Ma segno di dolcezza, e di contenti. 21 L’altra ch’inumidisce i suoi Coralli, Et come Egeria si distilla in pianto, E miniera di Perle, e di Cristalli. 22 ll Sol, che solo in Cielo vnico hà il vanto E l’immagin di lei, che Polife ma Bella saria con cento Vlissi à canto. 23 Questa Bocca gentil di Denti scema Vn Mar voto è di Scogli, e ripien d’Ostri, Oue si può solcar senz’altra tema. 24 E se Negra costei par che si mostri, Fatta è Carbon dall’amoroso foco, E per le lodi sue tinge gl’inchiostri. 25 Gozzuta è questa, e parrà certo vn gioco S’io la dico d’Amor mantice alzato, E dirò forse il ver, ma dirò poco. 26 O Marmo di tue glorie oggi animato Tu sembri senza senso, e che ti vede, Come in veder Gorgon resta insensato. 27 Donna Pazzo è chi Pazza oggi ti crede, Che quel furor, che la tua mente muore E’ schiettezza d’Onor, d’Amor’, di Fede. 28 S’il desir di costei non gisse altroue, E fosse nel mio mal sempre costante, Vna Pietra amerei, che non si moue. 29 Marauiglia è del certo essere amante Di Brutta e dispettosa, e pur è vero, Che spesso piace vn Zotico sembiante. 30 Prouò questa leggiadra vn destin fiero, Ma discouerse à noi la man nemica Di Perle, e d’Ostri vn’Oceano intero. 31 Pur quando la Beltà casta, e pudica Di semplice color l’anima veste, S’hà senza guerra, eterna pace amica. 32 L’Astute non però ci sien moleste, Che son le Volpi, e son lodate ancora Per il danno schiuar più scaltre e preste. 33 La Guancia, che di Vin quí si colora, Mostra del core il gran calore interno, E d’onorata porpora s’onora. 34 Io nelle piaghe ancor bella ti scerno, Piaghe, che fan la delicata gola Base intagliata al tuo gran nome eterno. 35 E tù, che solo adopri vna Man sola Sarai forse men cruda, e men rapace, Se ben con esca Amor l’alma m’inuola. 36 Tù con quel Naso imperioso audace, Nel Pelago d’Amor Fanale, e Stella Per additarmi il Porto alzi la face. 37 Ecco di quà venir Pecchia nouella, Che ne’ Faui del Volto straforato Incocca le saette, e i cuor criuella. 38 Non c’arrichisce ancor di parto amato Questa steril bellezza, ed è ragione, Perch’ il raro è quà giù più bello, e grato. 39 Di lagnarsi costei non hà cagione, Benche vegga scemar la sua bellezza Se grauida ne’ figli la ripone. 40 Questa sì bella appar con sua magrezza, Che l’ama Pane stesso, e fuor di modo Qual Canna sottilissima l’apprezza. 41 Pur di Beltà, ch’è Grassa io così godo, Ch’à questa sol m’attengo, e qual vorrei Appien le glorie sue non canto, ò lodo. 42 E se lentiginosa oggi è costei, Sue macchie à Cintia assomigliar si denno, Anzi se stesse à mè l’anteporrei. 43 Quando in giouane età canuto è’I senno, Che sia canuto il pel poco c’importa, Lo disse Erginio all’Amazzone in Lenno. 44 Habbi pur, Amor mio, la Guancia smorta, La pallidezza tua m’è sempre amica, Ch’il foco nelle Ceneri si porta. 45 Ma che dirò di tè mia fiamma antica, Se non che vuole Amor che l’Alba mia Del mio cadente Dì l’Espero io dica? 46 Quì sì ch’ogni gran saggio il senno obblía, Come può stare, e Brutta, e Bella insieme In buona legge di Filosofia? 47 Ma se giunge Bellezza all’ore estreme, Chi non dirà costei lume superno, Che di Vecchiezza l’ecclissar non teme? 48 Porti la Febbre il Foco, ò porti il Verno Beltà sempre resiste, e quì si vede, Che chi ben ama vn giorno ama in eterno. 49 Rimiri questa esangue or chi nol crede Gradita in sin con suo pallor gelato Perche rara bellezza à nulla cede. 50 Anzi ch’ella vna sola a’ Roghi al Fato S’inuola sí, che nel sepolcro è forte; Ma taci, ò Musa à questa Tomba allato, CH’io non sò più cantar dopo la Morte. TAVOLA DE’ SONETTI. 1 A Cerbetta Beltà, Bimba amorosa. à car. 19. 14 Altri vagheggi pur gli ostri di Tiro. 45 50 Ancor mi scalda, ò bella estinta il foco. 117. 9 À rai del guardo, al fulminar del viso. 35. 19 Balba diletta mia Greca nouella. 55. 49 Bench’io lodi il calor, ch’il sen s’accende 113. 17 Bella Talpa d’Amor piango, e sospiro. 51. 18 Bugiarda ogn’vn ti mira, ogn’vn t’apprezza. 53. 42 Ben mi parrebbe impouerir nell’Oro. 99. 31 Cara amorosa mia massa di rose. 79. 2 Centro dell’alma mia picciolo in vero. 21. 4 Come fè, come errò cieca à natura. 25. 42 Cerere allor ch’à Neptolemo porse. 101. 39 Dianzi vn cuor solo haueui è come Rosa. 95, 34 Dirà fors’altri, e qual bellezza è grata 85. 16 Dica lingua bugiarda; e non curante. 49. 30 Empio cor cruda voglia è fera mano. 77. 27 Forsennata mia bella al tuo furore. 71. 8 Inuida di quel ben, ch’in te non miri. 33. 32 Io per mè non ti biasmo alma scaltrita. 81. 25 Io me ne vò com’Alpe, e dal tuo fiore. 67. 20 Là doue s’apre il Ciel Sempre traluce. 57. 33 Macchia ò Donna, non è quel tuorossore. 83. 38 Ne cruda tù ne di te stessa auara. 93. 24 Negra sì, ma se’ bella, e chi nol crede. 65. 6 Ne quanti furon mai chiodi, o martelli. 29. 23 Non hai Donna, egli è ver priua de’Denti. 63 12 Non saria bello à mio giudizio il Cielo 41. 28 O bel Proteo d’Amor già non mi doglio. 73. 22 O bella Grea d’Amor, non già nel volto. 61. 15 O Diochi non dirà Calua Donzella, 47. 3 O di Perle viuaci, egre, ma belle. 23 10 O nel silenzio eternamente ascosa. 37. 26. O troppo a’ sensi altrui Donna insensata. 96. Proemio Donne io prendo à cantar la forza ardente. 17. 45 Prima fiamma del cor, se bene è spento. 107. 13 Qual’or commossa à generoso sdegno, 43. 36 Quel che torrereggia imperioso altero, 89. 46 Quì sì, che non potrà lingua mortale. 109. 29 Raro interuien ch’vn generoso core, 75. 37 S’Amor s’asconde in mezzo à due fossette. 91. 7 Se quel color, di cui s’ammanta il Sole. 31. 44 Scolorito ben mio, languido Giglio. 105. 11 Se del vasto Eritreo conca Gemmata. 39. 49 Se’ giunta Anima mia, se’ giunta al varco. 115. 35 S’io non posso cantar per te ben mio. 87. 5 Su due Basi ineguali Idol del core 27. 47 Tè doue indarno al primo Aprile Amore. 111. 40 Trasparente mio Ciel, magra mia bella. 97. 21 Tù piangi Anima mia, tù piangi, e intanto. 59 43 Vi lagnate, e perchè? guance diuine. 103. Il Sig. Canonico Bardi si compiaccia di vedere se nelle presenti Rime si contenga cosa, che repugni allo stamparle, e riferisca appresso; il di 22. di Maggio 1637. Vincenzio Rabatta Vicario di Firenze. Nelle presenti Rime non hò trouato niente, che repugni alla fede Cattolica, e buon costumi, e perciò le giudico degne che si stampino Vincenzio Bardi. Canonico Fiorentino. Attesa la relazione presente, Concedesi che queste Rime, e scherzi Poetici si possino stampare, osseruato però li soliti ordini D. il di 28. di Maggio 1637. Vincenzio Rabatta Vicario di Firenze. Adi 30. Maggio 1637. Si può Stampare F. Gio. Inq. Gen. Alessandro Vettorio Aud. di S. A.